Governo

I sogni di Alessandro Di Battista si infrangono su dispacci venezuelani

21 Giugno 2020

Prima ancora che la crisi sanitaria sia terminata, il Movimento 5 Stelle appare in subbuglio. L’accusa di aver ricevuto finanziamenti illeciti dal regime bolivarista venezuelano si mescola alle mire di Alessandro Di Battista, che sembra tastare il terreno per diventare il capo politico del movimento. Stavolta, si candiderebbe contro i vertici pentastellati, insofferenti verso la sovraesposizione mediatica dell’ex parlamentare.

La coincidenza di questi due eventi è sospetta. Alessandro Di Battista è il leader pentastellato che più si è espresso a favore dell’accantonamento dell’ordine internazionale incentrato sugli Stati Uniti d’America. Ha espresso parole al velluto per i governi che vi si oppongono, dal Venezuela all’Iran. Il suo ritorno sulla scena mediatica sembra essere il momento migliore perché un quotidiano conservatore spagnolo diffonda la notizia di fondi elargiti illegalmente dal regime chavista a Gianroberto Casaleggio. Difatti, una notizia che sarebbe oggettivamente apparsa come una falsità, acquisisce un’aura di credibilità grazie al ritorno dell’ex parlamentare.

Chi ha diffuso la notizia potrebbe avere il mero interesse di inculcare il dubbio in parte dell’opinione pubblica e delle cancellerie internazionali in modo da mettere in crisi il movimento o il governo. Aggiunge dubbi a chi ricorda che l’Italia fu uno dei pochi paesi a schierarsi con il presidente Nicolas Maduro contro l’autoproclamato Juan Guaidò. Mossa peculiare in cui l’afflato ideologico, seppur lodevole, superava l’interesse nazionale che avrebbe dovuto almeno esprimere vicinanza ai numerosi italo-venezuelani, schierati apertamente con Guaidò.

In particolare, l’interesse nazionale fu sacrificato senza ottenere nessuna concessione in cambio. Il petrolio venezuelano continua ad essere prerogativa di russi e cinesi, il ruolo di mediazione fu giocato dal Vaticano e nessun alleato espresse parole di rispetto verso una decisione idealmente corretta. Il movimento dovrebbe quindi prestare attenzione a quanto accade, perché la notizia, anche se fasulla, potrebbe avere seguiti rilevanti.

Come il sostegno a Maduro, le critiche che Di Battista esprime al governo di cui il M5S rappresenta la maggioranza, appaiono mosse da chi si rifiuta di vedere la realtà dei fatti. L’ex parlamentare snocciola frasi fatte tutto sommato giuste, come la revisione del patto atlantico, un ruolo più importante dello stato nell’imprenditoria, la lotta alla corruzione, la revoca delle concessioni autostradali. Ma come si applica tutto ciò?

Ha intenzione di far cadere il governo Conte per rilanciare i pentastellati? Vuol ritornare in braccia a Matteo Salvini, il quale si è dimostrato il politico più filostatunitense del panorama italiano; impossibilitato a revocare le concessioni autostradali alla famiglia perno del tessuto industriale veneto, base fondante della vecchia Lega Nord; e liberista tanto quanto Renzi? Oppure Di Battista punta al 50%? Piacevole ricordo del Beppe Grillo del 2013, asceso a salvatore del popolo quando la politica era commissariata prima da un premier che esercitava il suo ruolo tra una festa e l’altra e poi da grigi burocrati in loden?

Al contrario, oggi la politica muove i primi passi dopo molti anni, grazie ad un governo chiaramente disfunzionale e in fase di stallo, ma che prova a ragionare sul futuro e su come dare applicazione a quanto afferma proprio Di Battista. Mentre il governo sa che non esistono risposte semplici, l’attivismo dell’ex parlamentare aizza la base pentastellata, a cui piacerebbe tornare a essere una forza di rottura. Ma la stessa base è ormai decisamente ridotta rispetto agli anni gloriosi. I cittadini che vogliono votare per chi offre una visione utopistica fatta di selfie in famiglia e contraddizioni irrealizzabili, hanno già il suo capitano.

Di Battista ha la possibilità di scalare il movimento, umiliando quei colleghi di cui tratta il lavoro quotidiano da esterno che non vuole sporcarsi le mani. Al tempo stesso, rischia di diventare la semplice versione terzomondista di Matteo Salvini. Gli ricordiamo che gli italiani si possono lamentare degli Stati Uniti, esprimere apprezzamenti per Russia o Cina (più difficilmente per Iran e Venezuela), ma quando costretti a scegliere, preferiscono l’ombrello americano.

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