Governo

Ciuco che parla latino…

22 Agosto 2019

Sceccu chi parra latinu è signu di bona annata. Ciuco che parla in latino è un segno di buona annata. Così recita un noto proverbio siciliano.

Tutti adorano citare. Io stesso amo ricordare le parole e gli aforismi di Flaiano, per esempio. O di Achille Campanile, o di Oscar Wilde o di qualsiasi altro cervello che abbia realmente prodotto riflessioni e abbia fatto progredire il pensiero dell’uomo. Cito anche gli esempi negativi, va da sé, proprio in quanto tali perché vanno assolutamente ricordati anche quelli.

I nostri politici amano citare senza essere abbastanza informati su chi fossero state, eventualmente, quelle persone di cui hanno riportato fugaci pensieri.

Nella lunga requisitoria del presidente Conte verso il ministro dell’interno, che si potrebbe paragonare alla ciceroniana contro Catilina per la pazienza di tutti della quale l’ormai ex-ministro ha abusato, il presidente ha citato nientemeno che Federico II di Svevia, lo stupor mundi:

«Per quanto la nostra maestà sia libera da ogni legge, tuttavia essa non sta al di sopra del giudizio della ragione, madre del diritto». Questa frase sta nel trattato di arte venatoria scritta dallo stesso imperatore. E sicuramente Conte voleva sottolineare come i “pieni poteri” richiesti a gran voce dal Capitano, oltre a tutti i peti vocali che ha sganciato sugli immigrati, le famiglie arcobaleno e i deboli in generale, fossero proprio al di là del “giudizio della ragione”. Eppure anche Conte ha firmato certi decreti voluti dal ministro. Conte ha dimenticato di aggiungere alla sua colta citazione che l’unica “ragione” possibile era quella dell’Imperatore, che molti definiscono “illuminato”, mentre si sa che era un sovrano assoluto. Relativamente all’epoca in cui visse, la sua idea di come regnasse poteva apparire “progressista”, visto che fondò delle scuole, risolse la sesta crociata senza spargimenti di sangue, incrementò le arti nella sua corte, ebbe un occhio, diciamo “di riguardo” anche se era puro utilitarismo, verso i suoi sudditi ebrei e mussulmani (deportati, questi ultimi, tutti a Lucera, mentre i primi dovevano pagare una tassa in quanto ebrei e vestirsi con un abito distintivo per farsi riconoscere, per usarli e controllarli meglio), e così via. Certo, assai meglio di Luigi IX di Francia, che bruciava il talmud e li perseguitava, insieme a quei criminali di monaci domenicani che nell’Impero credevano di avere carta bianca. In quanto a ferocia e autorità, comunque, seppure più saggio dei suoi contemporanei, Federico II dimostrava di non essere secondo a nessuno. Tant’è che, ad esempio, faceva esperimenti scientifici sui suoi prigionieri o raggruppava tutti i poteri nella sua persona, non esisteva un parlamento democratico. Altro che sovrano “illuminato”.

Ma tant’è… questo è il livello di conoscenza di chi sta al potere oggi.

Di contro, l’ex-ministro dell’interno, per fare la ruota del pavone un’ultima volta davanti alle telecamere, si è prodigato anche lui in citazioni al di fuori della sua portata e preoccupandosi di riesumare, naturalmente fuori contesto, san Giovanni Paolo II, recitando: “La fiducia non si ottiene con le sole dichiarazioni o con la forza. La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti.”. In realtà la citazione completa sarebbe così: La fiducia non si acquista per mezzo della forza. Neppure si ottiene con le sole dichiarazioni. La fiducia bisogna meritarla con gesti e fatti concreti. Ma va bene lo stesso, non sottilizziamo con tutta ’sta filologia.

Fermiamoci a indagare però da quale pulpito viene la predica. Tutti sanno chi sia stato Giovanni Paolo II, uno dei papi più reazionari e restauratori, peraltro con un pontificato lunghissimo. Fu il papa delle sovvenzioni a Solidarnosc attraverso i soldi della mafia riciclati da Calvi, quello delle canonizzazioni a cascata, tra cui quella del fondatore dell’Opus Dei – altra oscena milizia che appoggiò la sua elezione a papa – Josemaría Escrivá de Balaguer, presbitero franchista fino al midollo, complice di una dittatura che ha estenuato la Spagna per decenni. Così come il pontificato di Wojtyla si caratterizzò per l’adesione e complicità in funzione anticomunista alle dittature sanguinarie del Sudamerica, e così via, non si finirebbe più. Citare “san” Giovanni Paolo II significa esaltare anche il suo pontificato e le innumerevoli nefandezze vaticane che sono avvenute in quel periodo, di cui eventualmente parleremo in altri articoli sebbene esista già un’ampia letteratura. Chissà se quel tapino, che faceva il suo discorso di difesa presentandosi in mondovisione come vittima, abilmente secondo lui ridicolmente secondo noi, colla testa reclinata verso destra, quasi fosse un crocifisso, ricordava tutte le schifezze commesse dal suo papa santo.

Ma, si sa, tanto la memoria degli elettori è minima per gli eventi recenti figuriamoci per le cose successe trenta o quaranta anni fa. Archeologia.

Ovviamente, siccome l’asino deve parlare latino, vuol citare pure Virgilio, ma s’inoltra in traduzioni avventate: Omnia vincit amor si traduce l’amore vince tutto, non l’amore vince sempre. Meno male che ha frequentato il liceo classico…

Colpo finale da maestro di tamarritudine, decisamente in funzione del suo becero e tamarro elettorato, l’ex termina la sua difesuccia brandendo e baciando il famoso rosario, ormai oggetto di culto e gadget salviniano, invocando l’efficacissima protezione della madonna per tutti gli italiani e l’Europa. Il resto del mondo no, sono brutti e neri e la madonna non deve occuparsene.

Meglio, a mio avviso, citare artisti e letterati piuttosto che sovrani assoluti, si impara di più. Evidentemente la macchina mediatica intorno all’ex-ministro preferisce volare basso. Ad ogni modo, grazie al proverbio siciliano, si preannuncia un’ottima annata senza di lui.

 

© agosto 2019 Massimo Crispi

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