Costume

Il mondo dell’informazione: poca fiducia e propensione a pagare, ruolo del web

6 Luglio 2020

Nei giorni scorsi mi hanno colpito alcuni dati relativi al mondo dell’informazione e alcune riflessione poste da studiosi del tema.
Il punto di partenza è stata la pubblicazione del Digital News Report del Reuters Institute for the Study of Journalism, un punto di riferimento importante per capire l’andamento di ciò che sta accadendo in questo mondo complesso. Si tratta del risultato di un questionario online somministrato nei primi mesi del 2020 che ci mostra come si informano gli abitanti di diverse nazioni.
Quanto emerge – riporta con puntualità Vincenzo Cosenza, focalizzandosi sull’Italia – è che l’informazione online è percepita, soprattutto nelle giovani generazioni, come slegata dalla testata giornalistica e che sarebbe importante per queste ultime costruire un forte brand – con una grande comunità di riferimento – all’interno del mondo dei social.
Tra i punti rilevanti vi sono: la fiducia – solo il 29% degli italiani dice di avere fiducia nel sistema informativo (ai minimi storici da quando viene realizzato il rapporto) -, la bassissima propensione a pagare per informarsi, la preferenza verso fonti percepite come neutrali, l’aumento dell’interesse verso i podcast (non posso che essere felice di leggere che il 32% degli intervistati ha ascoltato un podcast nell’ultimo mese).
Cosenza evidenzia un’altra cosa rilevante: il punto di accesso alle notizie online (per il quale si è fatto dare ulteriori dati dal Reuters).
In sostanza, da dove passiamo per arrivare alle informazioni?
Il 37% usa i motori di ricerca, sia per inserire il nome di uno specifico sito, sia per cercare una notizia; il 27% usa i social media (il più utilizzato per le notizie rimane Facebook); solo il 18% consulta direttamente il sito o la app della testata; il 23% usa Google news.
Questa analisi non tiene in considerazione come sono cambiate e come cambieranno ulteriormente le cose post Covid, come cambia il ruolo dell’informazione in questa nostra nuova esistenza che ha abbattuto i confini tra sfera analogica e spera digitale. Luciano Floridi, professore di filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, aveva ribattezzato questo nuovo spazio come “onlife”. Secondo Floridi “il digitale ci permette ora di prendere in considerazione un’ulteriore dimensione: un’etica delle relazioni tra agente e paziente. Ci chiede di concentrarci sulle relazioni, per rendere migliori sia l’agente sia il paziente, pensando più al network che al meccanismo. Privacy, trust, accountability, trasparenza sono elementi di un’etica delle relazioni, non individualista: una svolta fondamentale.
Sull’ultimo numero di Wired il professore risponde alla domanda su come il mondo onlife esca dalla pandemia: “Rinforzato, anche se mal compreso. L’onlife è la combinazione di analogico e digitale. Non è onlife la scuola che usa internet solo perché costretta dal distanziamento sociale, ma quella che domani farà lezione online, integrando presenza fisica e virtuale. Onlife è il professore che, anziché vietare lo smartphone, farà scaricare app con cui svolgere i compiti”.
Il vero cambio di paradigma è pensare onlife, come unione delle parti migliori di entrambi i mondi.

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