Governo

I tweet di Renzi come le telefonate di Berlusconi: l’odio verso l’informazione

28 Gennaio 2015

Ha ragione Corrado Formigli, conduttore di Piazza Pulita: sarebbe stato meglio fare come Berlusconi, ossia chiamare in trasmissione invece di twittare. Almeno ci sarebbe stata la possibilità di un confronto, evitando una comunicazione monodirezionale (attuata senza neanche citare il bersaglio dell’attacco). L’intervento di Matteo Renzi contro i talk show potrebbe essere un’altra perfetta puntata di “immaginate se lo avesse fatto Silvio?”. Invece preferisco evitare, perché il giochino si sta ripetendo troppo spesso.

Il riepilogo della vicenda è semplice: il presidente del Consiglio ha criticato, nei soliti 140 caratteri, il modo di fare giornalismo politico in tv durante una puntata di Piazza Pulita su La7. E successivamente ha forse fatto di peggio: ha sostenuto che è necessario cambiare il racconto che viene fatto dell’Italia e della politica. Forse, a suo giudizio, mancano i mulini bianchi di famiglie gaudenti e felici. Oppure, nella nuova veste di docente di giornalismo, rimpiange il modello dei cinegiornali Luce.

In un Paese con coscienza critica la questione sarebbe diventata di portata nazionale, non relegata a un batti e ribatti su Twitter e sui siti Internet. Forse è opportuno ribadire il concetto: un capo di governo ritiene una cosa «seria» dover cambiare il modo di fare giornalismo. Come se la cosa riguardasse l’esecutivo. Pertanto sarebbe importante comprendere come vorrebbe giungere a cotanto risultato il leader del Partito democratico. Vorrebbe riformare l’informazione per decreto, magari inserendo il reato di “retroscenismo giornalistico” (con l’aggravante di Lesa Maestà se presenta critiche al premier)?

Uno dei veri problemi (del giornalismo, ahimè) è che non viene dato seguito a quanto viene detto dai vari esponenti politici. Il cicaleccio quotidiano finisce per obliare le “solenni” affermazioni fatte qualche ora prima. Di fronte alla sfida di «cambiare il racconto dell’Italia», sarebbe interessante sapere il “pensiero profondo del renzismo”: una locuzione che assomiglia a un ossimoro.

Eppure il segreterio del Pd dovrebbe ringraziare alcune pecche dell’italica informazione: il toto Quirinale minuto per minuto ha fatto passare in secondo piano un tema di importanza gigantesca come la riforma della Costituzione. Più che “fare il rosicone” per qualche ricostruzione a lui sgradita, dovrebbe apprezzare certe sviste giornalistiche, in quanto ne risulta sostanzialmente beneficiario. Ma forse non si accontenta: vuole ancora di più.

Questo serve anche a comprendere come il settore dell’informazione sia davvero stracolmo di problemi, seri e radicati. La crisi dei giornali, infatti, non può essere solo addebitata a un destino cinico e baro. Nella fattispecie, però, non voglio fare una disamina sul mondo del giornalismo, ma mettere a fuoco la gravità del pensiero di Matteo Renzi, che dimentica di ricoprire un ruolo istituzionale di primissima importanza che imporrebbe ben altro aplomb.

La denigrazione del detrattore è una delle peggiori operazioni politiche e culturali. Specie se condotta da un avamposto di potere come Palazzo Chigi.

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