Governo
Contro il machismo del virile Salvini, coltiviamo dolcezza
Il maschio al potere, anzi al comando.
È tutta qui l’Italia salviniana, l’Italia che deve mostrare gli attributi, presentarsi machista, l’Italia che ce l’ha sempre duro, l’Italia che è virile o non è, che è rude o non è.
Questi mesi di Governo, all’insegna della monopolizzazione leghista dell’opinione, si sono mostrati straordinariamente potenti. In grado di far riemergere dagli abissi dell’indecenza, un tempo schiacciati dalla pudica mano di un potere garbato, le più intime e volgari pulsioni del Paese che ama il vir e disdegna l’homo.
La retorica salviniana sgorga dalla pancia della Nazione e impone l’immagine dell’uomo rozzo e semplificatore, che conosce poco, che usa la lingua più bella del mondo con pressappochismo, che mangia per nutrirsi. Il macho salviniano disdegna la delicatezza e la gentilezza, impedimento all’esercizio del potere incline all’ irrazionalità, poco ponderato, come l’uomo sulla ruspa che distrugge in un solo colpo ma non sa costruire. Nei gesti e nei contenuti la retorica del ministro dell’interno è tutta votata ai simboli della forza virile: la divisa di altri indossata come un costume, il cibo precotto perché il maschio non sta ai fornelli, il gergo da spogliatoio. Tutto ciò che è cultura diventa superflua sofisticazione, ingombrante sovrastruttura dell’uomo con l’elmo e lo scudo.
Nel mondo salviniano Achille non ha mai pianto, Dante non è mai svenuto; non esistono compassione o pietas. Il ministro-condottiero deve sfoggiare decisionismo, per quanto in una democrazia il vero decisore sia colui che è in grado di mediare.
In questo profluvio di mascolinità, di muscolosa tensione, tutti hanno un ruolo definito dalla narrazione grossolana del potente: i cantanti cantano, gli attori recitano, le donne stirano. Salvini ha restituito all’Italia una nostalgica e, a quanto pare, imperitura visione di dannunziana memoria in cui il superuomo è alfa e omega.
Dove sono finite le sfumature che pure continuano a popolare la quotidianità della gente comune? Dove sono finite le minoranze? I più deboli, chi si sente diverso è fagocitato e scompare.
Tuttavia, Salvini non inventa nulla, da voce e sostanza a sentimenti che, giustamente, lo spirito repubblicano con i suoi valori ha, perfino negli anni più bui, spinto sul fondo.
La retorica del superuomo ha adombrato lo straordinario valore della donna impegnata nella cura della cosa pubblica: aspetto cruciale del progresso materiale e spirituale della società.
Il celodurismo (bizzarria in Bossi, pratica in Salvini) ha annebbiato, nel sentire comune, la cura che lo Stato deve assicurare alle conquiste in materia di diritti civili. I diritti agguantati della comunità LGBTQ sono ancora troppo fragili per resistere ad un lustro di salvinismo al potere: le norme non vivono fuori dalla temperie sociale in cui sono immerse, non hanno vita lunga se non sono nutrite dalla sapienza di chi interpreta lo spirito del tempo, governando il Paese.
Cosa resta a chi non vuole cede agli imperativi di una retorica così violenta?
Dobbiamo coltivare dolcezza, scansando la rudezza. Solidarizzare davanti alle chiusure. Al machismo, rispondiamo con l’efebica bellezza di chi resta giovane perché coltiva l’amore verso chi vuole.
Per dirla seguendo il luminoso esempio del Capo dello Stato: se lo faremo, non avremo risposto all retorica della virilità con quella dei buoni sentimenti; avremo, piuttosto rifiutato l’intolleranza latente, l’astio che creano “ ostilità e timore”.
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