Governo
Il capitano ha perso la bussola
“I Si sono diventati un bel po’ di No. E con i No l’Italia non va da nessuna parte…E’ come in un matrimonio. Quando passi più tempo a litigare che a fare l’amore, è meglio guardarsi in faccia e fare scelte da persone adulte” (7 agosto).
“Io sfido 950 parlamentari a presentarsi subito in Parlamento e votare Si o No alla fiducia” (8 agosto).
“Chiedo agli italiani, se ne hanno voglia, di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare… Stiamo preparando un governo che durerà 5 anni a colpi di Si” (9 agosto).
Fino a quei fatidici 3 giorni, in cui si è aperta questa folle crisi di governo, Salvini non aveva sbagliato un colpo. Praticamente dal 2013. Il consenso della sua Lega dalle europee 2014 a quelle del 2019 era più che quintuplicato. La sua linearità al governo – a fronte di un partner di coalizione tentennante su tutto – aveva premiato il Capitano oltre ogni rosea previsione. Un anno di trionfi, con un’agenda dominata in lungo e in largo. A dire il vero, anche la scelta di rompere e di provare ad andare al voto poteva ancora essere una mossa vincente, con una posizione potenzialmente win-win. Della serie: se si vota subito, vinco comodamente; se mi mettono in minoranza e fanno il governo più indifendibile di sempre (“quelli di Bibbiano” e #senzadime), potrò lucrare dall’opposizione ogni giorno, urlando al ribaltone e al “fateci votare”, fino a farli crollare e a stravincere alle elezioni successive. Questo almeno era quello che immaginava il sottoscritto ancora pochi giorni fa, in questo articolo che sottolineava l’eventuale autostrada del consenso per un Salvini all’opposizione.
Poi però è successo di tutto. Appena il Capitano ha subodorato la possibilità di una maggioranza alternativa, ha iniziato una serie di testacoda che fanno pensare che abbia perso l’orientamento. Deve essere impazzita la bussola. Anziché presentare la mozione di sfiducia e ritirare simultaneamente tutti i suoi ministri, coerentemente con la spinta verso il “voto subito”, ha iniziato un balletto incomprensibile. Col “telefono sempre acceso” e un “io non mollo” che è diventato grottesco: la maggioranza non c’è più, il governo va sfiduciato, “delle poltrone non ce ne frega nulla”… e lui è rimasto al ministero (di un governo da lui decretato come finito) fino all’ultimo secondo utile.
Sono partiti ripensamenti più o meno espliciti, aperture irrealizzabili quali quella sull’approvazione del taglio dei parlamentari “e poi al voto”. Ipotesi (giustamente) respinta dal Quirinale – almeno così è trapelato – per chiara presa per i fondelli dei cittadini. O la riforma si fa come si deve (rivedendo anche collegi e leggi elettorali) o non si fa. Infine è arrivato il testacoda dell’ultimo minuto col ritiro della sfiducia a Conte. Un po’ presentato come un atto dovuto, un po’ un tentativo last minute per provare a passargli il cerino, la lettera scarlatta del “traditore” suggerendo la tesi di un complotto giallo-rosso in atto “da mesi”. “Ho staccato io la spina al governo? Se il presidente Conte si autostacca e si autolicenzia, è una scelta sua. Poi se qualcuno è già al tavolo con Renzi…” Insomma, dal “rifarei tutto” con cui ha esordito ieri al Senato, all’ “abbiamo scherzato” di un paio d’ore dopo.
Nella politica odierna, così come in ogni settore della società (dei consumi), la credibilità, l’immagine, la reputation sono i fattori-chiave che determinano vita e morte di un brand. E i leader politici oggi sono a tutti gli effetti equiparabili ai brand. Dietro alla fidelizzazione dei consumatori-elettori ci sono diverse scorciatoie cognitive, tra le quali anche quelle degli archetipi (non a caso molto usati nel marketing e nello storytelling aziendale). Se Salvini è considerato “il capitano” dai suoi fan è perché ha dimostrato determinazione e linearità nel tracciare una rotta (anche se, come ho scritto diverse volte, quella rotta in realtà è determinata da media e opinione pubblica e i leader più efficaci si limitano a farla propria, diventando così ottimi follower dei nostri desiderata). E il suo volontarismo (volere è potere) ha avuto di fronte, per 14 mesi, un partner politico totalmente non lineare e più vocato verso i No che verso i Si. Il Capitano, eroe ribelle (in termini di archetipi), volava, diventando egli stesso l’agenda, unico argomento di discussione politica e soprattutto mediatica.
Ebbene, in questi giorni quella linearità è diventata una maionese impazzita. L’eroe ribelle è diventato un concentrato di contraddizioni. Il suo “volere” si è perso per strada, tra il voto subito e i telefoni sempre accesi, la sfiducia e il ritiro della mozione, il non attaccamento alle poltrone e le sue dirette FB sistematicamente dal Viminale. Si è arrivati al punto che Grillo – fondatore e “padre nobile” di un movimento che ha cambiato idea praticamente su tutto – ha potuto dire serenamente che “Salvini ormai è inaffidabile”.
Chiaramente la crisi non è ancora chiusa e nessuno ha certezze su come finirà. Né sappiamo quanti italiani l’abbiano davvero vissuta con la dovuta attenzione a tutti i passaggi, dato che si è avviata (e avvitata) in pieno agosto. Allo stesso modo, non è mai facile decretare un crollo di immagine definitivo. La memoria degli elettori è brevissima (quasi azzerata ormai) e le logiche che spingono verso l’abbandono finale di un leader sono molteplici e non sempre facili da individuare. Di certo, però, l’immagine di Salvini ha subito un danno, rilevante. E’ stato colpito il “nocciolo duro” della sua rappresentazione, agli occhi dei fan. Lo scarto delle scelte rispetto alle aspettative potrebbe essere vissuto come un tradimento della vera mission salviniana: l’ “uomo Denim” (“che non deve chiedere mai”), il Truce, colui che “non arretra di un centimetro” si è impantanato nelle sabbie mobili. E per di più quelle sabbie mobili se le è create da solo.
Se il danno diventerà un crollo non è lecito saperlo, né oggi possibile prevederlo. Se non lo diventerà e Salvini passerà all’opposizione, potrà tranquillamente riprendere a crescere nei consensi, cosa molto più facile all’opposizione che al governo e con tante frecce al suo arco, dato il tipo di maggioranza che potrebbe nascere in questi giorni. Se invece il danno dovesse diventare irreversibile, le naturali oscillazioni dell’opinione pubblica inizieranno a stabilizzarsi verso il basso. E la sua leadership potrebbe cominciare a scricchiolare seriamente.
Nel mentre, sarebbe forse utile che a destra si muovesse anche altro. Le brutte copie e i dead parties walking non garantiscono molte alternative agli elettori finiti nelle sabbie mobili.
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