Governo

Gentiloni si. Boschi e Lotti no

13 Dicembre 2016

Il governo Gentiloni, al di là delle agitazioni e dei mal di pancia del fan club del “voto subito”, era prevedibile. Per una serie di ragioni molto semplici:

a)    Non si può votare subito per incoerenza assoluta tra le leggi elettorali di Camera e Senato

b)    Nessun partito esterno all’attuale maggioranza si è detto disponibile a far parte di un nuovo governo

c)    Il Premier uscente non era disponibile a essere rinominato

d)    C’è ancora una maggioranza in Parlamento

e)    Serviva un governo perché non è previsto il “vuoto di potere”

A Mattarella restava dunque solo un’ipotesi: un governo espressione dell’attuale maggioranza, ma con un primo ministro diverso. Poteva essere Padoan anziché Gentiloni, ma le opzioni in campo erano ridotte.

Sulla scelta dei ministri però il ventaglio delle soluzioni era, ovviamente, più ampio. E, tra tutte le scelte, due spiccano sulle altre: Boschi sottosegretario a palazzo Chigi e Lotti ministro con varie deleghe (tra cui CIPE ed editoria).

Lo dico senza giri di parole. Queste due nomine, a Renzi, faranno più male della sconfitta al referendum. E il perché è molto semplice. Boschi e Lotti sono considerati e percepiti come sue emanazioni, quasi “protesi umane”. Pertanto, l’effetto positivo generato dalle sue dimissioni immediate post-referendum sarà totalmente controbilanciato dall’effetto Renzi bis del nuovo governo. E’ come se l’ex premier fosse ancora lì.

C’era davvero bisogno di tenere nell’esecutivo pedine importanti del “giglio magico”? Se è una legislatura “finita” e stiamo, di fatto, aspettando solo di armonizzare le leggi elettorali per votare (come vogliono Grillo, Salvini, Meloni e lo stesso Renzi…), che senso ha mettere Maria Elena Boschi a “commissariare” Gentiloni e Lotti a salvaguardare i “rubinetti” del CIPE e il dossier sempre caldo dell’editoria?

Evidentemente, per Renzi, è una legislatura finita solo a condizione che ci siano i suoi a evitare tentazioni di arrivare al 2018 e a controllare le decisioni-chiave degli ultimi mesi. In politica, “non fidarsi è meglio”, lo capisco. Ma perdere il contatto con la realtà – percepita o virtuale, più che fattuale – è anche peggio.

La presenza di Boschi e Lotti nella compagine governativa farà perdere ulteriore slancio all’ipotesi di recupero di Matteo Renzi. Ipotesi che resta sul tavolo perché non vedo competitors particolarmente pericolosi alle primarie PD della prossima primavera. Ma poi si vota, fuori dal PD. E, di questo passo, l’ex premier potrà vincere una battaglia, ma perderà la guerra. Principalmente per un altro errore prospettico.

Certo, resta da valutare la variabile sistema elettorale e ciò che ne deriverà in termini di possibili coalizioni di governo. Evidentemente Renzi scommette sulla sua “inevitabilità”, come avevo scritto qui. Resta però che un conto è essere inevitabile avendo oltre il 30% dei consensi (dato abbastanza probabile dalle prime analisi post-referendum), un altro è esserlo col 25% o anche meno considerando i contraccolpi del Renzi-bis, le cavalcate retoriche delle opposizioni che diventeranno un rumore di fondo costante che ci accompagnerà fino alle elezioni e le eventuali scissioni post-congressuali nel PD.

La vittoria del NO al referendum aveva fatto scattare un Piano B per Renzi: capitalizzare un consenso comunque alto appena possibile, scommettendo su un PD competitivo e su leggi elettorali proporzionali.

Dopo queste scelte nella composizione del governo, direi che scatta un piano C: quello di una dignitosa sopravvivenza, numericamente parlando. Il che stride non poco con lo storytelling coraggioso e sfrontato, del gambler che gioca sempre all-in, che ci è stato raccontato in questi anni. E lo storytelling funziona solo se è percepito come autentico (che lo sia davvero, conta meno). Se tra racconto e percezione si apre una crepa, però, il racconto rischia di diventare “inoperativo”, cioè inutile. E con lui l’eroe.

 

 

 

 

 

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