Governo

Giorgia Meloni, la Destra e quelle parole affascinanti

27 Ottobre 2022

«Signori, quello che io compio oggi, in questa Aula, è un atto di formale deferenza verso di voi e per il quale non vi chiedo nessun attestato di speciale riconoscenza.»

L’altro ieri, mentre Giorgia Meloni pronunciava alla Camere il discorso della fiducia al suo Governo, la mia compagna Stefania mi manda questo messaggio: “Non mi sta dispiacendo il discorso della Meloni. è grave?” Fidandomi del suo giudizio di persona assennata, approfitto di un lungo viaggio in auto e lo ascolto tutto questo discorso. Come sovente capita, aveva ragione Stefania, non è dispiaciuto nemmeno a me, anzi.

Certo, su alcuni passaggi la penso in modo opposto, su tutti il rapporto tra giovani e droga da curare con la musica e lo sport: la cannabis è endemica e io sono a favore della sua completa liberalizzazione. Ma per il resto ammetto di essere stato colpito e intrigato dalle parole del primo Presidente del Consiglio donna della nostra storia, come già ero rimasto colpito e intrigato da alcune scelte lessicali sulla denominazione dei ministeri.

«[…] Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle «camicie nere», inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della Nazione.»

Stiamo parlando di parole, ché ancora non ci sono atti di questo Governo (e non lo sono né le proposte di legge ad minchiam dei parlamentari, né le mazzate della polizia agli studenti, come ha invece sostenuto una scrittrice dal nome importante – merito! – e dalle facoltà mentali svanite), ma parole non banali, alcune addirittura evocative. Perché in politica la negromanzia funziona: si evocano parole e concetti, alcuni sepolti, altri che vagavano nel Limbo, e questi si rianimano, producendo anche effetti incontrollati, alcuni tornando nell’Ade, altri richiamati a nuova vita.

Nel momento di comporre il Governo (i ministri, che dire, bah), alcuni ministeri sono stati rinominati, evocando per ognuno concetti al di fuori della burocrazia onomastica, molto politici, che pescano anche nello stagno della Sinistra: Sovranità alimentare, Merito, Natalità, Imprese e Made in Italy.

«[…] Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria.
Con 300 mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.»

Esauriti i lazzi per il sushi vietato, e sempre presente e plumbea la cappa di riserve che riguardano il valore e la compattezza della classe dirigente chiamata a governare, resta ancora una volta l’invidia per una libertà di pensiero e di azione politica che la Sinistra non riesce più nemmeno e concepire, e per questo si limita ad agire di rimando, a fare la pignolina sugli articoli o, ignominia, a berciare preventivamente su leggi e temi che almeno 3 governi a maggioranza di centrosinistra non hanno attuato, innovato, manutenuto (droghe, aborto, eutanasia, la lista nera potrebbe essere infinita). Ci torno dopo sulla catastrofe culturale e umana dell’attuale opposizione, ora è più succoso occuparsi della maggioranza.

La sovranità alimentare non è solo una dicitura copiata dalla Francia o una teorizzazione terzomondista, è un tema doveroso in un paese con 3,5 milioni di ettari di campi incolti e produzioni straordinarie come l’olio e gli agrumi schiacciati dalla concorrenza straniera e dal dumping dei prezzi. Un tema, quello della difesa e dell’incremento della produzione agricola italiana di economia, di dignità, di cultura, di sicurezza alimentare, oltre che uno strumento concreto per la lotta allo spopolamento dei paesi e ai cambiamenti climatici. Se il Governo farà qualcosa in merito avrà il mio plauso, altrimenti avrà avuto comunque il merito di evocare un patrimonio della Sinistra tenuto in congelatore. Peraltro, su questo tema Più Europa ha dato prova di essere ben più a destra, contenti loro (e io che non li ho votati).

«[…] Credo anche di interpretare il pensiero di tutta questa Assemblea e certamente della maggioranza del popolo italiano, tributando un caldo omaggio al Sovrano, il quale si è rifiutato ai tentativi inutilmente reazionari dell’ultima ora, ha evitato la guerra civile e permesso di immettere nelle stracche arterie dello Stato parlamentare la nuova impetuosa corrente fascista uscita dalla guerra ed esaltata dalla vittoria.»

Il Merito è diventato da qualche tempo un concetto che la cultura della sinistra avversa come concetto elitario, indistinguibile dalla stirpe, dalla schiatta e dal privilegio. In un paese nel quale l’ascensore sociale ha il cartello “guasto” da decenni, partire dal promuovere chi è figlio di nessuno ma sveglio e volenteroso (i “capaci e meritevoli” della Costituzione, null’altro) non mi pare la stessa cosa che fare dell’appartenenza al Libro d’Oro della Nobiltà Italiana il criterio per l’accesso alle cariche pubbliche.

