Governo
Come uscire dalla crisi? E come uscirne (forse) meglio di come ci siamo entrati?
La necessaria, fondamentale premessa alla mia posizione nella difficile crisi che si è aperta lo scorso giovedì è che io, nel 2011, quando cioè andò in crisi il governo Berlusconi, ero favorevole ad un voto immediato. Lo scenario che ci trovammo di fronte allora, molto differente per certi versi da quello attuale, si presta tuttavia ad una comparazione con la situazione attuale. All’orizzonte, nel 2011, si profilavano le cosiddette “larghe intese”, che avrebbero inesorabilmente attratto il Partito Democratico verso destra, facendogli compiere (o forse subire) scelte che avrebbero alimentato la retorica dell’establishment contrapposto al popolo. E così è stato.
Oltretutto a destra avevamo un Berlusconi debolissimo, logorato, che perdeva pezzi. Sancirne la fine politica attraverso il voto popolare avrebbe finalmente evitato i suoi strali contro la magistratura da una parte e l’Europa dall’altra. Ci ricordiamo tutti, infatti, le lettere che dall’Europa arrivavano in quel periodo al Berlusconi poi costretto a dimettersi; lettere che alimentarono la teoria del complotto dell’eurocrazia contro il vecchio leone della destra italiana. Ecco, il voto popolare avrebbe spazzato via tutto ciò: se la destra avesse perso, Berlusconi non avrebbe potuto recriminare più alcunchè. Avesse vinto ancora (ipotesi poco probabile), avrebbe messo a tacere la burocrazia europea e avrebbe governato incontrastato. Tanto quanto Salvini oggi, ma con la rilevante differenza che nel 2011, per tanti motivi (Berlusconi, appunto, debole e logorato, un clima nel Paese molto meno rabbioso, intollerante, preoccupante, di quello odierno) non c’era un vero pericolo di deriva autoritaria all’orizzonte. Dunque, si poteva “rischiare il voto” molto più di quanto sia saggio rischiarlo oggi.
Questa lunghissima premessa per dire che non è vero che tutti quelli che sostengono ipotesi alternative al voto immediato nella situazione odierna hanno solo, come sempre, paura del voto. Io nel 2011 il voto lo auspicavo (eravamo, tra l’altro, quasi alla fine della legislatura). Fu scelta una strada diversa, forse si, per paura del voto….sappiamo com’è andata a finire. Male.
Oggi la situazione è praticamente agli antipodi: anzitutto Salvini è fortissimo e pericoloso; poi, tra le ipotesi in campo c’è quella di una possibile, anche se difficile, uscita progressista dalla crisi. E oltretutto siamo all’inizio della legislatura. Non è per paura o per opportunismo che viene chiesto di valutare altre ipotesi alternative al voto immediato. Si chiama Politica.
Ovviamente, un nuovo governo, alternativo all’attuale, all’interno di questa legislatura, non dovrebbe essere -e lo stanno sottolineando in molti- un accrocchio paludato (altrimenti detto “governo tecnico”), utile per fare la solita finanziaria che colpisce i soliti noti, magari qualche misura populista come il taglio dei parlamentari per poi tornare al voto. Sarebbe questa un’ipotesi sciagurata.
Al contrario, il nuovo governo dovrebbe rappresentare un momento catartico, rigenerante, coi 5 stelle che, tornando alle origini, alla ragione, comprensibile a sinistra, per cui sono nati, provano a ri-darsi un’anima, dopo la penosa esperienza del governo gialloverde; e il PD, dal canto suo, che coglie l’occasione per inaugurare finalmente la sua fase di partito socialista nel III millennio. Chi lo dice, del resto, che una manovra finanziaria debba necessariamente essere “lacrime e sangue” per i soliti noti? Si potrà ben fare anche in Italia una manovra “lacrime e sangue” distribuite in proporzione alla capacità contributiva fra tutti! Ad esempio, si potrà evitare l’aumento dell’IVA, cioè di una tassa indiretta, facendo pagare il conto proprio a chi può invece contribuire di più! E si potrà pensare di nazionalizzare la gestione di Autostrade come i 5 stelle dicono che avrebbero fatto nella cornice del governo ancora in carica alla ripresa autunnale!
Tra le questioni scottanti ci sarebbe il nodo del decreto INsicurezza bis, da cestinare senz’altro, una volta bonificate le paludi d’odio dentro cui si ritrova immerso il Paese. Non sfugge che una sua immediata abolizione sarebbe un’arma potente nelle mani della propaganda salviniana. Per il momento lo si potrebbe semplicemente rendere inoffensivo piazzando al Viminale del nuovo governo non un fascista ma un democratico, che possa sterilizzare, per quanto possibile, con l’azione amministrativa quelle norme infami.
Insomma, si tratterebbe di iniziare a ricostruire un Paese più giusto e solidale; a quel punto, vedi che il fascismo lo disinneschi.
