Governo
E se l’uscita di Draghi non fosse un vero danno per l’Italia?
Da diversi giorni sembra aver preso piede l’interpretazione che l’uscita di Mario Draghi dall’agone politico sia una iattura per il nostro Paese.
Premesso che l’immagine e le modalità operative che la politica italiana ha mostrato in questi ultimi giorni sono assolutamente disdicevoli. In parallelo ho infatti la (s)fortuna di vedere come una situazione altrettanto complessa si stia sviluppando in Inghilterra dove, per mandare via un primo ministro “pagliaccio e mendace”, si sono dimessi 50 membri del Governo, e subito il partito conservatore ha deciso di procedere rapidamente ad una sorte di “primarie interne”. Una cosa anche solo impensabile nei corridoi e nei poltronifici romani.
Insomma, considerato anche tutto questo, non sono così sicuro che l’uscita di scena, spero temporanea, di Mario Draghi sia il peggiore dei mali. Mi spiego meglio: dopo gli strappi delle ultime settimane – non a caso emersi solo dopo che tutti i parlamentari hanno raggiunto la certezza di aver maturato la “pensione” – pensare che Draghi potesse continuare a governare per i prossimi 9 mesi, in una campagna elettorale perpetua, era a mio avviso una pia illusione.
Per tutti coloro che hanno un minimo di consapevolezza di come si articola il processo della approvazione di una finanziaria, solo immaginare cosa sarebbe stato questo processo in piena campagna elettorale, e con ognuno dei partiti alla ricerca di bandierine su provvedimenti tesi a “comprare” voti, fa venire i brividi.
L’accelerazione della crisi ci espone certamente a maggiori rischi a breve termine, ma ci dà forse qualche opportunità in più. La campagna elettorale sarà necessariamente molto breve – se si andrà a votare, come sembra, alla fine di settembre – e si limiterà di fatto a poco più di un mese, visto che in agosto la maggior parte del Paese pensa, ahimè, alle vacanze.
Se dalle urne dovesse uscire una maggioranza chiara e coesa – cosa che da osservatore mi sembra poco probabile, anche viste le divisioni che contraddistinguono centro, destra e sinistra – ci sarà un Governo voluto dal paese (o meglio dalla maggioranza di coloro che andranno a votare che, presumibilmente, non saranno moltissimi) che dovrà affrontare tutti quei problemi, contingenti o meno, che Draghi non ha potuto/voluto affrontare.
Se invece, come potrebbe essere possibile, ci dovessimo per l’ennesima volta trovare di fronte ad uno stallo come quello del 2018 o dei primi mesi di quest’anno per l’elezione del Presidente della Repubblica, allora Mattarella avrà buon gioco a richiamare Draghi che, con davanti 5 anni di legislatura potrà dettare davvero le condizioni a cui i partiti dovranno, volenti o nolenti, assoggettarsi.
A quel punto i “veri problemi” potranno essere affrontati prendendo tutti quei provvedimenti necessari a risolvere molti dei nodi che il Paese affronta da decenni – solo per menzionarne alcuni, debito, eliminazione dei sussidi, revisione delle norme sulla concorrenza, catasto, taglio della spesa improduttiva, impostazione di una vera politica industriale che faccia leva sui nostri vantaggi competitivi e non sui bacini ed interessi elettorali – e con un primo ministro autorevole e finalmente non condizionato da interessi di rielezione.
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