Sulla Natalità e su quanto ci servano più nascite dice tutto Alessandro Rosina, e chi non lo capisce ha un problema. Peraltro, nel discorso della fiducia il Presidente Meloni non ha citato a modello The Handsmaid’s Tale, ma gli asili nido e gli incentivi all’occupazione femminile.

«[…] Lo Stato fascista costituirà una polizia unica, perfettamente attrezzata, di grande mobilità e di elevato spirito morale; mentre Esercito e Marina gloriosissimi e cari ad ogni italiano – sottratti alle mutazioni della politica parlamentare, riorganizzati e potenziati, rappresentano la riserva suprema della Nazione all’interno ed all’estero.»

Per quanto riguarda il nuovo nome del Ministero dello Sviluppo Economico, l’insistenza sulle imprese come principale fonte di sviluppo è ideologica, certo, ma non così lontana dal vero. Anche la lettura del Made in Italy è troppo Pavarotti, Pizza e Mandolino, ma vale molto di quanto detto sulla sovranità alimentare. Abbiamo bisogno di un Made in Italy innovato e riqualificato, anche al di là della visione un po’ libresca del Governo, e parlarne è già un primo passo.

Evocati dal loro sacello di piombo su carta, questi concetti ora sono sul tavolo della Politica, spero caldamente per restare e diventare politiche, non idee custodite gelosamente per non farsene nulla. Alla Destra sinora va il merito di averle risvegliate e messe sul tavolo, poi si vedrà.

«Signori! Da ulteriori comunicazioni apprenderete il programma fascista, nei suoi dettagli e per ogni singolo dicastero. Io non voglio, finché mi sarà possibile, governare contro la Camera: ma la Camera deve sentire la sua particolare posizione che la rende passibile di scioglimento fra due giorni o fra due anni.»

Altri passaggi mi sono piaciuti del discorso parlamentare del Presidente Meloni: l’attenzione preventiva e simpatetica alle contestazioni degli studenti da parte di chi viene da quell’esperienza anche se sul versante opposto, l’attenzione al lavoro, l’accenno alle aree interne, l’appellativo di underdog (lo è), uno spiraglio per chiudere i conti almeno con gli anni ’70, un certo amor patrio se non partono a rompere le palle con le sfilate militari. Ammesso preventivamente di difettare di interesse e sensibilità, anche il suo essere la prima donna Premier è stato tematizzato con attenzione, senza fare troppa camurria grammaticale.

Forse, anzi certamente, la piccola Giorgia Meloni sembra più grande perché è circondata da nani. Lo sono, e di quelli distruttivi, il bambascione leghista e la fila di pretendenti eredi del “de cuius”, da cui arriveranno i principali scossoni al Governo.

Lo è, penosamente il principale partito d’opposizione, nanizzato politicamente e culturalmente. La ricerca spasmodica di peli nell’uovo semantici che ha caratterizzato la discussione a Sinistra sul fatto che il primo Presidente del Consiglio donna fosse di Destra è stata la dichiarazione di fallimento di decenni di trapanante lobby rosa, la consegna dei libri in tribunale. Un fallimento necessario, se Laura Boldrini (ma quanti danni ha fatto alla Sinistra, Laura Boldrini?) ha il fegato di polemizzare sul maschilismo del nome del partito della Meloni (che si chiama Fratelli d’Italia e non Fratelli e Sorelle d’Italia perché a loro piace così). Un fallimento improcrastinabile, se la punta di lancia del principale partito di opposizione è stata la sua capogruppo alla Camera, per l’occasione inventatasi spalla comica del Presidente del Consiglio (che figura di merda). Ci sarebbe molto da dire su come sia stato possibile che un’oscura avvocatessa udinese, che ha imbroccato un intervento in video nella sua carriera, sia assurta a cotanti incarichi senza mai un’idea, una posizione, una battaglia di qualche minimo significato. Poi si può e si deve dire peste e corna della Ronzulli, ma se non si producono le Ronzulli in casa propria è meglio.

Utilizzando concetti anche progressisti con fantasia e un po’ di spregiudicatezza, la Destra sociale fa sempre bella figura. È attenta ai poveri senza teologia della liberazione, ma quando la Sinistra non ce l’ha più, una teologia della liberazione, e rompe solo i coglioni con * e tanti tartuferie, allora rischia di diventare addirittura affascinante.

Comunque andrà, non sara breve.

«[…] Così Iddio mi assista nel condurre a termine vittorioso la mia ardua fatica.»

 

 

 

In corsivo un altro discorso della fiducia a un altro Governo, pronunciato alla Camera qualche tempo fa da un’altra persona.

In copertina un bellissimo murale di Harry Greb.

 

 

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