Governo
Francesco Vecchi racconta i giovani italiani, figli del debito
Francesco Vecchi è un giovane e vivace giornalista che ama molto il suo mestiere visto che ha sacrificato altre vantaggiose opportunità che gli si offrivano dopo i suoi altrettanto brillanti studi universitari in Bocconi per seguire la sua passione.
Con un saggio intelligente e carico di quella dose di ironia che salva il lettore dalla depressione, si occupa del debito pubblico italiano, il mostro che tormenta i sogni i degli italiani e impedisce ai giovani di guardare avanti, di programmare, con la necessaria serenità, un progetto di vita.
Senza mezze misure, cioè non preoccupandosi di rendere leggero il capo d’accusa, si dichiara vittima, lui come tutti i giovani, che sono nati dopo gli anni sessanta, di un furto epocale che le generazioni che li hanno preceduti hanno perpetrato in suo, e loro, loro danno. Si tratta del furto del “futuro”, visto che un paese come il nostro, su cui pesa un debito pubblico così pesante, i giovani possono accampare ben poche speranze sul proprio futuro.
“I figli del debito pubblico”, questo è il titolo del saggio pubblicato dalla Piemme, ci ricorda di come i padri si siano comportati come la cicala della favola di Fedro senza, tuttavia, pagarne il prezzo ma, trasferendolo sulle spalle dei propri figli.
Quel terribile fardello. che nessuno, in questi trent’anni ha cercato seriamente di contenere, fa dire al prof. Guido Tabellini, grande esperto i n materia, che l’Italia avrebbe oggi il 25% di probabilità di fallire entro i prossimi cinque anni.
Un debito che è, infatti, fuori controllo e che divora risorse che sarebbero state necessarie per rendere l’Italia competitiva soprattutto nei confronti dei Paesi con i quali si deve confrontare.
Ma perché si è generato questo enorme mostro che divora le nostre risorse fino a rendere sempre più precaria la nostra vita e l’avvenire dei nostri figli?
Il dito accusatorio, come è evidente, non poteva che individuare come schuldig, cioè colpevole, la classe dirigente che a partire dagli anni ’80 – Francesco Vecchi privilegia però come data d’avvio il 1992, annus horribilis per la storia recente del nostro Paese – porta al superamento della soglia del 100% del rapporto debito/Pil che raggiungerà il 122% con il governo Ciampi, per scendere e riavvicinarsi al 100%, e magari al 99, 8% con i governi Berlusconi e Prodi, per risalire poi, in un crescendo “rossiniano”, fino ai livelli stratosferici attuali.
Questo significa che la classe dirigente che ha governato in questi ultimi trent’anni il Paese, è stata, in poche parole, incapace e irresponsabile – i peggiori sono quelli che attualmente ci governano – perché ha usato il debito per finanziare il consenso attraverso uno scambio sulla pelle del Paese.
Non è un caso che spreco e inefficienze, confusione fra pubblico e privato, disimpegno e corruzione siano sono state le cifre distintive di questi trent’anni.
Le conseguenze che ne sono derivate sono evidenti nel freno ai necessari rinnovamento e innovazione ma, soprattutto, nelle deformanti visioni della cultura del Paese. Un Paese che ha dimenticato che fra diritti e doveri esiste una corrispondenza ineludibile.
“Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”, il monito di Aldo Moro assume, in questo senso, una grande attualità a fronte a una situazione drammatica che nonostante molti, anche generosi tentativi, non si riesce a risolvere.
A complicare le cose, veri e propri vincoli ai tentativi di trovare una via d’uscita dalla gabbia nella quale il debito pubblico ha chiuso gli italiani; si frappongono ancora i vizi antichi e i limiti culturali di cui ha sempre sofferto la nostra società: primo, fra tutti, quel particolare immobilismo che è figlio degli egoismi personali e collettivi.
Parlare di riforma delle pensioni, a cominciare dai cosiddetti diritti quesiti, parlare della riforma della sanità per frenare lo spreco, parlare di riforma fiscale per frenare le aree di elusione o di evasione, spinge infatti la gente a gridare allo scandalo a scendere in piazza impedendo con la forza dell’irrazionalità ogni necessario probabile intervento.
Ma è giusto – si chiede Vecchi – che i giovani paghino le colpe dei danni provocati dai loro genitori?
È questa la domanda provocatoria che aleggia nelle pagine del libro ed alla quale lui stesso risponde con un tanto indignato quanto secco NO aggiungendo come sia opportuno che si capisca che i contesti in cui sono nati quei diritti considerati intoccabili sono mutati, che si capisca che per salvare questo Paese coloro che si sono ritagliati dei privilegi facciano un passo indietro, riscoprano il senso del dovere, che si rendano conto che lo stellone che finora ci ha salvati potrebbe oscurarsi e noi tutti, seduti come siamo su una polveriera potremmo alla fine saltare in aria.
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