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Il clima è ormai cambiato

3 Giugno 2019

Il clima è ormai cambiato. La scuola è irriconoscibile, ha abdicato alla sua funzione e i docenti raccolgono con amarezza le macerie di un’istituzione, cercando  di resistere ai tentativi di annientamento: alla riduzione progressiva del loro ruolo educativo e di mediazione culturale si sta aggiungendo un altro spettro forse più subdolo, quello della violazione della libertà. Il recente caso della prof.ssa Dell’Aria, sanzionata – come è noto – per l’accostamento operato dalle sue classi, in un power point, tra il decreto sicurezza e le leggi razziali, è solo la punta di un iceberg.

In realtà tutto nella scuola è indizio di una cultura illiberale che si sta insinuando silenziosamente ma con la tenace  intensità delle malattie mortali. C’è un film – Detachment – che spiega magistralmente lo stato di disagio che vivono gli insegnanti, il loro senso di fallimento nei confronti di un sistema che fagocita ogni slancio trasformativo e abbatte tutti i tentativi di levare una voce “contro”: la cronaca dimostra che chi ci prova viene sanzionato.

Detachment comincia con una frase di Camus: non mi sono mai sentito allo stesso tempo così distaccato da me stesso e così presente nella realtà. Essere immersi ogni giorno nella vita della scuola, fatta di giovani curiosi che aspettano esempi e stimoli, e tuttavia non riconoscerla come luogo di relazioni umane, ma solo come spersonalizzante fucina di progetti “hands on”, laboratorio di sperimentazione, atelier di pratiche didattiche dove, appunto, in gioco è solo la pratica, mai la conoscenza, accende una nuova luce sul dramma che ogni giorno si consuma nelle aule scolastiche. La scuola è il banco di prova, lì si aggirano inconsapevoli cavie umane sulle quali operare tentativi, sperimentare fin dove il Potere si può spingere, da un lato privando i docenti della possibilità di trasmettere cultura, dall’altro sottraendo ai giovani l’occasione di acquisire saperi davvero critici.

Parlando dei ragazzi e del tentativo di educarli,  già nel 2000, in “Registro di classe”, testo pubblicato postumo e ancora attualissimo, Sandro Onofri scriveva: mi sforzo di accompagnarli in questo rito di passaggio che è la scuola, di presentarli alla vita con i muscoli forti e la mente sveglia e curiosa, ma mi chiedo se la stessa curiosità non si rivelerà un handicap, in una cultura che privilegia sempre più le specializzazioni e le competenze maniache, il contrario esatto della curiosità. Mi chiedo cioè se non sto insegnando loro la mia incapacità di adattamento alla realtà, una diserzione dal tempo, una sconfitta.

Una sconfitta, sì, certo, dovuta, però – a ben guardare – non all’inerzia dei docenti – di quanti, naturalmente, cercano di resistere all’aria del tempo – ma, piuttosto determinata da uno spettro che serpeggia  in un’Italia ancora sedotta dal passato, dai suoi rigurgiti costanti.

Si tratta di uno spettro che agisce subdolamente, perché, in fondo, piace, tocca le corde emotive più sensibili. Chi, infatti, non trova vera, plausibile, corretta, insomma giusta, la prospettiva del “buon senso”? È una lettura semplificativa della realtà, fa vedere le cose in modo lampante: o bianco o nero. Si tratta di una logica binaria che esclude complicazioni, dubbi, problemi: dà sicurezza. E in genere si accompagna alla demonizzazione della cultura, quella cosa melmosa che invischia e paralizza l’azione. Per la logica del buon senso in principio fu l’atto,  come scrisse Goethe nel Faust: e così, mefistofelicamente, nacque l’uomo del fare e lui spazzò via il pensiero, e si aprì così la strada a irrazionalismi attivistici che nella storia si sono ripetuti e potrebbero risorgere.

Chi non trova, poi, in fondo, condivisibili le preoccupazioni per i giovani senza lavoro e per la povertà di italiani debilitati da un’annosa crisi? Sarebbe impossibile non avvertire la fondatezza di quel grido “prima gli italiani” se non fosse che questa accorata premura porta con sé, nei fatti, come conseguenza, lo svilimento del concetto di persona, di ius humanum e mostra come rovescio della medaglia l’insorgenza di rabbia e odio per lo straniero volutamente dipinto come nemico che toglie … forse aria, ossigeno agli italiani. E così sono nate forze separative, disgregatrici, che stanno lacerando il tessuto sociale e spostano l’obiettivo della lotta dalle élite detentrici della ricchezza e del potere verso masse di diseredati in cerca di speranze. Fa comodo così al Potere.

Infine, a chi non piace quel tono sicuro, quella voce “maschia” che spiega evidenze nette e mostra nemici tangibili, che ha il piglio forte dell’uomo latino, protettivo, coraggioso, capace di chiamare le cose con il loro nome, in modo diretto, senza la retorica buonista tipica del cosmopolitismo intellettuale radical chic: il vero problema dell’Italia – spiega la voce virile – sono le classi senza i grembiulini, i professori che fanno politica in classe e i disturbatori dei centri sociali che inquinano le adunate pubbliche pre e post elettorali. Ecco bisogna avere il coraggio di ammetterlo: questi sono i veri ostacoli al progresso, e chi spreca fiato a parlare di razzismo, analfabetismo di ritorno, violenza giovanile, disoccupazione, povertà educativa e materiale, allentamento dei vincoli umani, assenza di cultura e degenerazione delle relazioni sociali, evaporazione dell’Altro, tirannide digitale,  probabilmente vive su un altro pianeta.

E la scuola che cosa può fare, in un clima del genere? Quale spazio resta a chi non rinuncia a insegnare, cioè a lasciare un buon segno su ragazzi che hanno bisogno di riferimenti? E per farlo occorrono tempo, libertà, relazione, humanitas, civiltà, cultura, reciprocità, pazienza, insomma cose che né una telecamera di sorveglianza, né aule riempite da alunni in grembiulino possono garantire. È inutile spostare il problema su inezie: la questione è seria.

Un esame di Stato senza storia tra le tracce della prima prova scritta; un orale ridotto a quiz, con tanto di estrazione di busta A,B,C; un colloquio in cui l’accertamento delle conoscenze deve farsi spazio faticosamente tra le chiacchiere che gli sventurati studenti dovranno improvvisare su un’Alternanza scuola-lavoro di cui si era proclamata l’abolizione e che invece è tornata preponderante nella definizione del voto finale della Maturità e per darle dignità non è bastato ribattezzarla ipocritamente con il roboante titolo “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, progetti affrettati messi in atto da scuole sempre più disorientate sulla loro stessa funzione sociale e culturale; un asservimento dei docenti a RAV, PTOF,  INVALSI, acronimi ridicoli che nascondono il totale vuoto di scopi e contenuti: ecco questo è il profilo della scuola del cambiamento, questo è lo specchio dell’Italia del cambiamento. Le promesse di smantellamento della Buona Scuola non sono state solo disattese, ma proprio tradite, con un rinforzo, anzi, dell’azione demolitiva verso ogni slancio culturale.

Comunque, non bisogna scoraggiarsi: saper guardare in fondo alla realtà, sotto e dietro le apparenze – i latini lo chiamavano subspicere  – darà i suoi risultati, basta allenare lo sguardo: e lontano una luce diventa sempre più grande nella notte che sta per finire (L. Dalla, La notte dei miracoli)

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