Governo

Dal Colosseo alla Reggia: Il sindacato come arma di distrazione di massa

4 Marzo 2016

Mauro Felicori Un solo cruccio deve aver avuto Matteo Renzi nell’apprendere dei fatti di Caserta: fra  le rappresentanze sindacali che hanno mosso accuse al nuovo direttore della Reggia  non c’è  la FP Cgil, che tra l’altro si è subito dissociata dalla iniziativa a tutti i livelli.

Per il resto siamo di fronte all’ennesimo piatto ricco (ma un poco scondito e scontato) imbandito alla necessità vitale del presidente del consiglio di spostare l’attenzione del popolo sui consueti nemici: gufi, sindacati, fannulloni.
Il documento, redatto da svariate sigle, si compone di tre pagine del tutto sconosciute se non per l’accusa mossa a Mauro Filicori di “restare fino a tarda ora nella Reggia mettendo a rischio l’intera struttura museale.”  A ben vedere, non lo si sta formalmente accusando di lavorare troppo, ma di produrre un comportamento che avrebbe non meglio comprensibili e precisate conseguenze.
Sarebbe necessario ed opportuno conoscere anche il resto della missiva per provare a capire dove volevano andare a parare di preciso i malcapitati sindacalisti. Presto si spera sarà divulgata, anche se sarà forse  troppo tardi, per rimediare agli effetti tossici di questo polverone.

Non è difficile immaginare che si tratti di una lettera di denuncia rispetto al mancato rispetto degli accordi in essere, scarsa attenzione al ruolo di interlocuzione sindacale, condizioni di lavoro; una missiva come centinaia ne vengono prodotte ogni giorno, nell’esercizio di normali relazioni industriali.
Oramai però è chiaro che ogni pretesto è  buono per usare questa efficacissima “arma di distrazione di massa” che è il sindacato.
Come fu per il Colosseo anche per la Reggia, screditare i lavoratori e chi li rappresenta sulla base di poche prove indiziarie ben assemblate sta diventando il passatempo preferito di un premier che quando si trova in difficoltà su temi di capitale importanza parla d’altro.
Abbiamo problemi internazionali ed una guerra alle porte (la Libia), la miseria di soli circa 160 000 posti di lavoro creati con lo scalpo dell’articolo 18 e incentivi dati a pioggia, la crescita che non riparte, la borsa che fibrilla anche per effetto di banche salvate ma non salve, il cadavere orribilmente martoriato di un giovane ricercatore che chiede e non ottiene verità: questi sarebbero i banchi di prova su cui far soffiare il vento del cambiamento e invece registriamo su tutti piena bonaccia.
Renzi fatica a passare con la stessa facilità con cui vola da una metafora ad un paragone, dall’azione ai fatti, dalle intenzioni alle decisioni  che, da uno statista si pretendono, tempestive, inequivocabili e reali.
E allora meglio dedicarsi ad altro con la complicità di media spesso ridotti a gran cassa di una narrazione che ormai   comincia ad intonare il motivo dell’orchestra del Titanic prima dello schianto.
La notizia in se stessa non c’è; una querelle come tante ne avvengono ogni giorno, uno scontro epistolare incruento tra datore di lavoro e sindacato: nessuno sciopero, nessun disagio annunciato.
Eppure si crea il caso utile nel momento più utile, un caso che, presentato con tanta palese strumentalità, in un gioco di associazioni non proprio libere, riporta immediatamente al Colosseo ai timbratori in mutande di San Remo, ai vigili urbani di Roma.
In questo frangente le colpe presunte o reali del sindacato però non c’entrano, anche  se ormai sembrano ricadere un po’ ovunque e sempre dove vuole il Governo.
Nella vulgata renzista le organizzazioni sindacali costituiscono una massa unica, informe e maleodorante che incrosta la nostra società civile e ne impedisce il dinamico avanzare verso una nuova età dell’oro, come  ogni forma di opposizione ai suoi twit giovanilistici, del resto, proviene sempre  da grigi professoroni o tristi volatili.
Più che  fornire il resoconto di due anni di governo, questa narrazione  scanzonata e livorosa  sembra propinare una favola dark horror da somministrare  a bambini impressionabili per farli addormentare. Peccato che il ruolo del lupo mannaro affibbiato al sindacato, mai come in questo frangente, faccia sorridere e non spaventare.

Peccato che troppo spesso il sonno su cui si gioca sia quello degli italiani e della loro facoltà di farsi idee libere.

Non si tratta  comunque di difendere in questa vicenda questa o quella organizzazione di rappresentanza, ma di provare a garantire, di fronte ad un attacco gratuito fuori bersaglio, il diritto sacrosanto alla difesa per chi si trova, di volta in volta, pressato in un tritacarne mediatico ad uso e consumo di un potere che, oltre alla autocelebrazione non di rado costruita sull’altrui demonizzazione non sa andare.
Pure coloro che adesso incornano felici seguendo il rosso di questo nuovo drappo  sventolato ad arte  dovrebbero provare a  fermarsi e ragionare perché  questa strategia della denigrazione ha pure per loro conseguenze di lungo termine. Come le ha per tutti.
La costante e scientifica demolizione del ruolo e della credibilità dei cosiddetti corpi intermedi indebolisce gli anticorpi della democrazia, rende più agevoli i blitz, e le razzie di diritti che si danno per scontati ma che con questi chiari di luna non sono mai al sicuro.
Un esempio per tutti: per un’assemblea dei lavoratori, regolarmente convocata al Colosseo, che ha provocato un disservizio di un paio d’ore a un manipolo di turisti, il diritto di sciopero (diritto costituzionale),  ha subito una imponente limitazione  grazie ad un decreto legge e ad un successivo pronunciamento del Garante.
Troppo tardi ci si è accorti che anche al Moma di New York o alla Tate di Londra poteva succedere di trovare chiuso per agitazioni sindacali. Al contrario ci si è precipitati, non appena appresa la notizia, a giustiziare il solito presunto colpevole invocando modernità e difesa dell’immagine del paese all’estero, come se  quell’episodio e non altri elementi ( rifiuti, trasporti, prezzi, borseggi) rappresentasse il tallone d’Achille dell’offerta turistica della capitale.  Si sbaglia se si pensa questa vicenda sia circoscritta a quei lavoratori, ad un preciso contesto.

Roma e Caserta ci avvertono di come il supermercato delle opinioni precostituite sia sempre pronto a sollevarci dall’approfondimento dei fatti; un comportamento questo  che tendiamo ad assumere sempre più automaticamente, ma che può rilevarsi  gravido di conseguenze se l’imbonitore che ci vende il pacco coincide con chi ci governa.

Si può anche non essere gufi senza per questo  esser costretti a vestire i panni (o le piume) di utili  allocchi.

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