Governo
Cinque Stelle, il movimento di lotta ora punta al governo
L’apertura all’esterno, la triangolazione con pezzi dell’establishment e la risalita nei sondaggi. Un tris perfetto per l’obiettivo di conquistare prima il Comune di Roma e poi tentare la scalata all’Italia. Dopo il terremoto delle elezioni del 2013, il Movimento 5 Stelle sta completando la fase di assestamento, caratterizzata dalla lieve flessione alle Europee del 2014 e dalla nuova crescita, culminata nei rilevamenti per il Campidoglio che vedono i pentastellati favoriti. Potrebbero essere già in testa al primo turno. Ma soprattutto possono sfruttare il ballottaggio, che è spesso risultato favorevole ai ‘grillini’, come testimoniano i casi di Parma e Livorno.
Per alcuni si tratta di una normalizzazione del M5S, per altri è una maturazione favorita dalla conoscenza della macchina istituzionale. Resta il fatto che la metamorfosi è in atto con un partito – sì, ora è possibile chiamarlo così – che ha meno Beppe Grillo e più Luigi Di Maio. Al di là dell’eterno dibattito sulla leadership, le proteste nelle manifestazioni hanno lasciato il posto all’organizzazione di convegni alla Camera dei deputati. «Non siamo più visti come i bimbiminchia che urlano in piazza», dice con brutalità una fonte interna al M5S nel tentativo di veicolare un profilo più istituzionale assunto nel tempo.
A Roma hanno proposte semplici: diminuzione gli appalti esterni nella gestione della raccolta dei rifiuti, tramite un’apposita centrale nella società Ama; la revisione del regolamento dei centri per gli anziani per liberarli dal giogo politico, attualmente sono controllati da organismi municipali. La spinta travalica i confini della Capitale. Per comprendere la portata del cambiamento, qualche settimana fa c’è stato un dibattito sui “Derivati finanziari: quale governance?”, organizzato dal deputato Daniele Pesco nella Sala della Regina di Montecitorio.
Non un bagno di folla ‘pop’ con gli slogan sparati a raffica, ma un pacato ragionamento sul funzionamento della finanza. Alla tavola rotonda hanno partecipato docenti come Marcello Minenna dell’Università Bocconi, Umberto Cherubini dell’Università di Bologna, Gustavo Piga dell’Università di Tor Vergata. Tra gli invitati figurava anche Cinthia Pinotti, magistrato della Corte dei Conti. Poi c’era Alfonso Scarano, presidente AssoTag (Associazione Italiana dei Periti e dei Consulenti Tecnici nominati dall’Autorità Giudiziaria) che si è molto avvicinato alla galassia del Movimento 5 Stelle. Non a caso Daniele Pesco ha voluto pubblicamente ringraziarlo. C’è anche chi come Elio Lannutti, ex senatore eletto con l’Idv e fondatore dell’associazione dei consumato Adusbef, spera nella «formazione di una nuova classe dirigente attraverso il Movimento 5 Stelle» per combattere il «sistema marcio».
Non c’è organicità tra mondo dell’accademia e movimento, perché non è più tempo di intellettuali organici. Ma c’è un cambio di passo verificabile dalla capacità di confronto con l’establishment per cercare una maggiore solidità nella proposta politica. I grillini si confrontano con i tecnici, gli esperti, nel tentativo di trovare soluzioni. Al vaglio c’è un “pacchetto per il Sud” che possa rappresentare una risposta alla mancata presentazione del masterplan annunciato dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E il piano a 5 Stelle, seguito in prima persona dal deputato Francesco Cariello, è allo studio con alcuni professori universitari proprio per non incorrere in improvvisazioni.
Il quadro delineato dai sondaggi è chiaro: piaccia o meno, l’unica alternativa al Pd può arrivare solo dal Movimento 5 Stelle. Certo, un’alternativa radicale. Stando all’orientamento di voto, non c’è più la ‘paura’ di affidarsi ai “grillini” che piacciono, perché “fanno cose concrete” – sostengono molti elettori – riferendosi pure alla tanto vituperata trazzera costruita in Sicilia. La proposta di modifica dell’Italicum presentata dal parlamentare del Pd, Giuseppe Lauricella, mira a cancellare il ballottaggio ed è stata subito giudicata una “clausola anti-Movimento”. Significa che la preoccupazione è concreta. Del resto alcuni risultati, al netto della propaganda, sono sotto gli occhi di tutti. Già dal 2014 Manlio Di Stefano, capogruppo alla Commissione Esteri del M5S alla Camera, aveva presentato una mozione per superare il Trattato di Dublino che regola la gestione dei migranti. Un tema finito all’ordine del giorno durante l’emergenza dei rifugiati che ha toccato l’Ue.
