Governo
Il 2016 “Politico”. Anno di transizione o di fine epoca?
E’ sempre difficile improvvisarsi premonitori in politica, lanciarsi in analisi sulle futuribili prospettive che potrebbe prendere l’anno prossimo venturo. Il 2016 sarà però un anno che ci si presterà alquanto agevolmente, visto le scadenze “fisse” che le forze politiche affronteranno. Stiamo parlando delle elezioni amministrative di Giugno e del referendum costituzionale confermativo di Ottobre. Saranno momenti decisivi per i partiti italiani, che ne indirizzeranno la strategia, o addirittura il destino, come ha chiarito il premier e segretario Pd Matteo Renzi nella conferenza di fine anno riguardo il valore del referendum autunnale sul ddl Boschi.
Su questi due punti fermi si può tentare allora di elaborare che piega prenderà il 2016 per ogni movimento politico:
- Partito Democratico, ancora una volta la forza guidata da Matteo Renzi sarà centrale nel panorama politico ed istituzionale, ma a differenza dall’ascesa a segretario dell’ex-sindaco di Firenze, questo sarà il primo anno che il nuovo Pd affronterà la contesa politica in una posizione difensiva. Saranno passati infatti ormai 2 anni dall’insediamento del governo rottamatore, la spinta energica delle riforme impostate e per lo più approvate si esaurirà con le votazioni finali su ddl Boschi, i decreti attuativi del Jobs Act, della Buona Scuola, della P.A. e della riforma della giustizia, insieme alla chiusura del dibattito riguardo provvedimenti come le Unioni Civili e Ius soli. Al netto delle feroci proteste subite, questi provvedimenti sono stati la chiave del successo – fin qui – di Matteo Renzi. Lo hanno fatto riconoscere, insieme al Pd, come asse centrale della nuova stabilità del Paese, occupando tutto lo spazio propositivo dell’offerta politica. Il resto degli altri partiti e movimenti non hanno potuto altro che ricollocarsi nello spazio oppositivo, radicalizzando e strumentalizzando qualsiasi confronto dialettico. Questa centralità dunque per essere difesa e mantenuta dovrà basarsi su di un nuovo fronte, già aperto comunque dal segretario Pd. Cioè quello della ripresa economica e del taglio delle tasse. Dopo la scorsa pausa estiva infatti il premier annunciò un piano triennale di riduzione generalizzato delle tasse, con l’intenzione di riuscire ad evidenziare ancora di più la politica riformista messa in campo fin dall’inizio dal governo (bonus 80 euro, de-contribuzione contratti a tempo indeterminato, costo lavoro dell’Irap, etc.) ed a resuscitare gli spiriti animali di un clima di fiducia e di ripresa dei consumi in tutto il Paese. La legge di stabilità da poco approvata ha corrisposto in pieno a questo programma, affrontando il primo step del processo di abbattimento fiscale, cioè l’abolizione della Tasi sulla prima casa, la continuazione degli sgravi contributivi sulle assunzioni e il maxi-ammortamento per gli investimenti aziendali. Si vedrà se queste misure produrranno gli effetti – politici ed economici – sperati. Il tema economico-lavorativo rimarrà comunque centrale per le scelte del governo, sia su temi programmati sia sulle emergenze da affrontare (come quella del caso banche). L’obiettivo sarà rendere percepita a tutti i cittadini, e non solo raccontata, la ripresa che diversi e plurali dati statistici hanno rilevato durante l’intero 2015. Con uno sfondo sociale del genere, il Partito Democratico potrà vivere l’elezioni amministrative di Giugno con minori patemi d’animo, rivitalizzato da primarie per le scelte dei candidati sindaci che dovranno lanciare proposte e personale politico adeguato al nuovo corso che ormai da due anni il Pd nazionale vive, ma che sui territori difficilmente è riuscito a prevalere. La centralità politica dovrà essere vissuta come apertura e non certo arroccamento, anche per evitare le probabili accuse – già manifestate – di volere spaccare il centro-sinistra a livello locale e fondare così il fantomatico Partito della Nazione, ovvero ennesima riedizione del trasformismo