Governo
Germania o Austria? Quale modello per il 5 marzo
Manca poco ormai al fatidico appuntamento elettorale del 4 marzo e la fantasia degli analisti partorisce quotidianamente nuovi scenari post-voto: maggioranza di centrodestra con un Berlusconi di nuovo al centro della scena, governissimo di larghe intese con la regia del Quirinale, exploit del Movimento Cinque Stelle alla ricerca di consensi da parte di pezzi del nuovo Parlamento, ingovernabilità “alla spagnola” e ritorno obbligato al voto. In attesa del responso delle urne, al termine di una campagna elettorale invernale e forse poco entusiasmante (se non per l’incertezza dell’esito), è utile mettere sul tavolo due esempi interessanti che potrebbero essere citati il 5 marzo: la Germania della Cancelliera Angela Merkel e la più piccola (ma emblematica) Austria del giovane Sebastian Kurz.
Che Angela Merkel appaia in questi mesi più fragile che mai è una verità che anche i suoi più accaniti ammiratori non possono nascondere. Il quarto mandato della “Mutti” cristiano-democratica è infatti iniziato sotto i peggiori auspici con la rapida archiviazione di un’impraticabile ipotesi di Governo “Giamaica”. La CDU della Merkel, insieme all’emanazione bavarese CSU, sembrava pronta a siglare un innovativo accordo con i Liberali di Christian Lindner (il leader che ha riportato il partito in Parlamento dopo la bruciante esclusione alla precedente consultazione) e i Verdi, già compagni di strada del predecessore socialdemocratico della Cancelliera Schröder. Tramontati improvvisamente i colloqui per una compagine di governo che avrebbe ricordato dal punto di vista cromatico la bandiera dello stato caraibico (da qui il nome), si è tornati allo schema di gioco precedente: la Grosse Koalition con i socialdemocratici di Martin Schulz. Un “ritorno alla normalità” per Merkel, che ha sempre governato con la SPD con l’unica eccezione del secondo governo “giallo-nero” (2009-2013), nato grazie alla coalizione con i liberali del compianto Ministro degli Esteri Guido Westerwelle. Per la SPD la riproposizione di uno scenario che il candidato alla Cancelleria aveva ostinatamente negato per mesi in campagna elettorale, motivando i sostenitori facendo presagire una possibile “spallata” alla leader cristiano-democratica. Una percezione illusoria e non basata sui numeri effettivi della SPD nei sondaggi (si parlò allora di un ingannevole “effetto Schulz”), che ha costretto lo stesso candidato ad avviare le trattative per l’ennesima riedizione delle larghe intese alla tedesca. Raggiunto l’accordo su un corposo programma di coalizione (177 pagine per declinare nel dettaglio le aree di intervento del futuro Governo), lo stesso Schulz ha reagito alle tensioni all’interno del partito rinunciando al posto di Ministro degli Esteri e cedendo la guida della SPD alla combattiva ex Ministra del Lavoro, Andrea Nahles. In attesa dell’annuncio dei risultati della consultazione interna dei militanti socialdemocratici sull’accordo (prevista, ironia della sorte, il 4 marzo), la situazione a Berlino rimane ancora indefinita: l’esempio più emblematico della delicatezza di questa fase è la scelta di Merkel di affidare il Ministero delle Finanze, prima occupato dal “falco” Wolfgang Schäuble, al sindaco socialdemocratico di Amburgo Olaf Scholz. Lo stesso programma di coalizione rivela chiaramente una forte impronta “di sinistra” che la Cancelliera ha digerito pur di arrivare ad un compromesso con i socialdemocratici, anche se questo dimostra ulteriormente la “cannibalizzazione” dell’agenda a cui li ha sottoposti in questi anni. Uno stile, quello di Merkel, che le ha assicurato un’incredibile longevità e che è basato su un mix accorto di pragmatismo, assenza di puntigli ideologici e impareggiabile capacità di “fiutare” la possibilità di un’invasione nel campo degli avversari. Uno stile che non la mette però al riparo dalle critiche crescenti dell’ala più conservatrice del suo partito e che rischia di alienarle a lungo andare il consenso dei tedeschi. Dall’altro lato la SPD, che pure ha ottenuto Ministeri di peso come gli Esteri, le Finanze e il Lavoro, sprofonda sempre più nei sondaggi e vede avvicinarsi pericolosamente un partito di estrema destra come Alternativa per la Germania, oltre che i Verdi. La Grande Coalizione, insomma, appare ormai una soluzione che garantisce stabilità e continuità di governo, al prezzo di indebolire sempre più la tenuta dei partiti coinvolti.
In Austria a dominare la scena è invece l’astro nascente dei Popolari, il Cancelliere trentenne Sebastian Kurz. Riuscito nell’impresa di rinnovare in modo radicale nel segno della personalizzazione un partito cristiano-democratico storico come la ÖVP, il ragazzo di Vienna diventato Ministro degli Esteri a soli 27 anni ha sfruttato l’onda lunga della propria popolarità per siglare un accordo con la destra estrema della FPÖ. Gli eredi del celebre governatore della Carinzia Haider avevano già governato agli inizi del Duemila con il predecessore di Kurz, Schüssel, nonostante la levata di scudi e il gelo diplomatico che tale decisione provocò allora a livello europeo e internazionale. Kurz è riuscito nell’impresa, dopo la grande paura di una vittoria dell’estrema destra alle scorse Presidenziali, di promuoverne un’ulteriore “normalizzazione”, smussando per quanto possibile gli aspetti più xenofobi ed euroscettici. Il successore di Haider Strache ha ottenuto la Vice Cancelleria, il candidato alle scorse Presidenziali Hofer si è visto attribuire il dicastero delle Infrastrutture, mentre altri esponenti del Partito della Libertà (in gran parte indipendenti) hanno occupato caselle strategiche come gli Esteri, gli Interni e la Difesa. Da notare che gli Esteri, affidati alla poliglotta Karin Kneissl, sono stati comunque sottoposti a “commissariamento” blindando la delega ai rapporti con l’Unione Europea per il plenipotenziario di Kurz nella Cancelliera, il compagno di partito Gernot Blümel. Segno della volontà di tenere ben separati i piani e di impedire all’estrema destra di influenzare eccessivamente la relazione con Bruxelles, soprattutto alla vigilia di un semestre di presidenza del Consiglio che sarà affidato all’Austria.
Ipotesi dolorosamente negoziata di un’ennesima Grosse Koalition a Berlino, con l’inevitabile corollario di convulsioni all’interno dei partiti e la crescita delle estreme alimentata dal rigetto del mantra “non ci sono alternative”. Governo di centrodestra a trazione moderata a Vienna, in grado di lasciarsi alle spalle la precedente Grosse Koalition obbligata con i socialdemocratici e di temperare in modo organico all’interno della maggioranza le esigenze di una destra poco accomodante ma in via di normalizzazione. Quale di queste due opzioni sarà la più praticabile il 5 marzo?
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