«Il 2 luglio 2014 abbiamo fatto approvare una nostra risoluzione all’assemblea plenaria dell’OSCE. Tutta la delegazione italiana ha votato a favore meno gli esponenti della Lega e questa posizione devono spiegarla. Abbiamo presentato proposte di legge per creare centri di identificazione gestiti dall’ONU nei luoghi di transito in Africa (come ad esempio il Niger) e snellire le procedure d’identificazione qui in Italia», ha ricordato la senatrice pentastellata Elena Fattori. All’epoca la revisione dell’accordo di Dublino sembrava una provocazione grillina, ora è una questione calda. Proprio in ambito internazionale c’è stato un lavoro di accreditamento con l’evento “il nuovo mondo con i Brics”, a cui hanno partecipato il professore della Sapienza, Luciano Vasapollo, insieme ai consiglieri politici delle Ambasciate di Cina, Brasile, Sudafrica. Ancora una volta un confronto ‘alto’, per addetti ai lavori. In questo contesto di dibattito sulle politiche estere, rientrano gli incontri con l’ex presidente brasiliano, Inacio Lula e il leader dell’Anp, Abu Mazen.
L’attività parlamentare del M5S è così una cartina di tornasole per comprendere quali possono essere le priorità politiche, che va oltre le campagne più mediatiche come il reddito di cittadinanza e di quelle sul pareggio di bilancio. «Tuttavia sul reddito di cittadinanza abbiamo acceso dei riflettori», rivendicano con orgoglio gli ambienti parlamentari vicini al Movimento. Tanto che anche la Caritas, nel suo rapporto sulle politiche contro la povertà, ha riconosciuto – testualmente – il “merito del Movimento 5 Stelle” di aver fatto «della lotta alla povertà, attraverso il reddito di cittadinanza, una propria bandiera». Tre le proposte di legge più interessanti, e meno note, illustrate in Parlamento spicca quella di Matteo Fantinati sull’esenzione dell’Irap per le microimprese, le aziende con meno di 10 dipendenti e un fatturato inferiore ai 2 milioni di euro. Il costo stimato è di 3,6 miliardi euro, reperibile con il taglio dei finanziamenti a pioggia alle imprese che non hanno dato il risultato sperato, sostiene il deputato. Non è un mistero, infatti, che l’universio delle piccole e medie imprese sia quella più cara al Movimento 5 Stelle.
Al fianco di questa strategia c’è il sostegno alle start-up. Sul tema è stato depositato a Montecitorio un disegno di legge di Ivan Della Valle. Il suo ragionamento parte da un dato: in Italia i ricercatori in ingresso sono il 3% contro il 16% che va all’estero. Il saldo negativo è del 13% con una penalizzazione per l’innovazione. La copertura economica del provvedimento, secondo i pentastellati, è a portata di mano nel Fondo per lo sviluppo e la coesione. E addirittura, i ‘grillini’, da sempre acerrimi nemici della banche, hanno trovato il plauso dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, sulla proposta dei certificati fiscali che prevede “la detrazione delle spese per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici mediante attribuzione di certificati di credito fiscale”, ha spiegato il deputato Mimmo Pisano, primo firmatario. In pratica un’agevolazione fiscale per chi riqualifica gli edifici, giudicata “per certi versi geniale” dalla Direzione norme e tributi dell’Abi. Sono solo alcuni esempi, che sintetizzano la visione generale che prende forma.
Meno utopia e più concretezza, sembra così essere lo spirito del Movimento 5 Stelle, grazie al confronto con docenti ed esperti. “È la piccola e piccolissima impresa a creare il numero maggiore di posti di lavoro. Le sole aziende fino a 10 dipendenti impiegano quasi la metà della forza lavoro in Italia. Stiamo parlando di circa il 95% delle attività”, ragionano negli ambienti che sostengono il Movimento 5 Stelle. Che sulle politiche del lavoro può trovare la sponda con i partiti a sinistra del Pd, esattamente come sul tema-ambiente. Così il M5S spaventa sempre meno gli elettori moderati, mentre mette sempre più paura al presidente del Consiglio, Matteo Renzi. A cominciare dalla corsa per il Campidoglio.
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