politico italiano. Le eventuali rotture delle coalizioni di centro-sinistra dovranno essere affibbiate agli ex-alleati massimalisti con cui hanno governato la maggiori città italiani che andranno al voto. Certo l’appello dei tre sindaci arancioni (Milano, Genova e Cagliari) darà una forte mano al Pd per non essere individuato come il colpevole degli strappi annunciati, come quelli di Torino e Bologna. Riuscire a passare incolumi questa insidiosa tornata elettorale per il Pd significherebbe mantenere le città in cui si è governato e perdere giusto le città di Napoli e Roma, dove gli errori commessi nell’arco degli ultimi anni rischiano di essere invincibili anche per un’ irrealistica – ad oggi – campagna in prima persona del premier stesso. Un risultato positivo delle elezioni amministrative non potrà che essere un buon viatico per il referendum confermativo di Ottobre oltre che un’efficace arma che depotenzierà ogni velleità delle opposizioni per costruire una campagna del No, visto che già ora viene descritta come un’elezione politica anticipata che deciderà il destino di Matteo Renzi, del suo governo e del Pd.
- Sinistra Italiana, sarà un anno di fondazione per la neonata aggregazione dei partiti, movimenti e personalità alla sinistra del Pd. Infatti tra i mesi di Gennaio e Febbraio si compierà il congresso fondativo per la costituzione del nuovo soggetto politico che vorrebbe intraprendere la strada vincente dei “cugini” spagnoli e greci di Podemos e di Syriza. Tutti i più attenti analisti oggi però vedono difficile la possibilità di imboccare tale percorso, in primis per le oggettive differenze e storie dei protagonisti nostrani con i loro modelli mediterranei – in Italia infatti questo è tutto un mondo che ha da tempo affrontato la sfida di governo, che ha deciso totalmente di rinnegare con l’ascesa di Renzi, per tracciare una via nuova e radicale – e secondo proprio perché il campo della radicalità e della protesta sociale in Italia è ormai occupato stabilmente dal M5S di Beppe Grillo. Con questi presupposti infatti già si sono evidenziati i primi distinguo, i più evidenti quelli del segretario della Fiom Maurizio Landini e del fuoriuscito Pd, con la sua Possibile, Pippo Civati, che non ci hanno messo molto per definire questo percorso un’operazione di Palazzo e di ceto politico. Un altro gancio ben assestato è stato poi, appunto, l’appello dei sindaci arancioni, chiaramente rivolto a questa nascente forza, ricordando come sia un errore utilizzare l’elezioni amministrative come strumento di lotta contro il governo Renzi, abiurando così invece alle coalizioni innovative che li hanno portati a vincere 5 anni fa in quasi tutte le maggiori città italiane. La fase costituente e congressuale quindi già si delinea decisiva per gli esiti di Sinistra Italiana, che rischia con le scelte che assumerà proprio nel 2016 di avere una vita brevissima. Lo scontro frontale con il Pd sembra ad oggi essere la principale via al suicidio, che porterà ulteriore frammentazione invece che unità. Difficilmente centinaia di amministratori locali al governo da 5 anni seguiranno questa linea disfattista e di rottura, preferendo preservare le coalizioni più o meno arancioni. Il Pd, saggiamente, pare che stia evitando ogni pretesto per rompere tali alleanze, si veda come esempio la decisione di sostenere per acclamazione per un secondo mandato il sindaco di Cagliari Massimo Zedda. La strada dunque è strettissima, se al congresso vincerà la linea del rancore personale nei confronti di Matteo Renzi interpretata dai fuori usciti del Pd, tutto sembra già segnato come l’ennesimo flop dell’ennesima avventura di sinistra-sinistra. Se invece proprio il modello Podemos avrà successo forse questa volta qualcosa di più costruttivo si potrà riconoscere in questa vicenda politica. Infatti l’ascesa della formazione di Pablo Iglesias non si sta rivelando infausta per la sinistra spagnola, nella sua generalità, come al contrario si è dimostrata con il M5S in Italia (viene in mente il triste teatrino che ha dovuto subire Pierluigi Bersani dopo aver “non vinto” le elezioni di Febbraio 2013). Certo sarà difficile per il PSOE trovare un compromesso con Podemos dopo le elezioni politiche del 20 Dicembre, ma questa strada non è sbarrata, ma – anzi – invocando “il tempo degli statisti” il leader Iglesias sta tentando proprio di incalzare il partito tradizionale della sinistra spagnola in vista di un accordo storico che trasformi istituzionalmente e politicamente il paese iberico. Le elezioni amministrative in Italia quindi potranno diventare il terreno fertile con cui sfidare il Pd non in uno scontro fratricida, ma in una competizione di innovazione e partecipazione che lo strumento delle primarie, da adottare nelle varie città, potrà consentire. Il successo delle elezioni non si potrà cosi iscrivere solo al Partito Democratico di Renzi, ma potrà invece indicare il nuovo percorso di un centro-sinistra in grado di scacciare i fantasmi del Partito della Nazione e dei tentativi trasformistici dell’establishment italiano. Arrivando così ad un compromesso anche esso storico che riguarderà la natura del referendum confermativo non più da affrontare come plebiscito sul governo, in cambio di una possibile rivisitazione della legge elettorale, l’Italicum.
- Le Destre
, hanno un destino comune, anche se in questo anno la loro pluralità ha dato più la sensazione di cacofonia che di armonia. Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, Ncd, etc., non potranno che – per cause di forza maggiore, vedi Italicum, o per mero interesse particolare, vedi la forza elettorale del M5S – trovare un percorso collettivo per affrontare le scadenze del 2016. Certo l’astro nascente di Matteo Salvini, ormai consolidato, sarà quello che detterà le regole e darà le carte, ma se la Lega non cercherà in tutti i modi un ampio accordo con i suoi alleati naturali rischierà solo di rendere la Destra, per la prima volta nella storia italiana, inconcludente e perdente a prescindere. Un leader così in ascesa non se lo può permettere, rischierebbe senno neanche di giocarsi le sue chance per le future elezioni politiche, essendo il contendente più accreditato ad affrontare il Pd di Renzi. Lo schema di gioco quindi – a parte la totale opposizione già vissuta in questi due anni – sarà replicare il successo delle coalizioni civiche che hanno vinto importanti sfide comunali lo scorso giugno, vedi per esempio Venezia con Massimo Brugnaro o le conquiste di Arezzo, Perugia e Matera. A Roma si vuole tentare questa strada con il civico Alfio Marchini, a Milano invece il percorso è ancora in salita, dovuto anche alla forza elettorale della giunta arancione o di una possibile candidatura di Giuseppe Sala. Riuscire a vincere però nella Capitale e in un’ altra grande piazza renderebbe molto più agevole il percorso di ricostruzione e permetterebbe di affrontare con più maturità il test del referendum costituzionale di Ottobre. Infatti la sfida elettorale amministrativa sarebbe così superata con una certa agevolezza, e il referendum decidendo di non affrontarlo come plebiscito, ma lasciando la libertà di voto e di coscienza, consentirebbe di disinnescare una facile vittoria ed incoronazione per Renzi, tentato così invece di fare cappotto con delle elezioni politiche da convocare susseguentemente. Questo approccio non sarebbe una fuga dalle responsabilità, ma una sapiente strategia di temporeggiamento per finalizzare la ricostruzione di un centro-destra vincente. Perché seppur la gamba della Lega è in ascesa (con a ruota quella specie di Rifondazione An che è Fratelli d’Italia), le altre gambe del tavolo non vedono finire la loro discesa negli inferi. Forza Italia rischia seriamente l’annientamento politico ed organizzativo, il resto dei centristi in queste condizioni invece rimarranno sempre inchiodati dall’opinione pubblica come fautori del più strenuo e risoluto poltronismo. Matteo Salvini non si più permettere che l’eredità politica di Berlusconi