Governo
L’Italia ha scelto, e adesso?
Finalmente abbiamo votato al referendum confermativo del sondaggio che da mesi dava la Destra in vantaggio qualora si fosse votato.
La Destra più destra ha vinto, come era ampiamente prevedibile, principalmente svuotando i compagni di coalizione. Ha tenuto Forza Italia ed è crollata la Lega. Matteo non tira più, ora tutti su Giorgia.
Ha vinto, stravinto, il partito che non era entrato nel Governo Draghi e in subordine chi il medesimo ha fatto cadere dall’interno. Il potere taumaturgico e lo straordinario consenso di cui godeva il governo uscente si è rivelato ancora una volta effimero, mediatico, frutto di una proiezione (l’ennesima) della borghesia che pensa bene. O meglio, quanto è bravo Draghi, mi piace sempre di più, però voto la sua antitesi.
Una solida, assoluta maggioranza degli elettori ha tributato il proprio consenso a forze (FDI, Lega, M5S, frattaglie), che diversamente si richiamano a parole d’ordine o a un immaginario più o meno “antisistema”, conflittuale con il Governo Draghi, critico verso l’Europa, con alcune sfumature di filoputinismo diffuse. Non è un tratto italiano, è quantomeno europeo, anzi Occidentale: una infiammazione cronica del corpo elettorale, insoddisfatto e infedele, che flirta con chi promette il contrario del precedente, sempre alzando un po’ la posta.
Tutti sognano di domarlo, questo cavallo brado, ma lui illude e punisce, sposta percentuali enormi di consenso da un’elezione all’altra, si delude immediatamente, perché vuole troppe cose o, montalianamente, sa solo quello che non è e che non vuole: ciò che sembra posato, grigio, ragionevole. Se Giorgia Meloni riuscirà dove non sono riusciti Renzi e Salvini, a costituzionalizzare questo elettorato infiammato, avrà fatto tombola e governerà a lungo, altrimenti avanti un altro/a.
Non essendo fessa, Giorgia Meloni sta tirando un colpo alla botte e uno al cerchio, perfettamente consapevole che ci vuol poco a spegnere la luce al governo di un paese super indebitato, e al tempo stesso attenta a tenere la schiena dritta come vuole chi l’ha votata. Quanto durerà questo strabismo è un altro paio di maniche e molto probabilmente il consenso più volatile evaporerà, ci sta. Speriamo che evapori anche la canea di quelli che, ormai privi di strumenti non impolverati per leggere il presente, non hanno di meglio da fare che agitare il pericolo fascista.
Non mi pare proprio che Giorgia Meloni sia fascista, ha un passato, come chiunque abbia fatto politica nella Prima Repubblica, e lei arriva da Destra. Per crescere a tassi da OGM ha dovuto anche dare retta a qualche lunatico ma penso sia ben meno pericolosa di Salvini in termini di tenuta democratica. È una conservatrice assoluta, ma ci sta, quell’altro aveva molta più voglia di menare le mani e non aveva nessuna regola, sono differenze importanti.
Fuori da chi ha vinto, e da chi ha perso sul carro di chi ha vinto, le elezioni hanno conclamato la crisi del PD, peraltro assai annunciata e agita in anticipo. Il Partito Democratico è stato la principale vittima della caduta del Governo Draghi, come ha fatto capire un frastornato Letta nell’analisi del voto, dando la colpa di tutto alle scelte di Conte. Certo non un tattico sopraffino, pronto a cambiare direzione alla prima bava di vento, Letta aveva puntato tutto sulla morte naturale della legislatura, sperando di presentarsi insieme a tutti i sostenitori del Governo tranne Lega e Forza Italia e di incassare il dividendo della carabinieresca disciplina con la quale aveva sostenuto un altro governo nato in provetta. La fine della legislatura ha colto il PD completamente di sorpresa, privo di un’idea che non fosse agitare il babau della Destra che non faceva paura a nessuno. Certamente non ha chi ha smaltito la paura del 1994, con Bossi e il MSI al Governo insieme all’amico di Craxi, lì si che c’era da farsela sotto.
La vera novità sono stati quelli che dovevano essere i compagni di cordata, che si sono invece rivelati i più accaniti rivali. Calenda ha ripescato Renzi e insieme hanno costruito un partito tecno-populista che è piaciuto ai bocconiani e a quelli con l’Audi aziendale, che nel vuoto di offerta avrebbero in larga parte votato PD. Conte ha pascolato nella jacquerie meridionale, non nuova sinistra ma partito dei poveri, comunque un soggetto da studiare.
Azzannato da Destra e da Sinistra, raccattate una scarpa e una ciabatta per fare un simulacro di coalizione, il PD ha annaspato tra ripudio delle politiche riformiste che lui stesso aveva promosso (il jobs act) e candidatura (evitabile) di Cottarelli per ricordare di essere il partito dei conti in ordine. È stato il PD, più di sempre, il partito dell'”ancora troppo” (di sinistra, moderato, vecchio) e del “non abbastanza” (di sinistra, moderato, giovane), il mix più letale che si possa concepire in politica, garanzia di finire cornuti.
Ora un congresso, l’ennesimo che si auspica “vero” (perché gli altri erano finti?), deciderà da che parte andare, esauritosi si spera per i prossimi anni anche il ruolo di riserva della Repubblica, che ha forse fatto bene al Paese, non certo al partito.
La speranza da elettore è che non si segua il modello che mia madre utilizzava al nostro ristorante quando le dicevo che bisognava cambiare qualcosa, ossia rispondere “ma i clienti sono contenti”, senza considerare che erano sempre meno quei clienti. Tradotto in politica, spero che non prevalga la linea di chi vuole il PD ancora più un partito borghese, Erasmus, metropolitano, tutto diritti civili. C’è, ci sarebbe, moltissimo altro in un paese spaventato e impoverito e lo si potrebbe intercettare a partire dai governi locali in cui il PD è tutt’altro che morto e avrebbe dovuto ricordarsene quando garantiva l’elezione a venerati compagni che avrebbero dovuto essere accompagnati verso la meritata pensione.
Staremo a vedere, le aspettative del resto sono moderate, e nel frattempo ci godiamo il tentativo di Giorgia. Il bello della democrazia, alla fine, è anche che si può non essere d’accordo.
Ph: @stacce2021
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