Governo
Dove sta andando Nicola Zingaretti?
Sta cercando di raccogliere quel poco di sinistra che rimane, più che altro formata da fuoriusciti dal Pd – durante la gestione di Matteo Renzi – e da coloro che, dopo lo scioglimento di Sinistra Ecologia e Libertà, sono rimasti a governare la Regione Lazio in uno stretto connubio politico. Ha poi aperto le porte e il logo a “Siamo Europei” di Carlo Calenda, cercando di allargare il campo anche ai liberal-democratici. Quei “liberal” che non trovavano spazio nel progetto di Matteo Renzi. O, almeno, tutto lo spazio che ambivano ad avere. In ultimo, ha inaugurato il dialogo con la Cgil, accogliendo al Nazareno il segretario Maurizio Landini. A ben guardare, però, sembrano piccole operazioni di ceto politico. Perché fuori dalle manovre di Nicola Zingaretti rimane il grosso del panorama politico.
Rimane escluso – almeno in questa prime fase dell’azione zingarettiana – quell’elettorato che non intende sposare l’operazione neo-ulivista, ricordando come le stagioni prodiane non portarono a vere e proprie riforme strutturali. Molti proclami, buoni intenti a fronte di governi impantanati nelle sabbie mobili delle golden share da parte dei piccoli partiti alleati ben agguerriti nel mantenere lo status quo. Perché questo elettorato oggi è stretto tra il tessuto produttivo logoro, un mercato del lavoro asfittico e le proprie ambizioni in linea con gli standard europei, ma mortificate da un ascensore sociale bloccato ai piani bassi della scala sociale. Questo elettorato è spaventato dalla possibilità che la visione di Zingaretti sia propensa a sposare un’impostazione che guarda più a misure assistenzialistiche che alla creazione di ricchezza. Fino a paventare una possibile tassa patrimoniale. Ovvero, andare a discapito dei ceti più abbienti, colpendo i loro patrimoni, per recuperare risorse sufficienti a garantire misure assistenziali a vantaggio dei ceti meno abbienti e del mantenimento dei propri agi da parte delle solite consorterie tradizionalmente ben tutelate. Se vogliamo, la patrimoniale è una misura più sofisticata ed elegante del reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle, ma comunque va nello stesso solco. Non si crea ricchezza, ma si distribuisce quella che c’è. In poche parole, non si crea sviluppo.
Oggi non si sa nulla di ufficiale. Zingaretti e i suoi si limitano ad ascoltare un po’ tutti gli attori politici riconducibili all’idea di “sinistra” degli ultimi 30 anni, oltre che ad affermare che “siamo europei”, non specificando però nulla di più preciso al riguardo. Perché si può essere europei in tanto mondi e in base a tante sfumature. Per prendere a paragone la Francia, stretta come noi – in differente misura – da movimenti populisti – si può essere europei alla Macron o alla Melenchon. Si può scegliere il manifesto per l’Europa del primo o il contro-manifesto del secondo, tralasciando quello di Carlo Calenda.
L’impressione è che non si assisterà a una stagione di rivincita da parte del Partito Democratico. Almeno nel breve periodo. Perché, più che altro, affinché si possa avere un capovolgimento di fronte, servirebbe recuperare i voti che il Movimento 5 Stelle sta perdendo giorno dopo giorno, oltre che ottenere il consenso da parte di quell’elettorato che si riconosce in una visione realmente liberal-democratica. Voti che al momento si avviano a ingrossare le fila degli astenuti, oppure stanno convogliando a favore di Matteo Salvini. Se il 20% è considerata la misura del successo, è chiaro che il progetto è perdente.
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