Governo
E un microbo uccise la solidarietà nazionale
C’è un effetto imprevisto, e grave, in questi strani giorni in sospensione. Gli scienziati saltano da una trasmissione all’altra sostenendo con determinazione le proprie convinzioni scientifiche non esattamente allineate tra di loro: e ci mancherebbe, perché il Cardinal Bellarmino di danni ne fece e libertà di pensiero nella scienza fa solo bene. Solo che poi scendono inebriati dal quarto d’ora di notorietà (eterno grazie Andy per la fulminea intuizione) nell’arena social scomunicandosi con un fervore che Domenico de Guzman era un dilettante, arruolati tra “buonisti” e “fascioleghisti” perché i suddetti social non sono una cosa fine, vanno giù di manicheismo dichiarato senza perché e percome. Fanno eco, in un momento in cui sarebbe carino vedere che al quartier generale hanno le idee chiare, Governo e “Governatori” regionali che con i corifei assessori, ministri e burocrati (senza accezione negative nella parola) se le suonano di santa ragione nel momento sbagliato, ma non sorprendente dato quel che passa il convento. E davanti al corteo di cui sopra rullano i tamburi di stampa, iperbolici nei titoli, logorroici nelle maratone, giganteschi nelle piccolezze umane suonando nelle piazze lo spartito della paura in un Paese attanagliato dalle paure da più di dieci anni: istintive menando per aria il crocifisso contro l’uomo nero (o bianco ma non madrelingua, o giallino che non si capisce bene chi sia), vere perché consapevole che la scala sociale non solo non si muove ma dalla scala si rotola gradino dopo gradino con l’oggi peggiore di ieri. Tutti a citar Manzoni e io a sperar che almeno la Provvidenza nelle sue manzoniane vie prima o poi regoli i conti.
In un Paese senza fiducia nel futuro e geneticamente scettico verso il Quartier Generale al quale si affida solo per rinunciare alle proprie individuali responsabilità salvo poi appendere il conducator a testa in giù o tirar monetine c’è però una cosa nuova e ai miei occhi molto grave: la non più silenziosa rottura della solidarietà nazionale.
Inutile nasconderlo: è grave quanto sincera la delibera dei sindaci di Ischia che vietava lo sbarco dei cittadini lombardi e veneti; è grave la in qualche modo analoga decisione dei presidenti della Regione Basilicata e della Regione Molise; è grave il comportamento delle associazioni di albergatori del Sud dove improvvisamente gli alberghi sono fully booked se il prefisso è nordico; è grave l’atteggiamento nelle scuole; è gravissimo che nelle aziende si dica che il personale delle aziende del Nord non è gradito. È inaccettabile che il Lombardo-Veneto venga “quarantenizzato” dal resto del territorio nazionale, la paura del contagio non può essere più forte di quella solidarietà nazionale decisiva nei momenti di difficoltà e caratteristica fondativa, vera ragione di essere genetica di una comunità.
Siamo un Paese stretto e lungo, conosciamo bene le differenze che sono difetti e virtù di ognuno in un cocktail tutto italico: siamo un paese nato dalla strenua volontà di una minoranza Risorgimentale, l’unico momento in cui un gruppo dirigente ha sposato interessi, ambizioni, idealità con una forza rivoluzionaria in grado di avere successo dove fallirono poeti, intellettuali, duchi, granduchi, imperatori e papi. Un Paese che ha avuto i suoi bei problemi di “integrazione” ma che ha cercato di offrire chance a tutti, a volte malamente impiegate ma tutto si può dire tranne che sia stato un Paese che non abbia mostrato nei momenti di difficoltà una solidarietà strepitosa. In ogni grande sciagura, crisi, sofferenza si partì da ogni angolo del Paese per salvare opere d’arte, libri, vite umane, famiglie e financo la Patria. Questo Paese che è e rimane uno dei grandi paesi del mondo, una democrazia non perfetta ma consolidata, una economia sofferente ma viva, una capacità di inventare in un territorio senza uno straccio di risorsa naturale che non fosse carattere e intelligenza, questo Paese è stato atterrato da un microbo.
Perché, diciamocelo: possiamo accettare di avere una marea di incapaci (eufemismo) al governo di stato e regioni e città; possiamo accettare un sistema fiscale medioevale e uno stato pervasivo e lo accettiamo perché abbiamo la libertà (non sempre gli strumenti) per contestarne i difetti ad alta e libera voce. Ma non possiamo accettare che si rompa il sentimento, il significato dell’essere Paese, quella fratellanza umana tra Italiani, quella che riconosci nelle difficoltà e nel bisogno. La mancata solidarietà che oggi mostriamo l’un l’altro alimenterà estraneità, nemmeno diffidenza e men che meno rivalsa. Alla sorpresa, alla sensazione del colpo alle spalle subentrerà inevitabilmente l’indifferenza. E un Paese nel quale i cittadini sono tra loro indifferenti non è più un Paese ma è ciò che Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein scrisse all’amico conte Dietrichstein: “La parola “Italia” è un’espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma che non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono ad imprimerle”.
Non voglio che abbia ragione ma gli state dando ragione.
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