Governo

Il lato buono dei lobbisti

6 Aprile 2017

Direste mai che il progetto Openmigration, che si occupa di fact checking sulle notizie su migranti e rifugiati, sia una sorta di azione di lobbying? O l’iniziativa ParoleOstili, nata per sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’importanza che le parole hanno sul web e sui social media?

Forse no, perché lobbying è solo una brutta parola. O almeno così si dice in giro.

Eppure l’accezione negativa del termine è caratteristica peculiare dell’Italia dove la scarsa trasparenza dei processi decisionali e l’importante presenza della corruzione (ricordiamo che l’Italia è attualmente 60a al mondo secondo il Corruption Perceptions Index 2016 di Transparency International) hanno certamente fomentato l’avversione verso chi pratica la professione del lobbista.

Il titolo che abbiamo voluto dare, però, è chiaramente provocatorio nei confronti di chi, attraverso valutazioni semplicistiche, sceglie di continuare a conferire alla nostra categoria professionale accezioni puramente negative.

Questo perché, innanzitutto, non esiste un lato “buono” ed un lato “cattivo” del lobbista; esiste invece una rappresentanza di interessi particolari, che dal singolo cittadino può essere considerata riprovevole qualora vada contro un più ampio interesse della collettività, ed, appunto, una rappresentanza di interessi generali.

Il lobbista, tendenzialmente, viene identificato nella prima fattispecie, come difensore di soggetti che in qualche modo ostacolano il bene pubblico: ecco perché qui di seguito cercheremo di raccontare perché questo non sia sempre vero, per tre motivi principali.

Innanzitutto, molti lobbisti che lavorano per imprese e società private svolgono allo stesso tempo un’attività di rappresentanza per altre entità, che siano associazioni, think tank o gruppi di pressione, i quali solitamente si occupano di temi sociali, economici e di sostenibilità.

Il secondo motivo è che non esiste un’entità che possa stabilire, in termini assoluti, quali interessi particolari siano “buoni” e quali “cattivi”. Se prendiamo, ad esempio, il caso che ha riguardato l’azienda Flixbus e l’emendamento al Decreto Milleproroghe che a fine febbraio ha rischiato di minare completamente il business dell’azienda nell’apparente inconsapevolezza del legislatore, vediamo come la difesa dell’interesse dell’impresa in realtà coincida esattamente con l’interesse dei consumatori nell’avere un servizio di qualità a prezzi ridotti. La stessa Autorità di Regolazione dei Trasporti, all’interno del parere espresso ieri al Ministero dei Trasporti, ha affermato come l’emendamento costituisca un vincolo nell’accesso al mercato per gli operatori e agisca a danno di un’offerta di servizi adeguata alle esigenze di mobilità degli utenti.

In terzo luogo, la pratica del lobbying costituisce in realtà una sottocategoria del processo di advocacy, dove troviamo innumerevoli esempi di buone pratiche di rappresentanza di interessi.

Se, quindi, l’azione di lobbying è quella diretta sul legislatore che punta ad influenzarne le decisioni, quella di advocacy è invece la più ampia azione di un singolo, o di un gruppo, che indirettamente, attraverso strumenti come campagne media e social media, pubblicazione di studi, sondaggi e ricerche, tenta allo stesso modo di sensibilizzare l’opinione pubblica ed il legislatore, portando un certo tema o una certa posizione al centro dell’agenda politica.

Proprio in questo campo, sono numerosissimi gli esempi di gruppi formalizzati, associazioni, think tank che cercano, attraverso processi di advocacy, di dare una voce a persone, o spazio a tematiche, che faticano a trovarli autonomamente. Presentiamo di seguito, come esemplificazione della categoria, i casi di Openmigration e ParoleOstili, che abbiamo richiamato anche all’inizio dell’articolo.

Openmigration è un progetto che nasce con l’obiettivo di produrre informazione di qualità e combattere le fake news che riguardano il fenomeno delle migrazioni e dei rifugiati. Attraverso policy paper, studi e pubblicazioni, cerca di influenzare l’opinione pubblica, e talvolta le scelte politiche, facendo dell’oggettività dei dati la propria bandiera.

Rimanendo sempre nell’ambito delle fake news, ed addentrandoci anche in quello della responsabilità dei contenuti pubblicati in rete, ecco che troviamo un’ulteriore buona pratica di advocacy: ParoleOstili. Il movimento ha preso avvio all’inizio del 2016 ed ha l’obiettivo di sensibilizzare i cittadini, le istituzioni ed il mondo dei media sull’importanza delle parole che si utilizzano sul web. Attraverso un evento di due giorni a Trieste a febbraio, che ha coinvolto tutto il mondo della comunicazione e delle istituzioni, compresi famosi ospiti e relatori come Enrico Mentana, Gianni Morandi e la Presidente della Camera Laura Boldrini, e grazie ad un’agguerrita campagna social, ParoleOstili, insieme ai partecipanti e a chiunque condividesse quanto promosso dall’iniziativa, ha co-prodotto un manifesto che mira a renderci consapevoli del peso di ciò che pubblichiamo in rete e di come interagiamo sui social media con gli altri utenti.

Si potrebbe discutere probabilmente per molto tempo su quali siano gli interessi rappresentati in questi casi, su come l’azione di lobbying possa, a seconda della situazione, nuocere o meno alla società, sulla positività o meno di un’azione di advocacy, su chi possa o debba dare un giudizio in merito e se effettivamente tale giudizio possa avere un valore in termini assoluti.

E tutto ciò a causa dell’estrema complessità dell’argomento. Ecco perché giudizi semplicistici sul lobbying in sé e per sé, che conferiscano al termine un’accezione totalmente negativa o totalmente positiva sono inutili ai fini della rappresentazione della realtà.

Quello che è sempre utile, invece, è portare alla luce le innumerevoli sfaccettature che questa professione comporta, che siano il secondo lavoro di un lobbista, che siano pratiche positive di advocacy, che siano la rappresentanza di interessi particolari o generali.

La chiave, per ogni lobbista che svolge in maniera professionale questa attività, deve sempre rimanere nella consapevolezza di rappresentare interessi legittimi in maniera legittima. Tutto il resto ha altri nomi, di certo non è lobbying.

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