si disciolga in questo modo, anche lui dovrebbe essere interessato alla possibilità di un rimescolamento e di una ricostruzione. Passaggio difficile, e realizzabile solo con quell’ approccio costruttivo prima descritto al referendum di Ottobre. I meriti della riforma delle istituzioni italiane non potrà essere riconosciuta solo a Matteo Renzi, ma anche – almeno – ad una forma di desistenza attuata dal centrodestra, memore della sua precedente riforma costituzionale, la Devolution, impantanata e sconfitta proprio perché vissuta come procedimento plebiscitario. In cambio di questa scelta strategica la nuova galassia del mondo conservatore italiano potrebbe avere quel tempo necessario per ricostruire anche la gamba moderata necessaria per essere credibile nel Paese e nei confronti dei partner europei. Magari arrivando allo scioglimento dei vari vasi di coccio oggi presenti, e arrivando allo costituzione di un Nuovo Popolo delle Libertà in grado di essere contendente forte, democratico ed organizzato per la leadership di questa area nei confronti della Lega di Salvini. Il modello quindi semmai sono Les Républicains di Sarkozy e Juppè, non certo Marie Le Pen.
- M5S, il 2015 è stata un anno di grande mutazione per il movimento di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Insieme ormai ai soliti cliché (epurazioni, dittatura del web, istrionismi retorici e populisti, bagarre parlamentare, etc.), ci sono state molte svolte all’interno del mondo pentastellato. Forse è meglio annotarle una ad una: formazione del Direttorio; ascesa dei portavoce Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista; spuntatura del nome di Beppe Grillo dal simbolo del Movimento; definitiva sdoganatura televisiva e inondazione di presenze nei palinsesti dei talk-show; occhiolino all’establishment mediatico (quindi di conseguenza, economico…) italiano; lottizzazione dei posti politici ed istituzionali dovuti quali prima forza di minoranza parlamentare; finta opposizione a provvedimenti ritenuti benefici come l’Italicum; etc. Tutto ciò ha reso mediaticamente appetitoso il M5S, identificandolo agli occhi dell’opinione pubblica come principale alternativa al governo Renzi e gonfiandolo così nei sondaggi. Il 2016 quindi si appresta a diventare l’anno della svolta per i cinquestelle. Vittoria o ridimensionamento, non ci sono alternative. Se questa prospettiva sta fomentando appunto il circolo magico costituito su il Direttorio (quindi l’establishment parlamentare che sta tentando di impadronirsi del movimento stesso), i due fondatori sembrano essere più preoccupati. Grillo si sta defilando sempre più dalla sua creatura, lasciando a Casaleggio il compito di tenere le redini ed il controllo. Ma la strategia del secondo non è simbiotica a quella dei suoi portavoce. Presumibilmente crede infatti che ancora non sia arrivato il momento di incassare il presunto consenso che il movimento sta ottenendo, la vera posta in palio non sono le città al voto in Giugno, ma la prospettiva di andare il prima possibile al voto per l’elezioni politiche e lì sprigionare tutto il proprio potenziale. Perchè senno non far candidare i cavalli di razza del movimento in città importanti come Roma e Napoli (si parla sempre e comunque di Di Battista e Di Maio …), che tutti gli analisti danno oggi come conquistabili ed invece ingineprarsi in percorsi di presunta democrazia e partecipazione per la scelta dei candidati sindaco? La grande paura inoltre è quella di disvelare l’inconsistenza amministrativa e di governo che il M5S vive in ogni città in cui ha vinto le elezioni. E’ incredibile infatti come in tutti (pochi) comuni pentastellati siano scoppiate crisi amministrative, malfunzionamento gestionale, clientelismo, epurazioni, tradimenti di promesse elettorali e nel sensazionale caso di Quarto addirittura il rischio di scioglimento per Mafia (!!!). Vivere un solo anno del genere in contesti mediatici molto più amplificati come Roma o Napoli (chiedere all’ex-sindaco Marino, per