Governo

I risultati delle urne: nebbia fitta con luminarie

5 Marzo 2018

Cinque risultati emergono chiaramente dal voto del 4 marzo 2018.

1) L’affluenza alle urne segue un trend discendente di lungo periodo ma senza drammatici salti.

La percentuale dei votanti  passata dall’ 83.6% del 2006 all’80.5% del  2008 al 75.2% del 2013 al 72.9% del 2018.

Tutto sommato un risultato meno negativo di quello atteso in un clima considerato genericamente favorevole all’antipolitica e all’anticasta.

In sintesi si potrebbe dire che anche quando la parola concessa agli elettori viene ancor più schematizzata (si pensi a questa legge elettorale), sempre più limitata in termini di preferenze e articolazioni (ci chiederanno mai una scelta di first best e di second best?)  e ridotta a un’opzione digitale si/no oppure pro/non (o forse proprio per questo?) il cittadino non si scoraggia e continua a lanciare nell’urna il suo messaggio, per quanto forzatamente semplificato.

2) Il Movimento 5S continua la sua forte crescita con un altro salto in alto. Un partito (….movimento) che 10 anni fa era inesistente è passato dal 25% del 2013 al 33% del 2018, con punte ben superiori in tutto il Sud. Oggi è di gran lunga il primo partito a livello nazionale. Naturalmente non è il primo caso: si pensi a Forza Italia negli anni ’90. Colpisce questa volta l’enorme consenso a fronte di risorse finanziarie e capacità “professionali” ridottissime e certo incomparabili rispetto al precedente berlusconiano.

3) Il declino di Forza Italia è ormai inesorabile. Segue da vicino quello psico-fisico del suo fondatore. Era al 37.4% nel 2008 (come PdL) e si ritrova al 14% nel 2018.

La coalizione di centro-destra (grazie alla Lega) perde di meno ma cala comunque di 10 punti, dal 47% al 37%. Il Sud ha fatto una scelta drastica verso un diverso sistema di governo. La favola del Cavaliere sembra definitivamente finita.

4) La Lega di Salvini ha polarizzato l’elettorato di centro-destra. La sua trasformazione da partito territoriale (Lega Nord) a forza nazionale con messaggi buoni per tutte le regioni ha grandemente pagato. Dall’8.3% del 2008 ha guadagnato quasi 10 punti percentuali salendo al 17.4% e diventando la guida dei “moderati”. Le sue opzioni di governo, in linea teorica, sono ancora aperte: se volessero trovare aree di interesse e di convergenza col M5S avrebbero solo l’imbarazzo della scelta (legalità, immigrati, tasse, lavoro autonomo….).

5) Il PD ha toccato il minimo storico. Era al 33.2% nel 2008 (l’anno del trionfo del centro-destra) per scendere al 25.4% nel 2013 e al 18.7% del 2018.

Quella che poteva essere una battuta d’arresto nel 2013 è risultato un passo verso l’abisso, proseguito nel tracollo odierno.

Il consenso di speranza raccolto con le elezioni europee del maggio 2014 (PD al 40.8%, contro 21% del M5S, 17% di FI e 6% della Lega Nord) era appunto una speranza: rinnovamento, rottamazione, innovazione, lavoro, riforme…. ma non quelle della Costituzione e non contro la Costituzione (le leggi elettorali incostituzionali)…..

Il referendum del  4 dicembre 2016 ha dato un sonoro schiaffo alla strategia perseguita dal gruppo dirigente PD che, tuttavia, non ne ha voluto prendere atto.  Era troppo tardi per un riposizionamento? Chi lo sa? Certo è che dopo questo 1-2, ci si aspetta una robusta reazione all’agonia prospettica.

Anche in questo caso, il M5S può estrarre, dal sua grande basket di tematiche di destra e di sinistra, un programma (minimale o ambizioso? Ce n’è per tutti i gusti) che cerchi il consenso del PD (meno burocrazia, più investimenti, tutela dei risparmi, riforma della giustizia…).

Anche questa è una possibilità nell’orizzonte tanto nebuloso quanto fantasmagorico della politica italiana.

In ogni caso il M5S può giocare da grande protagonista o aspettare in totale isolamento la svolta del 51%.

Poiché anche questa scelta è tutt’altro che scontata, si capisce quanto incerta sia la situazione post elettorale.

Restano due punti di riferimento importanti: l’oculatezza del Presidente della Repubblica e la sensibilità dei mercati finanziari, dove il consolidarsi dell’incertezza prende il nome di premio al rischio.

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