Se al contrario si va a votare esattamente nel momento in cui Salvini chiede di andare a votare poi è molto molto probabile che…….vinca. Visto il clima che c’è in Italia e visto Salvini all’opera, la preoccupazione per la tenuta democratica, in questo caso, non è solo legittima ma, di più, doverosa.
Ovviamente, non sfugge neppure che i presupposti di quest’operazione, un’autentica operazione politica nel suo senso più nobile, sono difficili, difficilissimi. Ma provarci? Abbiamo qualcosa da perdere? Forse, rischiamo che se va male, quando ci ritroveremo a votare, per Salvini e i suoi sarà un successo ancora più pieno. Ma io preferisco ripresentarmi all’elettorato avendo tentato un’azione di governo dall’esito -ed è questo un punto importante- non scontato e che potrebbe sorprenderci, in positivo, a differenza di quello delle “larghe intese” del 2011 (che invece era scontatissimo), anzichè reduce da un anno e mezzo di totale assenza di opposizione, per quanto riguarda sinistra e PD, da una parte, e da un’esperienza di governo che più disastrosa non poteva essere immaginata, per i 5 stelle, dall’altra.
Oltretutto, la prospettiva di un’alternativa a questa destra sarebbe e sarà comunque, nel medio periodo, quella di un accordo tra PD e 5 stelle, con qualunque legge elettorale. E per pensare ad un rapporto, in termini di forza parlamentare, più favorevole di quello attuale, dobbiamo immaginare un Partito Democratico oltre il 30%, oppure dei 5 stelle che in pochi mesi vanno a riprendersi tutti i consensi persi in questo anno e poco più di disastroso governo. E’ più facile, a mio parere, immaginare che PD e 5 stelle si mettano finalmente a fare cose di sinistra.
In molti sostennero, inascoltati, che già un anno e mezzo fa doveva essere tentata la strada di un accordo tra Partito democratico, 5 stelle e LeU. Oggi le condizioni di quell’accordo sono più difficili e rischiose, senz’altro; eppure c’è anche, nel quadro attuale, qualche elemento che lascia ben sperare. Ad esempio, nel PD Renzi controlla ormai solo i gruppi parlamentari. Non è poco, ma sempre meglio di un anno e mezzo fa, quando era ancora il segretario del partito e, attraverso un accordo di governo coi 5 stelle, avrebbe potuto riprendere quota nonostante la storica batosta elettorale. I 5 stelle, dal canto loro, hanno ormai perso la larga parte del loro elettorato di destra. Quella che è stata la loro forza fino al 4 marzo 2018 (e cioè non avere una identità politica) oggi rischia di essere una grande debolezza: dopo aver perso gli elettori di destra, potrebbero perdere anche quelli di sinistra che gli rimangono se non si sbrigano a ripensarsi, riflettendo sull’esperienza governativa appena conclusasi.
Infine è auspicabile che la nuova maggioranza si allarghi a Liberi e Uguali, come poco sopra scritto. Anche per la formazione della sinistra italiana potrebbe trattarsi di un nuovo inizio: LeU potrebbe infatti (magari, chissà, passando anche attraverso un rinnovamento della leadership disastrosa che la ha diretta in questi anni) tornare a “veder palla” e potrebbe, nell’azione di governo, tornare a far sentire la propria voce schiettamente di sinistra (a differenza di quella del Partito democratico) ma senza quelle venature di populismo accattone che hanno caratterizzato i 5 stelle fino ad ora.
Dopo la necessaria premessa, infine, due necessarie postille.
La prima: è doloroso per un democratico ammettere che il voto popolare non sia la migliore delle soluzioni possibili. Credo sia la prima volta che mi capita di pensarla a questa maniera. Ma d’altro canto è un bene e segno di robustezza che una democrazia abbia gli strumenti per resistere ai desideri funesti di un avventuriero fascistoide che vuole utilizzare il voto popolare in modo solo strumentale. Una democrazia si fonda sulla sovranità popolare ma non si regge (bene) solo su quella. Si regge anche grazie alle istituzioni in cui quella sovranità trova espressione e sulle regole che governano quelle istituzioni. Gettare alle ortiche questa complessità e le possibilità che da tale complessità possono scaturire, significa rendere più povera una democrazia e dunque, in sostanza, più deboli i suoi cittadini.
La seconda postilla: in una repubblica parlamentare come la nostra, e per la nostra Costituzione, di fronte ad una crisi di governo la parola non passa al Ministro dell’interno ma al Presidente della Repubblica. E’ così che funziona ed è oggi una fortuna vera che sia così (#inMattarellawetrust). Lo sappiamo tutti che Mattarella resta in carica fino all’inizio del 2022. Eppure più di uno sembra dimenticarsi, tra l’altro, di quanto questa scadenza sia importante, in questi anni turbolenti, per la nostra democrazia.
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