Governo

Il governo dei bonus. Lo storytelling del Principe

29 Novembre 2015

Dopo quasi due anni di governo, l’esperienza dell’esecutivo Renzi appare soprattutto come un’ininterrotta sceneggiatura. Cosa intendiamo con questa espressione? Facciamo riferimento a quel continuo sforzo, attraverso una comunicazione incessante e su varie piattaforme, di arricchire quel racconto di «salvezza», ad opera dell’eroe-Renzi e dei suoi fedeli, con il quale fu inaugurata l’avventura a Palazzo Chigi.  Molte scelte del governo, ovvero di Renzi,  hanno cioè svolto, e continuano a svolgere, la funzione di elemento narrativo, di evento della trama della storia di un governo del «fare», che via via si nutre di storie più specifiche che sostengono la trama principale.

Oggi la storia più specifica riguarda la strategia antiterrorismo, che – a fronte della decisione di non mutare il nostro impegno militare nei teatri internazionali e in quello più specifico siriano – si sostanzia nella decisione di potenziare la sicurezza e in egual misura la «cultura».  Ciò che viene messo in scena è un governo che reagisce alla sfida epocale del terrorismo spendendo un euro per la sicurezza e un euro per la cultura («un miliardo» e« un miliardo» di spesa inseriti nella legge di stabilità), perché il terrorismo alberga e si sviluppa anche all’interno delle nostre comunità ed è con l’educazione che va combattuto.

Se in termini generali, guardando a processi complessi e di lungo periodo, è sensato contemplare l’elemento educativo come fattore – uno tra vari – di integrazione, di comprensione reciproca ed anche come fattore che può tenere lontani i giovani da tentazioni estremiste, è altresì vero che esso non può farci dimenticare la necessità di politiche ben più stringenti, volte, ad esempio, a rendere più istituzionalizzata e trasparente l’attività del culto, e non solo, del mondo musulmano e il controllo sulla presenza di pseudo-imam che svolgono attività di vero e proprio lavaggio del cervello. Ma soprattutto, parlare di maggiori investimenti nella cultura come strategia contro i fattori sociali e culturali che possono alimentare il terrorismo islamista è vago, generico, non coglie la complessità dei nessi causali e si perde in un semplicistico e deterministico «sociologismo».

Però il messaggio può apparire, ripeto, «apparire», plausibile e così si mostra un governo che non si lascia ad andare a sterili avventurismi militari, ma affronta il «vero» problema (anche se il continuo ripetere che non si può intervenire se non esiste una vera strategia a livello internazionale non dovrebbe esimerci dal provare a dare un contributo per pensarla, quella strategia, altrimenti il discorso assume le sembianze dell’alibi).

Interessante, poi, è vedere come il governo affronta il «vero» problema: attraverso una politica meramente distributiva, ovvero milioni a pioggia per le periferie – ma senza l’input di un progetto vero e proprio –  per il diritto allo studio, le associazioni culturali e, chicca (in senso metaforico, ma anche no) finale, un bonus di 500 euro per i diciottenni del 2016. E’ evidente a chi voglia vedere e non si ostini a trovare un senso laddove proprio non c’è, che solo con acrobazie logiche (e soprattutto illogiche) si può cogliere un nesso tra queste misure e la reale possibilità di intervenire su dimensioni sociali, economiche e culturali alla base di disagi che possono a loro volta produrre comportamenti devianti e pericolosi come l’adesione alla violenza terroristica; sempre tenendo presente che questi fattori sono solo una parte, eventuale, del fenomeno, che presenta anche dimensioni strettamente politiche e ideologiche, di lungo, medio e breve periodo, di notevole rilevanza.

Ma con queste politiche distributive, le più facili, anche se le più costose, si dipinge il quadro, si costruisce la trama; oltre che distributive esse sono, cioè, politiche simboliche.

Sono giunte molte critiche in questi giorni all’idea dei 500 euro ai diciottenni per spese «culturali», critiche che hanno messo in luce il probabile obiettivo di raccogliere consenso (ci aspettano tra alcuni mesi importanti elezioni amministrative) tra una fascia di elettori molto orientati verso l’astensionismo o il Movimento5Stelle. Credo che queste critiche in parte colgano nel segno. Tuttavia, sarebbe semplicistico richiamare politiche di scambio tradizionali, la famosa «scarpa» di Lauro; in questo caso, infatti, vi è molto di più, ovvero – appunto – «simboli», simboli  che nutrono una narrazione.

Oggi come ieri, come nella breve storia di questo governo, che sempre più, a partire dal famoso bonus degli 80 euro per i redditi sotto i 1500 euro, passando attraverso il bonus bebè e il bonus professori per le spese di aggiornamento, fino al bonus diciottenni e – nell’ambito delle politiche per la sicurezza –  il bonus 80 euro esteso alle forze dell’ordine, si è connotato come un governo preoccupato soprattutto di produrre simboli.

Naturalmente il grande narratore, l’ideatore di questi simboli, è lui, Matteo Renzi. Leggendo con attenzione cronache e ricostruzioni dell’azione di governo appare, infatti, sempre più evidente come l’azione dei ministri, in primis Pier Carlo Padoan, sia soprattutto volta a inseguire e giustificare l’estro simbolico e narrativo del premier, senza una grande capacità, o forse volontà, di riportarlo nel mondo reale. Per inciso, vale infatti la pena di osservare come con il governo Renzi si stia realizzando un livello di «personalizzazione» che è difficile trovare in egual misura nelle altre grandi democrazie, una personalizzazione che è anche solitudine ed estrema discrezionalità. Forse potremmo cominciare ad utilizzare, per descrivere quanto sta accadendo in Italia, a livello di governo, il concetto di «capriccio». Un capriccio che produce politiche estemporanee (come ad esempio notavano Oscar Giannino e Mario Seminario in una recente puntata dei Conti della belva su Radio24), prive di una visione generale e strutturale, indirizzate di volta in volta ad accontentare questo o quel gruppo, con l’intento di «segnalare» l’attenzione verso questo o quel tema. E che evidenzia anche un atteggiamento «paternalistico», l’atteggiamento del Principe che volge il proprio sguardo comprensivo verso i suoi sudditi, oggi questi, domani quelli.

Dunque, in questo momento siamo governati da un infaticabile storyteller che sembra aver scambiato la politica del mondo reale per un’avvincente fiction. Il politologo e internazionalista Vittorio Emanuele Parsi ha così scritto in suo post su Facebook: «Ecco grande idea. Diamo 500 euro anche ai terroristi dell’ISIS, così la prossima volta al Bataclan vanno a sentire la musica e non a farsi esplodere….Ma in che mani siamo….?» Già. In che mani siamo?

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