Governo
Elezioni e malumori, la sfida di Salvini per la (propria) sopravvivenza
Che nella Lega di Salvini non ci sia un bel clima non è ormai un segreto, ma in questi giorni ci sono giunte delle indiscrezioni che raccontano di una situazione ben più grave di quella che il segretario leghista vuole far trasparire.
Nei giorni scorsi le parole di Bossi (che comunque non vorrebbe rompere definitivamente) riportate sul Corriere della Sera hanno risvegliato gli animi di chi da parecchio tempo non si riconosce più nella Lega salviniana e che, o all’interno del partito o da fuori, vuole proporre qualcosa di diverso.
Il Comitato Nord
All’interno della Lega la volontà di una sorta di ritorno alle origini si è fatta più forte nel 2022, quando alcuni dirigenti hanno dato vita al Comitato Nord.
Chi ha partecipato a quella esperienza afferma che nel dicembre del 2022 si è voluto far nascere qualcosa che cercasse di mantenere nell’alveo leghista gli elettori delusi e i militanti che non si iscrivevano più alla Lega perché era stata persa la sua identità fondante. L’idea era quella di creare una sorta di “Sindacato del nord” interno al partito.
Questa necessità era nata perché la Lega diventava sempre di più un partito nazionale, “la brutta copia di Fratelli d’Italia”, ma come ci dicono da ambienti vicini al Comitato Nord “tra la copia e l’originale l’elettore vota l’originale”. E in effetti i voti che prima erano della Lega si sono trasferiti, insieme a militanti e amministratori, in Fratelli d’Italia o in Forza Italia.
Quella che avrebbe dovuto essere dunque una corrente, “una cura più che un problema”, è invece stata la causa di espulsioni e malumori che coinvolgono tutt’ora chi è andato via, ma anche chi è rimasto.
Ad oggi i “leghisti senza tessera” sono molti, e molti di loro stanno lavorando sottotraccia nel tentativo di riunire quelle anime che hanno preso strade diverse. Unire tante personalità non è facile, anche perché c’è chi si considera autonomista, chi federalista, chi indipendentista e chi è secessionista, ma se le Europee dovessero andare male e Salvini si ritrovasse in difficoltà, il Comitato Nord potrebbe tornare a muoversi nel tentativo di coinvolgere personalità come Roberto Castelli, Giancarlo Pagliarini, Toni Iwobi, Gianpaolo Vallardi e altri. Insomma pezzi di storia leghista che niente hanno a che fare con le ultime scelte di Salvini.
Interrogati sulla possibilità di una candidatura del Generale Vannacci, dalle parti del Comitato Nord – a patto di conservare l’anonimato – dicono di considerarla “una follia”, come demenziale è considerato “parlare alla pancia della gente tirando dentro persone che possono portare voti sulla base di un’emozione, ma che utilizza la politica come le porte girevoli, entrando nella Lega al 36% per mollarla e andare dalla Meloni quando le percentuali cambiano”.
La vecchia guardia chiede dunque di ripartire ad esempio dal federalismo fiscale, chiuso nei cassetti del governo da aprile 2009, e per il quale non sono mai stati fatti i decreti attuativi, che è cosa diversa dall’autonomia di Calderoli considerata come fumo negli occhi.
Il posizionamento politico e il problema del nome
La Lega delle origini era orgogliosamente antifascista, e persino Salvini faceva parte dei comunisti padani al parlamento del nord di Chignolo. Chi c’era se lo ricorda bene e non apprezza questa svolta a destra. Una destra che non è più parte di uno schieramento moderato, ma palesemente estremizzata con innesti e amicizie che prescindono dall’alleanza di governo in questo momento irrinunciabile per Salvini & Co.
Molti fanno inoltre fatica a capire l’utilità dell’accordo con l’UDC di Cesa, che non ha più neanche al sud i voti di una volta e che è difficilmente spiegabile all’elettorato come un’operazione che possa portare qualche beneficio.
A 40 anni dalla fondazione della Lega Nord (il 14 aprile ricorrerà l’anniversario), molti leghisti della prima ora stanno partecipando a riunioni e incontri che possano portare all’incontro delle varie componenti disunite dalla diaspora post salviniana.
Una delle figure di riferimento per molti è Giuseppe Leoni, uno dei 5 fondatori originari e ancora in ottimi rapporti con Umberto Bossi.
Per raggiungere questo obiettivo è fondamentale però che Salvini lasci la guida del partito se le percentuali alle regionali in Sardegna e alle Europee dovessero crollare.
E proprio qui che registriamo però il pessimismo di chi pensa che Salvini non mollerà neanche se avrà il 3%. Questo per il semplice fatto che la Lega Salvini Premier è la sua Lega (qui avevamo parlato del nuovo statuto), mentre la Lega Nord è ormai solo una bad company con dei debiti, che lui ha messo su un binario morto.
Ci fanno poi sapere che tornare alla vecchia Lega non vorrebbe dire inseguire obiettivi anacronistici come la secessione, e non è nemmeno più il tempo delle corna da vichingo a Pontida, ma è il momento di riflettere seriamente sul malcontento generale tornando a pensare ad un sindacato del nord che si occupi della questione settentrionale e di chi storicamente si è riconosciuto in quelle lotte. Molti si augurano di poterlo costruire all’interno della Lega, ma potrebbe anche avere vita propria coinvolgendo le mille voci critiche presenti nel panorama leghista.
Personalità che non riveriscano Salvini solo per assicurarsi una posizione e che non sarebbero pronte a cambiare bandiera all’occorrenza, anche perché di fatto è solo l’accordo con la Meloni che garantisce i famosi posti da sottosegretari, da consiglieri d’amministrazione ecc, visto che il partito è assolutamente sopravvalutato in un governo in cui esprime 5 ministri pur avendo ottenuto solo l’8% dei voti.
Che succederà quindi?
Attendiamo di capire le prossime mosse senza scordare il peso dell’unica persona che potrebbe davvero ricompattare tutti gli anti-salviniani: Umberto Bossi. Il fatto stesso che il fronte nordista e anti-salviniano non abbia alternativa al vecchio e stanco padre fondatore sembra dire che Salvini può dormire sonni tranquilli. Almeno per ora…
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