Governo

Concorrenza, classi dirigenti locali e corporazioni all’attacco di Draghi

25 Marzo 2022

L’imprenditore è mestiere per lo Stato, dicono con qualche imbarazzo e sottovoce, tra loro, partiti e sindacati italiani.  Ci spiegano, questo sì, a gran voce, che non si tratta di tutelare i tutelati ma di generosità nei confronti degli utenti, del resto solo la mano pubblica e la sua famosa efficiente gestione diretta possono proseguire nel garantire a tutti servizi di qualità.
Ecco dunque che su una vera apertura al mercato dei servizi pubblici locali, delle concessioni balneari, dei taxi o ncc, del trasporto ferroviario regionale, rischia di arenarsi il percorso liberale italico, stimolato in primis dalle normative europee per le quali la concorrenza è strumento di crescita e sviluppo, oltreché, naturalmente, di maggiore libertà imprenditoriale del soggetto privato.

Clientelismi e rendite di potere corroborano ancora i principali partiti italiani nelle loro articolazioni locali, non disposti, quindi, a perdere questi asset che ne legittimano ancora una forza locale e un potere di scambio di cui hanno bisogno.

Forza Italia e il Partito Democratico in primis, capaci di trovare ina sé negli ultimi 30 anni qualche spinta liberale a livello nazionale, hanno abdicato alla domanda di rilevanza economico-finanziaria e di consenso delle proprie classi dirigenti locali.

Il M5S ha avuto altro percorso segnato dal fallimento Raggi nella capitale guidato dalla linea ideologica del bene comune pubblico, che ha visto l’amministrazione impegnata nell’illusione di salvare i simboli dello spreco e della cattiva qualità dei servizi ATAC e AMA, finendo, la giovane grillina – al pari del suo predecessore – sommersa dai rifiuti, da bus zeppi e disservizi.

Ci sono stati passi avanti importanti di apertura al mercato, dagli anni 90 in poi, di settori quali le telecomunicazioni, il servizio postale, l’elettricità, ma anche le riforme Bersani e quella Treu e Biagi sul lavoro. Risultati ascrivibili anche alle segreterie dei partiti dei Berlusconi e dei Prodi, in aree però meno sensibili alle pressioni dei clientelismi locali.

La vicenda Alitalia, simbolo del fallimento dell’intervento pubblico, oggi, con l’interruzione del flusso di fondi pubblici e le prospettive di vendita della risanata ITA, potrebbe finalmente chiudersi.

Anche la deleteria presenza dei partiti e degli enti locali nella proprietà delle banche italiche, attraverso le fondazioni bancarie, foriera di fallimenti e sprechi di soldi pubblici e che ha visto le vicende di Montepaschi e Carige solo come apice della crisi del sistema creditizio-clientelare,  si è drasticamente ridotta negli ultimi 15 anni per l’incapacità di reggere sui mercati delle fondazioni, il peso azionario delle quali si è eroso grazie agli aumenti di capitale dei soggetti privati più che altro internazionali.

Insomma, il percorso verso una economia di mercato aperta realmente alla concorrenza, è stato parziale ed accidentato, più subíto che voluto dai partiti, certamente subíto dai sindacati, oggi può andare a sbattere sul ddl concorrenza Draghi e sulle pressioni delle classi dirigenti locali dei grandi partiti. La federazione +Europa Azione sembra oggi l’unica organizzazione politica parlamentare non intenzionata a stravolgere il provvedimento confermando la sua vocazione liberale.

In Commissione Industria al Senato gli emendamenti presentati sono una valanga, così come i sub-emendamenti all’emendamento del Governo sulle concessioni balneari, naturalmente diretti a limitare il ricorso alle gare, all’ingresso di nuovi soggetti concorrenti e alle liberalizzazioni di settori dominati da corporazioni sempre generose nell’assicurare consensi.

Dallo statalismo strutturale e ideologico di FdI, alle contraddizioni leghiste tra le istanze di aperture dell’imprenditoria nordista e quelle di chiusura populista, dall’assenza di un impianto politico grillino sulle ceneri delle prime parole d’ordine, dalle incrostazioni ideologiche della vetusta sinistra, nulla di buono verrà per la linea Draghi sulla concorrenza.
Ma, in questo contesto prevedibile, il rischio che venga affondata la politica riformatrice in senso concorrenziale del Presidente del Consiglio viene in prima istanza dalle forze moderate e post ideologiche quali Forza Italia e Partito Democratico, sotto scacco degli interessi delle classi dirigenti locali e dei loro rapporti con corporazioni e sindacati.

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