Governo
Giuseppe Conte, leader naturale del M5S
Con la Lectio Magistralis tenuta all’Università di Firenze, Giuseppe Conte si pone come leader naturale del Movimento 5 Stelle. L’intervento dell’avvocato del popolo ricalca numerosi tratti originari del soggetto creato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, in piena linea con il progetto moderato e liberale richiamato da Luigi Di Maio. Sbaglia chi ritiene la moderazione frutto di una deriva governista che contraddice le origini del movimento.
La visione del M5S come un partito estremista e illiberale è uno storico abbaglio. Le roccaforti del potere italiano, che pur hanno facilitato la nascita dei grillini, ci hanno fatto credere come il populismo sia proprietà esclusiva degli estremismi. Al contrario, i populismi appartengono a ogni area politica. Ad esempio, la differenza tra il primo Matteo Renzi, rottamatore della sinistra, e il capopopolo Beppe Grillo non dipendeva dal binomio centro-estremismo.
Matteo Renzi usava il populismo per sostituirsi alla precedente classe dirigente di centrosinistra, accusata di essere vecchia e perdente. Beppe Grillo voleva portare a termine il processo nato con Tangentopoli, ovvero sostituire con cittadini onesti una classe dirigente, ritenuta a torto corrotta. Al netto delle uscite deliranti sulla decrescita felice, numerose grandi battaglie non avevano base ideologica, ma derivavano dall’ipotesi che in Italia non sia possibile completare opere come la TAV senza cadere nell’illegalità.
L’idea di sostituire il sistema di potere con cittadini onesti non necessita di una rivoluzione politica, pur suscitando gravi problemi. In particolare, ogni sorta di élite appariva corrotta ad occhi grillini. Questo populismo ha finito per travolgere tutto, pure la comunità scientifica e i vaccini, rendendo il M5S un partito invotabile per chi avesse minimamente a cuore la salute pubblica.
La propaganda complottara ha garantito il supporto incondizionato di migliaia di attivisti al M5S. I vertici comprendevano come tale massa non fosse organizzabile, tanto che i rappresentanti emersi come punti di riferimento territoriali apparivano meno incendiari. Nel mio paese, travolti dal successo del M5S alle elezioni politiche del 2013 e dai sentimenti anticasta, proponemmo la fusione di due comuni attigui. Ci stupimmo come i grillini, guidati da un giovane ex renziano, non presero posizione alcuna, ma si limitarono a chiedere la correttezza del percorso istituzionale. Decisero solo di organizzare un incontro sul tema, meramente a scopo informativo per la cittadinanza.
Il M5S si rivelò un partito incendiario nei toni, ma attaccato ai cavilli burocratici. Le troppe idee differenti al suo interno trovavano accordo nel rispetto pieno delle regole. In continuità con questa tradizione, Conte ha utilizzato la Lectio Magistralis per giustificare le sue azioni dal punto di vista giuridico. Solo nella seconda parte dell’intervento si è intravista una maturazione politica, quando ha rimarcato l’importanza dei diritti sociali, arretrati a seguito del 1989 anche a causa di politiche inadeguate promosse dall’Unione Europea.
L’ex premier non è invece riuscito a difendere le sue posizioni in materia economica. In particolare, ha affermato che la crisi economica non è stata causata dal lockdown, perché gli operai minacciavano lo sciopero in caso di aperture forzate. Malgrado la prima parte del ragionamento sia corretta, gli scioperi non sono rivelanti.
Semplificando, la ripresa dell’economia dipende dalla domanda aggregata, formata dagli investimenti e dai consumi. I secondi dipendono in gran parte dalle aspettative di reddito da parte degli individui. In una fase di incertezza causata dalla pandemia, i cittadini tendono a non spendere le proprie ricchezze, indipendentemente dall’apertura di fabbriche e negozi. Gli investimenti pubblici e privati diventano quindi necessari, ma richiedono tempo. Il governo ha compiuto quindi le uniche azioni sensate per non far collassare l’economia in una fase pandemica, sostenendo il reddito, incentivando i consumi e garantendo minime certezze, attraverso il blocco dei licenziamenti e la cassa integrazione.
Giuseppe Conte è un politico adatto a essere il leader del M5S, perché il partito necessita di una personalità con forte cultura giuridica. Al contrario, l’avvocato del popolo non può essere il federatore del centrosinistra perché incapace di elaborare autonomamente una linea di azione politica per poi sostenerla e rivendicarla. Non può quindi essere investito come leader del centrosinistra da Goffredo Bettini o Nicola Zingaretti, il cui errore principale è stato quello di attribuire a Conte la patente di unico candidato alla guida di un nuovo centrosinistra.
Malgrado sia presto per individuare il candidato premier, la collaborazione tra PD, LeU e M5S appare assolutamente necessaria, specialmente nel momento in cui Matteo Salvini riprende vigore e Mario Draghi smantella il sistema di potere del Conte bis. L’integruppo parlamentare avrebbe potuto garantire maggior peso al centrosinistra, rispetto ai nemici giurati con cui deve condividere il peso del governo. Matteo Salvini è stato talmente avvantaggiato da questo fallimento che è riuscito a piazzare una serie di fedelissimi nel sottogoverno.
In particolare, la nomina di Lucia Borgonzoni a sottosegretario alla cultura è talmente ridicola che esprime solo l’arroganza e la capacità di Matteo Salvini di scegliere chi vuole nel ruolo che più gli sta a cuore.
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