Governo

Il bicameralismo paritario italiano alla prova del referendum costituzionale

28 Novembre 2016

Con il prossimo referendum costituzionale del 4 dicembre i cittadini italiani decideranno se approvare o respingere le modifiche alla Carta Costituzionale inserite all’interno del corposo pacchetto di riforme Renzi-Boschi. Un agglomerato eterogeneo di modifiche che spaziano dall’eliminazione del bicameralismo paritario, alla modifica del Senato, alla rimodulazione delle competenze esclusive delle due Camere, delle Regioni e dello Stato e all’eliminazione del Cnel.

Vista l’ampiezza e la complessità degli argomenti trattati dal referendum costituzionale lo scopo di questo mio contributo vuole essere quello di fare un passo indietro nella storia per capire quali sono state le direttrici che hanno mosso i padri costituenti nel delineare il bicameralismo paritario e per fornire al lettore una base storica da cui partire per valutare il quesito referendario.

La Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica italiana, ovvero è il vertice nella gerarchia delle fonti di diritto dello stato italiano.

È stata approvata dall’Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello stato Enrico De Nicola il 27 dicembre seguente. Fu pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio dell’anno successivo, il 1948.

L’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana fu l’organo legislativo elettivo preposto alla stesura di una Costituzione per la neonata Repubblica e che diede vita alla Costituzione della Repubblica Italiana nella sua forma originaria. Le sedute si svolsero fra il 25 giugno 1946 e il 31 gennaio 1948. La Costituente è stata la prima fase di determinazione democratica della nazione in quanto lo Statuto Albertino fu concesso per grazia del sovrano ed esteso dal regno sabaudo al nuovo regno d’Italia senza alcun passaggio costituente.

Il dibattito politico e culturale che si è svolto successivamente alla stesura della Carta Costituzionale ha spesso insistito sul fatto che la Carta fu il risultato del compromesso raggiunto tra forze politiche al prezzo di reciproche concessioni. Ma se nella prima parte della Carta ( quella che tratta i diritti ) il confronto fu più lineare, nella seconda invece, quella che riguarda la struttura organizzativa dello Stato e delle sue istituzioni, il confronto fu più arduo in quanto più che parlare di compromessi si dovrebbe parlare di tatticismi allo scopo di usufruire di eventuali vantaggi futuri o supposti tali da parte di tutte le forze politiche rappresentate nell’Assemblea.

La Carta Costituzionale è stata stilata ispirandosi a due direttrici : una prima che ne delineasse i principi e le garanzie fondamentali della convivenza e dello sviluppo democratico della Repubblica e una seconda come strumento ordinatorio dei rapporti di potere tra gli organi dello Stato.

Nel corso della storia repubblicana ogni qualvolta si è riformata la Carta Costituzionale, secondo l’iter delineato dagli articoli 137 e 138 della Costituzione, si è riformato la seconda parte in quanto, i principi enunciati nella prima , sono stati sempre considerati principi condivisi e attuali. La modifica di tali principi potrà avvenire solo quando la coscienza comune non riterrà di doverli modificare in corrispondenza di grandi mutamenti epocali. Comunque se si volesse apportare eventuali modifiche è imperativo rammentare che le norme presenti nella prima parte, essendo principi e garanzie, necessitano di una particolare cautela in quanto la loro riscrittura potrebbe fissarne una nuova interpretazione temporanea. Le norme presenti della seconda parte ( quelle che delineano la struttura degli organi istituzionali ed i rapporti tra gli organi dello Stato ) essendo di natura politica invece risentiranno maggiormente del condizionamento e delle circostanze storiche in quanto è proprio li che è in gioco la distribuzione del potere territoriale.

La rigida procedura di modifica della Carta Costituzionale è stata pensata dai padri costituenti proprio per il timore che costituzioni di tipo flessibile, ovvero mancanti di rigide procedure di modifica, potessero finire vittime delle fluttuazioni politiche del tempo.

Nel nostro paese è in vigore il bicameralismo perfetto o paritario. Un sistema nel quale vengono assegnati identici poteri ad ambedue le camere ( Camera dei Deputati e Senato della Repubblica ): quello dell’elezione del Presidente della Repubblica a camere congiunte, quello di  confermare la fiducia al Governo e quello dell’approvazione delle leggi.

