Governo
Toscani fuori dal governo: cronaca di una purga autoinflitta
L’annuncio dei viceministri e sottosegretari del governo Conte Bis ha provocato uno psicodramma tra i renziani toscani, pronti a evocare purghe e vendette contro di loro. Sicuramente è quanto mai inusuale che né il governo né il sottogoverno abbiano esponenti toscani, specialmente in una maggioranza caratterizzata da quel centrosinistra che ha uno stretto rapporto con la stessa regione. Malgrado l’odierno sfogo via social, tale disinteresse non nasce oggi.
Fino a pochi anni fa, il lungo corso PC-PDS-DS-PD aveva garantito un’interlocuzione profonda tra la rappresentanza territoriale Toscana e quella nazionale. La rete capillare di potere partiva dai segretari di federazione e dai sindaci per terminare con i deputati eletti, rappresentanti di precisi territori, mentre il segretario regionale svolgeva una funzione di raccordo. L’interlocuzione si è incrinata con la caduta del muro di Berlino, peggiorata con la creazione del PD fino a cadere in disgrazia con l’ascesa di Matteo Renzi.
Durante il corso renziano, la figura di segretario regionale è stata affidata a due fedelissimi, bravi amministratori privi di qualsiasi esperienza nel lavoro di coesione territoriale che avrebbero dovuto esprimere. Prima il deputato Dario Parrini, poi l’eurodeputata Simona Bonafè, la cui sede di lavoro dovrebbe essere Bruxelles e non Firenze.
La composizione delle liste elettorali delle politiche 2018 ha poi rappresentato un tentativo di cancellazione della tradizione PC-PDS. Fatte salve alcune rare eccezioni, come l’on. Susanna Cenni, gli eletti sono espressione di fedelissimi di Matteo Renzi (tra cui Andrea Marcucci, Dario Parrini, Francesco Bonifazi, Davide Ermini e Luca Lotti) e di autorevoli paracadutati. I romani Pier Carlo Padoan a Siena e Roberto Giachetti a Sesto Fiorentino sono stati ricompensati con seggi sicuri, mentre il tiranese Benedetto della Vedova non è stato eletto a Prato per pochi voti. A questi possiamo aggiungere due accademici nati ed eletti a Pisa (Stefano Ceccanti) e Livorno (Andrea Romano), i quali non hanno una storia politica legata ai luoghi d’origine.
A proposito della lunga lista degli esclusi, mi limito a citare l’esempio della Val di Cornia. La mia terra natia è storicamente considerata come una federazione piccola ma capace di forte elaborazione politica, tanto che nella scorsa legislatura esprimeva due deputati, Andrea Manciulli e Silvia Velo. Il primo, ex segretario regionale, ha svolto un importante ruolo in seno alla Camera dei deputati nei temi della radicalizzazione e terrorismo islamico. Alcuni organi di stampa hanno fatto intendere che la sua candidatura sia stata depennata perché vicino a Marco Minniti, ex ministro dell’Interno colpevole di un eccessivo protagonismo in grado di offuscare l’astro renziano. Silvia Velo, reduce da alcuni anni di buon lavoro come sottosegretaria all’Ambiente, priva dei paracaduti destinati ai renziani ortodossi, non è riuscita nella propria sfida. Per ottenere un seggio al Senato ha dato battaglia nella quota maggioritaria del territorio che comprendeva sia la rossa Livorno che Grosseto, ma quest’ultima provincia ha virato decisamente a destra.
In definitiva, la corrente che lamenta l’assenza di toscani nel governo è la stessa ha diretto la ben più grave estromissione della tradizione politica territoriale della regione.
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