Governo
Il Governo dà il via al processo italiano contro l’Operazione Condor
Tra aquile e condor, il governo italiano con l’avallo del Guardasigilli Orlando ha ufficialmente autorizzato il processo contro 9 tra i 21 ex alti militari ed ex governanti sudamericani responsabili di torture e omicidi nell’ambito di quella che alla storia fu consegnata appunto come “Operazione Condor”. Gli imputati avrebbero dovuto essere in 12, ma in tre sono morti prima della richiesta, compreso Odlanier Mena Salinas, ex funzionario cileno morto suicida nel 2009.
La contundenza di questo piano politico, il Condor appunto, fu favorita dal capo del dipartimento di Stato Henry Kissinger – l’americano più influente del dopoguerra – e coinvolse l’assetto geopolitico di sette nazioni sudamericane tramite colpi di stato militari e feroci lotte antisocialiste protrattesi in maniera variegata per più di un decennio, dall’inizio degli anni Settanta sino alla metà degli anni Ottanta.
In concomitanza con la storica e imponente cerimonia per il secondo insediamento della presidenta brasiliana Dilma Rousseff, una nuova luce pare voglia dissipare qualche nube tra le tante che avvolgono le dinamiche politiche sudamericane nel corso di quel periodo, questa volta inquadrate con occhio nostrano.
Per i 21 accusati lo scorso ottobre è stato richiesto il rinvio a giudizio al prossimo 12 febbraio su richiesta del gup Alessandro Arturi, che ha fatto sì cadere il reato per strage per “vizi procedurali” su richiesta del procure aggiunto Giancarlo Capaldo, ma parallelamente si è deciso a mandare la richiesta al Ministero di Giustizia sull’eventualità di processare nove imputati in Italia, nonostante gli stessi siano stati già condannati nei propri paesi.
Come scrive Daniele Mastrogiacomo su Repubblica.it, «Il ministro ha di fatto deciso di processare quelle persone per lo stesso reato con cui erano finite alla sbarra nei loro paesi di origine. Circostanza esclusa dal nostro ordinamento. Con alcune eccezioni e quel margine di discrezionalità che la giurisdizione italiana attribuisce al Guardasigilli e fatta propria, appunto, da Orlando».
La decisione è di quelle storiche, perché cambia radicalmente una posizione –quella dell’Italia- che si è rivelata molto ambigua per decenni, soprattutto considerando l’altissima percentuale di connazionali presenti nell’area coinvolta.
La decisione del ministro Orlando di permettere il processo agli ex governanti sudamericani in Italia per reati compiuti su cittadini italiani stravolge un corso politico che sull’omertà aveva fondato la vergognosa campagna d’appoggio alle atrocità delle operazioni, durante quel periodo.
Il riferimento va ad esempio all’Argentina, vera e propria “Italia astrale” cresciuta attorno a quel 70% e più di italianità che avvolge il popolo albiceleste, e frettolosamente abbandonata dai vari governi succedutisi nel nostro paese durante la feroce repressione della giunta militare.
Ne scriveva già Saverio Tutino, sempre su Repubblica ma su carta, perché era il 1979: «La disinformazione è la prima responsabile di certe semplificazioni arbitrarie. Le conseguenze possono essere gravi: un giorno potremmo essere tutti chiamati come corresponsabili di delitti pari a quelli dei criminali di guerra hitleriani».
