Governo
E se fosse Calenda l’eroe che il Paese si merita?
Sembra certamente fuori luogo occuparsi di cose domestiche mentre fuori dei confini infuria letteralmente la battaglia, ma la vita continua e soprattutto quello che è accaduto in Israele dimostra anche che una democrazia atrofizzata fa sempre danni, per cui è bene occuparsene prima che sia troppo tardi. Occupandomene un poco da osservatore devo fare una confessione: mi sta piacendo Carlo Calenda, più di quanto mi aspettassi.
Calenda l’avevo rubricato in campagna elettorale come meteora chiassosa, di ego tronfio e instabile, politicamente sgrammaticato; non dico che non lo sia rimasto, o che questi tratti non siano pronti ad erompere, ma nel disastro generale vedo soprattutto con piacere un leader che vede la barra, sta sulle cose, propone, ragiona, gioca fair con il Governo riconoscendo anche ragioni e difficoltà obiettive senza cadere, proprio lui, addirittura lui, nelle trappole social dei messaggi semplificatissimi e del muro contro muro senza se e senza ma.
L’attuale resto dell’opposizione, nuova nelle facce non certo nei modi, l’ha capita e la pratica con mestiere l’arte italiana di saper aspettare: tieni in caldo i tuoi e nel frattempo aspetti che il quadro politico evolva, che chi è al potere passi nello spazio di un mattino da giovane promessa a solito stronzo e che i pratici apparecchino qualcos’altro in cui infilarsi, un governo tecnico al quale dare il proprio supporto per senso dello Stato in attesa di un altro giro di roulette. Calenda no, con l’acribia soldatinesca che si era vista già nella campagna a Sindaco di Roma (vi siete pentiti elettori romani di come è finita vero? Un po’ si sapeva però voi niente, e vabbè, tenete la leadership opossum di Gualtieri, fingersi morti) argomenta, propone, sostiene il salario minimo ma anche il nucleare.
Forse, anzi è assai probabile, questa libertà di pensiero è solo l’esplosione di un ego ipertrofico, ma adesso chi se ne frega: per larghi tratti sembra l’unica voce in grado di dire cose di senso, almeno di sollevare questioni che a chi si occupa di sviluppo economico, innovazione, impresa e lavoro non da una prospettiva ultra partigiana dicano qualcosa. Così facendo incalza anche un governo che non è l’esecutivo Belzebù, ma che su molte partite è lungi dall’essere all’altezza, che è il ruolo che in un mondo politico normale dovrebbe fare l’opposizione, accreditandosi anche per la bontà delle proprie posizioni e succedere a chi è al potere.
In campagna elettorale avevo definito Azione e Italia Viva come il “partito dei commercialisti e di quelli con l’Audi aziendale” e probabilmente è ancora così, ma nel frattempo l’involuzione è corsa a una tale velocità da far ritenere quello che è rimasto almeno fermo tutto sommato meno peggio.
Io mi sono formato con l’idea che la mia parte politica dovesse aspirare legittimamente a costruire coalizioni politiche e sociali per aspirare al governo democratico del Paese, del partito Freeda degli attivisti, tutto SDG e soluzioni carine e semplificate da Ted Talk, che non è chiaro chi le paghi, francamente non so che farmene, e temo che in questa temperie non abbia che farsene nemmeno il Paese.
A Carlo Calenda darei oggi le chiavi, a patto che stia buono o e continui a fare quello che fa di meglio, lo sgobbone, e che lavori molto di più sulle sintesi, ché il Paese è un mosaico di concetti piccolissimi che vanno assemblati fino a farne un disegna decente. Tenendosi magari la splendida famiglia più per sé, che abbiamo capito che si parla di personale quando langue il politico.
Fossi Fagioli, scommetterei che non ce la farà, ma per adesso menomale che c’è, l’eroe che il Paese si merita.
Mah! non mi ispira molta fiducia.