Governo

Costituzione “sospesa”? Non deve accadere

2 Maggio 2020

Il decreto ministeriale era comprensibile nel momento in cui bisognava gestire con rapidità i primi momenti dell’emergenza, in modo da garantire un effetto “immobilizzante”, utile al contenimento del virus.

 

Lunedì sera, in una trasmissione televisiva che ha superato il 9% di share, un giornalista di Repubblica ha affermato, con tono sereno, che la “Costituzione è sospesa” in quanto “c’è un patto tacito o comunque evidente, per cui i cittadini italiani […], in cambio della libertà di non finire intubati […], hanno accettato questa sospensione.”. Dopo queste dichiarazioni, sono seguite giustamente numerose polemiche che, partendo dallo studio televisivo, hanno travolto i social networks per tutta la settimana, in modo particolare Twitter. Queste polemiche si sono sommate ai dubbi dei costituzionalisti più autorevoli (De Siervo, Cassese, Marini et al.), già riportate dai media, in merito agli strumenti normativi utilizzati dal Governo nonché alle irregolarità di contenuto.

È possibile, per l’esecutivo, sospendere la Costituzione? Di quale patto stiamo parlando e chi mai lo avrebbe stipulato? Cosa sarebbe, poi, questa fantomatica “libertà di non finire intubati”?

Rispondiamo con ordine, affermando anzitutto che la Costituzione non prevede la possibilità di sospendere le libertà fondamentali dei cittadini. Tale possibilità può essere intesa solo come una disapplicazione ingiustificabile in violazione della Carta, specialmente se attuata reiteratamente, in due mesi, per gestire un’emergenza che è già stata ampiamente inquadrata.

Il momento della relazione annuale del Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, è stato l’occasione più propizia per lanciare un monito al Governo in merito al “traballante”- utilizzando le parole del Professor Alfonso Celotto –  fondamento costituzionale dei DPCM.

“La nostra Costituzione” ha ricordato Cartabia, “non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza sul modello dell’art. 48 della Costituzione di Weimar o dell’art. 16 della Costituzione francese, dell’art.16 della Costituzione spagnola o dell’art. 48 della Costituzione ungherese. Si tratta di una scelta consapevole. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri.”.

Nonostante questo, è bene ricordare che la Costituzione conferisce comunque, per i tempi di crisi, un ruolo centrale al Governo. Come recita il II comma dell’art. 77, infatti, “in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, da presentare il giorno stesso alle Camere per la conversione. Come stabilito nel III comma, “i decreti perdono efficacia sin dall’inizio” (come se non fossero mai esistiti), se “entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione” non vengono convertiti in Legge dal Parlamento. Potremmo stare ore, poi, a disquisire sul significato di “necessità e urgenza” e dell’abuso che si è fatto, in passato, della decretazione d’urgenza, ma non è questo il momento.

DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), invece, non sono soggetti a conversione parlamentare come i Decreti Legge (atti di rango primario), poiché sono atti ministeriali di natura amministrativa. In tal modo, il Governo ha potuto scavalcare il Parlamento e il Capo dello Stato.

Il decreto ministeriale era comprensibile nel momento in cui bisognava gestire con rapidità i primi momenti dell’emergenza, in modo da garantire un effetto “immobilizzante” – un po’ come accade per i decreti c.d. “catenaccio” -utile al contenimento del virus. Con la fuga di notizie del 7 marzo, non è stato possibile garantire al meglio nemmeno questo.

Oggi, dopo due mesi dall’inizio dell’emergenza, “il Governo deve trovare mezzi costituzionali per intervenire, altrimenti la Costituzione non vale più a nulla” ammonisce Celotto ai microfoni di Radio Radicale, credendo sia necessario ripartire proprio dalla Costituzione. Stesso discorso, secondo il costituzionalista, vale per la questione App Immuni: “Non può essere disciplinata da un decreto ma dal Parlamento, per via della riserva di Legge in materia di libertà personale”.

Infine, il diritto alla salute individuale e collettiva – non “la libertà di non finire intubati” – sancito dall’art. 32 della Costituzione non può essere il motivo per sospendere i diritti e libertà fondamentali garantiti in altri articoli. In un’ottica di ponderazione tra diritti costituzionalmente sanciti non può essere più tollerato il totale confinamento (lockdown).

Dal punto di vista economico, poi, un conto è sostenere i settori che difficilmente possono evitare l’assembramento (v. ristorazione, turismo, trasporti etc.), un altro, invece, è sussidiare quasi tutte le attività della nostra economia. Pertanto, la parola chiave per la c.d. Fase 2 dovrà essere “distanziamento“, in modo da ingenerare, tutt’al più, una leggera compressione de facto – giammai una sospensione – di alcune libertà, al fine di preservare l’art.32.

 

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