La disinformazione a cui si riferiva Tutino era ad esempio quella del Corriere della Sera. Si legge sul sito dell’Associazione “24 marzo Onlus”, che da più di trent’anni si occupa di ricostruire il cordone ombelicale tra Italia e Argentina volutamente occultato in quel periodo:
«Nel luglio del 1977 Rizzoli aveva ottenuto attraverso l’intermediazione di Licio Gelli, i fondi necessari per effettuare un’operazione di ricapitalizzazione del gruppo di venti miliardi di lire. Grazie, poi, all’amicizia tra Massera e il “Maestro Venerabile”, l’editore milanese aveva ottenuto ad un ottimo prezzo gli impianti argentini della “Editorial Abril”, la più grande casa editrice del paese espropriata ai fratelli italiani Civita di origine ebraica. In cambio di tutto ciò, Gelli ottenne da Rizzoli la garanzia che il Corriere divenisse, all’insaputa della maggioranza dei redattori, un docile strumento nella mani della P2; ciò significava, tra l’altro, mantenere un sostanziale silenzio nei confronti delle violazioni dei diritti umani compiute dai militari. Dal 1977 al 1981, perciò, gli interventi del Corriere della Sera sulla vicenda dei desaparecidos in Argentina furono molto ridotti e, nei rari casi in cui se ne occupava, solitamente era per fornire un’immagine “rassicurante” del paese».
D’altronde la P2 annoverava tra i suoi iniziati anche il generalissimo Suàrez Mason e l’ammiraglio Massera, due tra i principali esponenti della giunta argentina. Gelli in questo modo offrì protezione alla dittatura grazie all’influrenza piduista sul quotidiano di via Solferino, influenza rappresentata dall’amministratore delegato Bruno Tassan Din, dall’ex direttore Franco Di Bella– in carica al Corriere dal 1977 al 1981- e soprattutto dallo stesso proprietario del gruppo editoriale, Angelo Rizzoli. L’operazione Condor nel suo complesso prevedeva anche altre eccellenze italiane esperte in manovalanza e reclutamento, come il neofascista Stefano Delle Chiaie.
La disinformazione -o la non informazione, perché questo fu il metodo- colpì però anche il comunismo istituzionale de l’Unità, quotidiano stritolato dagli interessi dell’allora capo supremo sovietico Breznev con la giunta militare argentina. Anche la stampa cattolica si mostrò piuttosto refrattaria nel divulgare le nefandezze argentine, data la rigidissima ‘osservanza’ cattolica di Videla, Pinochet e soci.
In quel periodo gli unici giornali a parlare abbastanza liberamente della faccenda furono Repubblica e il Manifesto, il primo legato a maestranze progressiste, il secondo innaffiato da logiche ideologiche precise e filo-Montoneros , ossia la sinistra extraparlamentare argentina falcidiata dalla repressione.
Non solo Argentina comunque, ma anche Uruguay, Bolivia, Brasile, Cile, Perù, Paraguay. Un intero continente bagnato dal sangue, decine di italiani torturati, vessati, rapiti, narcotizzati, uccisi. In questo filone giudiziario –l’inchiesta partì circa tre anni fa con circa 140 imputati- ad esempio si discuterà anche sulle uccisioni di 23 cittadini italiani avvenute in questi paesi a cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80. In questa situazione si inserisce l’incredibile vicenda del viceconsole Enrico Calamai, referente del governo italiano prima in Cile e poi in Argentina e capace di salvare la vita a migliaia di connazionali, remando contro le omertose disposizioni governative che giungevano da Palazzo Chigi. La storia di Calamai è raccolta in un’autobiografia intitolata “Niente asilo politico”, difficilmente disponibile in qualsiasi libreria.
Nonostante il tempo ci stia lentamente consegnando nuovi tasselli da incastrare in un puzzle ampio, sui giornali mainstream italiani –Repubblica esclusa, anche se il pezzo di Mastrogiacomo non è certo in evidenza- impropriamente si attribuisce la responsabilità dell’Operazione Condor ai servizi segreti collusi e agli apparati massonico-militari dei paesi sudamericani in cui le feroci repressioni hanno avuto luogo, anche se è opportuno ricordare che già il 15 settembre del 1970 Richard Nixon convocò Henry Kissinger -allora semplice consigliere per la Sicurezza statunitense-, il capo della CIA Richard Helms e il ministro della Giustizia Mitchell per esporre la propria preoccupazione sulla minaccia rappresentata dall’ascesa di Allende in Cile, avvenuta undici giorni prima.
