Governo

Da “Assassinio su Nilo” a Crisi di Suez, rischi del fitness in politica estera

5 Febbraio 2016

Riassumiamo.
Un giovane italiano è stato trovato morto ammazzato al Cairo. La sua Slow Death alimenta le voci che sappiamo e che per umana pietas per il suo corpo e per la sua famiglia è inutile riscrivere ma qualche considerazione è quanto mai opportuna cercando di leggere le verità, non una, su due sponde del Mediterraneo.

L’Egitto è un paese in guerra civile dopo il disastroso “esperimento” democratico sponsorizzato dalle cancellerie occidentali: si voleva dire che noi non stavamo più con i “cattivi” e si pensava di alimentare la transizione verso la democrazia grazie ai i fratelli musulmani che erano i “buoni”, o i meno peggio. Il breve regno di Morsi animato dall’idea del califfato sunnita sotto la tutela di Erdogan e le leggi imposte a un paese che, unico nell’area oltre a Israele, ha una tradizione statuale solida portarono dritti al colpo di stato di Al Sisi lautamente finanziato dagli Emirati (effettuarono il più ingente trasferimento di fondi nella storia della finanza in una sola notte), reso solo più accettabile dal suo successivo trionfo elettorale “bulgaro”. Oggi Al Sisi ha molti problemi esteri, perchè chi gli ha dato più credito in Occidente siamo noi italiani per poter partecipare allo sfruttamento del gigantesco giacimento di gas “scoperto” dall’Eni: in altre cancellerie, Foggy Bottom compresa, è lontano dall’essere sdoganato. Ma ha problemi interni altrettanto gravi: se i Fratelli Musulmani sono ai minimi termini e sepolti in massa nelle non confortevoli galere egiziane, i salafiti sono bene attivi. In Sinai gli israeliani hanno dovuto accettare una modifica del trattato di pace firmato da Sadat (un Grande purtroppo dimenticato) e l’esercito egiziano è tornato a scorrazzare con tank e Apache a caccia dei gruppi beduini amici dell’Isis. Il controllo di Al Sisi è nelle città, che non è poco, ma il deserto del Sinai e l’Alto Egitto è terra incognita. Dal punto di vista economico la crisi è profonda, le sue promesse agli egiziani di una vita migliore non hanno retto alla botta finale della chiusura dei voli per Sharm el Sheik dopo l’abbattimento del jet russo su una situazione già precaria. La insoddisfazione popolare (la sua “credibilità” è oggi scesa dal 96% al 60% se i sondaggi valgono qualcosa) mina la tenuta del Rais al punto che all’interno dell’apparato militare il dissenso è più di una chiacchierata da bar e il dubbio che l’assassinio di uno “straniero” (cosa non frequente se si eccettua un croato qualche mese fa e i turisti messicani scambiati per terroristi dalla aviazione mentre si avventuravano con una colonna di fuoristrada per una vacanza tra le dune) potrebbe anche essere una faida interna ai servizi di Sicurezza per mettere Al Sisi in difficoltà con il suo principale alleato estero (noi). Last but not least, Al Sisi vuole una provincia libica, la Cirenaica, sotto influenza egiziana: sostiene Haftar che è un pessimo ma è l’anima del governo di Tobruk e manda i suoi aerei senza insegna a bombardare l’Isis grazie (si noti) a aerei cisterna forniti dai francesi che stazionano per aria a sud di Lampedusa. Per diventare più “amico” dei francesi ha comprato i Rafale dalla Dassault e le due Classe Mistral, navi da sbarco francesi che dovevano essere consegnate ai russi ma finite sotto embargo (si dice pagate dai sauditi che le avrebbero completate acquistando dai russi gli elicotteri Kamov KA 52 già previsti per la Voenno-Morskoj Flot)

Sul fronte italiano le cose son un po’ più sorprendenti: il ragazzo era giovane ma per nulla incauto. Frequentava la Università Americana del Cairo che è una vera istituzione e scriveva per “Communist Il Manifesto” come definito da Al Jazeera. La reazione italiana, sia dei giornali che del Governo, è insolitamente aspra. Per quanto riguarda i giornali la Internazionale dei sessantottini si è messa in moto come altre volte accadde e lavorando tutti non più al Manifesto ma in ben più borghesi redazioni ha dato un risalto che credo abbia costretto il governo ad alzare i toni: dato che non abbiamo fatto una gran figura a tutelare i nostri marò in India, con l’Egitto si fa la voce grossa, si chiama l’ambasciatore, si muove il ministro degli esteri, il ministro dell’industria ritira anticipatamente una delegazione di imprenditori in visita al Cairo e il ministro degli interni invia un pool di funzionari che neanche per il mostro di Firenze furono messi in campo. Per dare una dimensione degli effetti del rumore dei tamburi della banda, la stampa internazionale, dal NYT al Times of Israel alla stessa Al Jazeera, commentano la notizia scrivendo di “chilled relations” tra i due governi. Era questo l’obbiettivo politico?

Io ho una personale idea: o il Governo ci spiega dettagliatamente e con solidi e convincenti argomenti, che con dispiacere e silenzioso rispetto per i familiari non possono essere la ricerca della verità giudiziaria, il perchè di una tale potenza di fuoco o chiudiamo la bara, e facciamo alla rapida un bel funerale con pennacchi e Mattarella vari.

Se il Governo è invece dell’idea che il problema sia il solo accertamento della verità, una volta che abbiamo certificato ciò che sappiamo già e cioè che sono stati i Servizi Egiziani a conciare un povero ragazzo come una vittima delle galere cilene, cosa facciamo: ci accontentiamo di uno “scusate non lo faremo più” (che non diranno mai e che suonerebbe anche ridicolo) o spostiamo la Cavour con Comsubin e Folgore a bordo davanti ad Alessandria d’Egitto e dall’Assassino sul Nilo passiamo direttamente alla Crisi di Suez?

Spiegatemi, io non capisco più questa politica estera da sala fitness.

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