Il bicameralismo paritario italiano è stata la questione tra le più dibattute durante i lavori della Costituente. Pur passando gli anni è rimasta la chimera per le maggioranze politiche che si sono succedute in quanto, pur alternandosi progetti di modifica costituzionale elaborati da commissioni bicamerali o da maggioranze politiche del tempo, non si è mai arrivati alla conclusione dell’iter di modifica.

Le leggi elettorali che si sono succedute e la varie modifiche apportate ai regolamenti parlamentari ne hanno indirettamente però smussato le differenze sostanziali rispetto alla prima stesura della Carta Costituzionale. Infatti i caratteri distintivi rimasti delle due Camere si possono identificare nella maggiore anzianità degli eletti e degli elettori nel Senato ( quale retaggio di quanti pensavano al Senato quale camera di riflessione), dal minor numero di senatori rispetto ai deputati, dal numero minimo di senatori per ogni Regione derogando al principio di proporzionalità a favore di quelle meno popolate e dalla presenza di senatori a vita.

Il bicameralismo italiano si è dunque tramutato in un qualcosa di diverso. Come affermato da Leopoldo Elia ( già nel 1990 ) si deve parlare di un bicameralismo sostanzialmente procedurale , la cui principale ragion d’essere è finita per risiedere nella “ possibilità di ripensamento che a un parlamento di partiti viene offerta ai partiti stessi, ora nella Camera dei deputati ora nel Senato della Repubblica, per confermare o rivedere la scelta compiuta nel ramo del parlamento che per primo ha discusso dell’affare “. Secondo lo stesso Elia i disegni di legge proposti da una camera si sarebbero dovuti intendere approvati se entro un termine preciso ( quindici giorni ) l’altro ramo del parlamento non l’avesse preso in esame e sottoposto ad approvazione.

Le Camere avrebbero dovuto dunque avere la capacità di dividersi il lavoro legislativo così da velocizzarne l’iter arrivando ad unificare la burocrazia parlamentare e le maestranze .

Inoltre le diverse leggi elettorali che sono subentrate, con il passaggio dal sistema proporzionale al maggioritario di collegio prima e il proporzionale con premio di maggioranza poi, hanno minato il modello bicamerale non essendo state in grado di adattarsi alle diverse peculiarità delle due camere facendo emergere le differenze e le difficoltà. Infatti con la regionalizzazione dei premi si è resa ancora più probabile la formazione di maggioranze diverse tra le camere.

Secondo la proposta di riforma della Costituzione che andremo a votare il 4 dicembre prossimo, l’articolo 55 ( comma 4 ) definirà le nuove competenze del Senato: “ l’esercizio delle funzioni di raccordo tra Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione Europea”; “ partecipa”  “ alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Ue”. Inoltre il Senato “ verifica l’impatto delle politiche dell’Ue sui territori” e “ la valutazione delle politiche pubbliche e delle attività delle pubbliche amministrazioni “ nonché “ verifica l’attuazione delle leggi dello Stato “.

Tutte queste nuove attribuzioni sicuramente si muoveranno nel senso opposto di quanto affermato dai promotori della riforma perché, senza la riscrittura dei regolamenti parlamentari, le significative attribuzioni di controllo del nuovo Senato porteranno alla paralisi delle istituzioni del paese. Inoltre demandando alle singole regioni il compito di elaborare le leggi elettorali per l’elezione dei senatori, si correrà il rischio di avere un Senato disomogeneo. Un Senato dove i senatori si dovranno dividere tra la gestione amministrativa della propria città ( se Sindaci ) o della propria regione di appartenenza ( se consiglieri regionali ) e l’impegno in Senato.

Certamente il nostro paese e le nostre istituzioni necessitano di essere riformate per poter al meglio rispondere alle sfide di un mondo globalizzato sempre più liquido e concorrenziale. Ma a mio parere la nostra Costituzione non necessita di una riforma dall’interno ma dall’esterno ovvero dall’interpretazione e l’uso che ne fanno gli attori politici. Prima di stravolgere l’attuale Carta Costituzionale si sarebbe dovuto, anzi si dovrà in futuro, reinterpretarla tornando ai principi ispiratori dei padri costituenti.

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