Il piano venne inizialmente chiamato Fubelt, dove “Fu” rappresentava appunto la sillaba con cui veniva codificato in ambiti di intelligence lo stato cileno, e “belt” indicava appunto una cintura. Insomma, una cintura per il Cile che lo aiutasse a redimersi dalla prospettiva socialista e che poi convogliasse verso la stessa direzione ogni istinto populista o comunista del continente sudamericano.
In realtà già in un documento del 3 febbraio 1969 a nome di Richard Nixon con la firma del consigliere della Sicurezza Kissinger e chiamato Review of US policy toward Latin America, l’amministrazione statunitense si impegnava a pianificare un progetto di ristrutturazione geopolitica del Sudamerica. La revisione di questo documento venne chiamato “Rapporto Rockfeller”, in onore dell’ex governatore di New York Nelson Rockfeller, vero mentore politico di Kissinger, e venne discusso proprio a tre occhi, da Kissinger, Rockfeller e Nixon a Camp David, il 27 settembre 1969.
Quel che ne conseguì fu poi noto a tutti, a partire da quel 3 febbraio non del 1969 ma del 1973, giorno in cui Kissinger sostituì William Pierce Rogers come Segretario di Stato proprio in pieno scandalo Watergate, scandalo che comunque risparmiò l’ex consigliere di sicurezza, visto che Kissinger mantenne il suo incarico di capo di gabinetto durante la successiva amministrazione della Casa Bianca nel triennio fordiano, fino al 1977.
Insomma l’emergenza dettata dai nuovi equilibri che stavano per delinearsi su scala mondiale in cui gli Usa non potevano più rappresentare una forza monolitica spinsero l’amministrazione di Washington a puntare su un totale cambiamento di strategia. L’intento era ovviamente quello di riuscire a non perdere il controllo su un’area molto importante, tradizionale riserva d’approvvigionamento statunitense sin dal Piano Monroe del presidente Wilson, escludendo qualsiasi governo non si fosse impegnato a consolidare patti economici e sociali con investitori americani –questa è storia anche recente, se si guarda alla torbida vicenda del presunto default argentino.
Insomma, questa del governo italiano è un’iniziativa importante, segnale forte della chiusura di un’epoca fin troppo silenziosa, quella dei diritti umani negati, delle non esistenze e dei personaggi senza tempo – Videla in Argentina, Pinochet in Cile, Meza Tejada in Bolivia, Alfredo Stroessner in Paraguay, Aparicio Mendez in Uruguay, Morales Bermudez in Perù, Geisel e Figueiredo in Brasile – personaggi che forse il tempo lo possedettero.
E noi? Noi guardiamo il passato come se fosse in vetrina e i mostri come se fossero frutto del caso, dunque tutto ci scorre, e rapidamente sovviene Ferdinando Bondone Segundo detto Brando, protagonista di Coloro che possedettero il tempo, romanzo di Francesco Bellanti:
In quella manciata di minuti … nella mente di Brando la ferocia della storia fu un assedio di fantasmi – del Ventesimo secolo e di ogni tempo- che volevano rientrare nelle scene del mondo, riprendere un cammino interrotto, riacquistare un destino, larve abbattute da un’idea, da un progetto. Si chiese Brando dov’era l’ordine e dov’era il disordine, dove era il male e dove era il bene, dove era il giusto e dove era l’ingiusto, dov’era la verità, che cos’era la verità oltre quei nomi, oltre quei fantasmi di quella sterminata biblioteca del tempo. Vide infine nell’ultima vetrina del Ventesimo secolo mezzo cranio di Hitler che lo guardava beffardo. Ma fu un baleno, un incubo pauroso, si era lasciato indietro ciò che poteva essere e non era stato – il caos, il tumulto, il marasma cosmico.
E che non sarà mai.
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