inciso…) taglierebbe le gambe a qualsiasi velleità nazionale dei pentastellati. Ecco allora che la divergenza tra le due linee potrebbe diventare ancora più evidente nell’arco del nuovo anno: conquista del potere da parte del Direttorio vs la ricerca della sconfitta da parte della Casaleggio Associati. La strategia dei portavoce-parlamentari sembra essere quella di “adesso o mai più”, sentendo alle proprie spalle la già citata confidenza con il mondo dei media, potrebbero credere che sia arrivato il momento di assestare due colpi micidiali alla leadership di Renzi portandolo a rovinose sconfitte sia alle elezioni di Giugno, sia (soprattutto) al referendum di Ottobre. L’obiettivo strategico è così grande che può oscurare facilmente le contraddizioni amministrative che il movimento sta vivendo e in special modo (incredibilmente, sarebbe da dire …) la totale giravolta riguardo il nuovo assetto istituzionale: da fautori della rottura del sistema da aprire come una scatoletta di tonno, alla difesa dello status quo e dell’ennesimo fallimento di una riforma costituzionale. Casaleggio invece – aiutato comunque da Grillo – cercherà di far vivere al M5S sconfitte onorevoli in entrambi gli appuntamenti, in primis per evitare di bruciarsi e poi per ereditare un sistema politico-istituzionale semplificato e più facile da governare con una eventuale vittoria alle politiche grazie all’odiato Italicum. Questa strategia è già in atto, evidente nelle dichiarazioni di Grillo su un plausibile destino pentastellato per Roma (in poche parole, da passarci sopra il sale come se fosse la Cartagine di Catone il Censore …), nei molteplici e criticabili metodi usati per scegliere i candidati sindaco nelle principali città (a Bologna addirittura c’è stata una designazione dall’alto, altro che democrazia del Web…) e nella spirale epurazionista che sta riprendendo tra le fila dei parlamentari e anche tra gli eletti nei comuni (vedi la possibile cacciata e sfiducia nei confronti dei sindaci di Gela e Quarto). Quale delle due linee uscirà vincente? Saranno i primi mesi del 2016 a dichiararlo …
- CONCLUSIONI, risulta evidente come – soprattutto grazie alla presa di posizione del premier Renzi riguardo la sua leadership rispetto al referendum costituzionale – l’appuntamento elettorale decisivo del 2016 sarà quello di Ottobre, e altrettanto decisivo sarà come lo inquadreranno tutte le forze politiche. Se infatti il fronte del Si verrà lasciato totalmente in mano al PD, la natura plebiscitaria tanto temuta diventerà realtà, e con una sua vittoria sarà molto difficile per Renzi evitare di dichiarare conclusa questa legislatura dimostratasi costituente e in grado quindi – sull’onda del successo appena ottenuto – di portare il Paese al voto per realizzare concretamente la riforma voluta dal popolo. Le più o meno plausibili ammaccature che il Partito democratico potrebbe subire alle elezioni di Giugno saranno considerate soltanto una valutazione delle amministrazioni locali, non certo un voto sul governo, la propaganda del premier si è già azionata a riguardo e diventerà sempre più potente. Tutte le opposizioni quindi dovrebbero tentare di giocare d’anticipo, depotenziando il valore politico del referendum, e rilanciando la stagione riformista di questa legislatura – proponendo accordi su di un nuovo Italicum, sulla creazione della macro regioni, su di un nuovo statuto per Roma Capitale e le Aree Metropolitane – non soltanto tatticamente per avere più tempo per organizzarsi (questo vale soprattutto per la Sinistra Italiana ed il Centro-Destra…) e per tenere ancora legato ad un governo di compromesso, quindi logorandosi, Matteo Renzi, ma soprattutto per riposizionarsi strategicamente nella area politica della proposta, unico modo per avere quel consenso elettorale necessario a vincere le elezioni in Italia. Se il 2016 sarà un anno di transizione o di fine epoca dunque spetterà deciderlo prevalentemente alle opposizioni.
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