Governo
Civati che esce dal Pd è un po’ come Del Piero che lascia la Juve…
Pippo Civati che lascia il Pd è un po’ come Alessandro Del Piero che la Juventus ha lasciato andare via senza fare alcuno sforzo per trattenerlo. Non tanto per il comune talento (Civati deve ancora dimostrare di essere un fuoriclasse della politica), ma per il fatto che entrambi, nonostante gli ambiti diversi, erano visti come una bandiera. La metafora calcistica serve a rendere l’idea di quanto è accaduto con la decisione del deputato di abbandonare il Partito democratico. Perché non si è trattato di un semplice parlamentare alla ricerca di un altro lido per convenienza.
Civati è a tutti gli effetti uno dei ‘padri fondatori’ del Pd, perché ne incarnava lo spirito più di Bersani, di D’Alema, di Fassino. E forse anche più di Veltroni, che è stato il primo segretario, nonché l’anima dei democratici. Inutile ricordare la Prima Leopolda, con l’illusione data a un’intera generazione di aver trovato due rappresentanti del desiderio di cambiamento. Indipendentemente dai rapporti personali e dalle divergenze politiche, Civati è, e resta (non a caso ha scritto ‘ciao’, non addio), un nativo democratico. Uguale a Renzi. Certo, di sicuro è stato meno bravo con i media e nella costruzione della rete di potere, ma da un punto di vista politico ha la medesima estrazione dell’ex sindaco di Firenze: sono entrambi figli dell’Ulivo, quindi con il Pd nel sangue.
Quale sarà il destino politico di Civati è tutto da vedere. Difficile dire in maniera oggettiva se abbia fatto bene o male. Le strade erano due e ben note: ingoiare tutti i rospi – del peso di almeno 30 kg l’uno – da qui alla fine del renzismo (che potrebbe durare anche un decennio), sperando di raccoglierne le spoglie, oppure ammettere che questo Pd, il Pd in cui Sandro Bondi si sentirebbe a proprio agio e in cui Denis Verdini potrebbe in entrare in qualche maniera, è un qualcosa di molto lontano dalla forza politica a ‘vocazione maggioritaria’ che proponeva Veltroni. E perciò un progetto da abbandonare, in quanto incompatibile con la speranza che aveva animato tanti elettori, nativi democratici esattamente come Renzi e Civati.
La bontà della mossa civatiana sarà quindi giudicata dalla storia. Ma quantomeno va riconosciuto un certo coraggio, e soprattutto va attribuito un merito: la fuoriuscita dal Pd del deputato lombardo ha reso la giusta dimensione di quanto è successo nelle ultime settimane. Una serie di eventi ‘forti, arrivati talmente veloci che quasi non ce ne siamo accorti. E forse vale la pena fare una carrellata: alla Camera è stata votata una riforma costituzionale con l’Aula semivuota; i componenti della commissione Affari costituzionali (tra cui gente come Bersani, non proprio peones) sono stati sostituiti per accelerare sul via libera all’Italicum; è stata posta la questione di fiducia sulla legge elettorale, approvata a colpi, anzi a fucilate, di maggioranza.
Ecco, la rottura di Civati sembra aver fatto comprendere – più delle dimissioni da capogruppo di Speranza – la gravità di certe forzature. Un effetto prodotto in maniera quasi inconsapevole, ma comunque importante. Oggi Renzi accoglie con indifferenza, se non con strisciante soddisfazione, l’uscita dal partito dell’ex compagno di rottamazione. Ma chissà che con il tempo non rimpiangerà questa sua sfrontatezza, così come in fondo la Juventus ha rimpianto la partenza della sua bandiera Alex Del Piero, nonostante le vittorie.
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