Governo
Il “distanziamento sociale” è compatibile con la nostra economia di mercato?
Le misure di quarantena sono ormai state sostituite nel mondo da quella che in Italia viene chiamata “Fase 2”, indicata nei paesi anglosassoni come “Lifting lockdown measures”, proprio per designare una fase in cui l’isolamento sociale lascia il posto a misure di distanziamento sociale.
Il termine “misure” rimanda a un sistema certo di definizione delle nuove regole che dovrebbero garantire il rispetto della distanza tra gli individui usciti dal lockdown, perché non si infettino a vicenda.
In realtà, vista la novità della materia – il distanziamento sociale – le cosiddette misure sono spesso in realtà un elenco di regolamenti così bizzarri e contorti da sembrare usciti da un dipinto di Escher.
Concetti attorcigliati, rebus matematici di cui forse non esiste la soluzione, quiz di intelligenza per chi volesse iscriversi al Mensa: applicare le misure di distanziamento sociale sarà innanzitutto difficile.
Ma soprattutto non tutti accetteranno di farlo, come succede negli Stati Uniti, dove la United ha recentemente imbarcato i passeggeri per un volo interno esattamente come si faceva prima dell’epidemia. I passeggeri erano seduti vicini sui sedili, muniti di una semplice mascherina, senza nessun distanziamento.
Il problema d’altronde si porrà presto anche in Italia, dopo il 18 maggio, quando potranno di nuovo riaprire bar, ristoranti, negozi e persino le spiagge, seguendo però la trama dei complicatissimi rebus scritti dai legislatori nostrani.
LA DISTANZA MINIMA DEGLI OMBRELLONI E I QUATTRO METRI DEI RISTORANTI
Per esempio, sul sito del Ministero della Salute leggiamo che: “Per garantire il corretto distanziamento sociale in spiaggia, la distanza minima consigliata tra le file degli ombrelloni è pari a cinque metri e quella tra gli ombrelloni della stessa fila a quattro metri e mezzo”.
Ma anche il sistema di accesso alla battigia dovrà essere ugualmente regolamentato: “La zona ombreggio andrà organizzata garantendo adeguati spazi per la battigia in modo da garantire agevole passaggio e distanziamento fra i bagnanti e i passanti e prevedendo percorsi/corridoi di transito differenziati per direzione e minimizzando gli incontri fra gli utenti”.
Nei ristoranti, la situazione sembra ugualmente complicata: lo spazio per ogni cliente non deve essere inferiore a quattro metri quadrati, il che implica una riduzione del potenziale afflusso nei ristoranti anche del 70%, come sostengono alcuni ristoratori.
Per i camerieri è poi d’obbligo indossare la mascherina chirurgica, come se il cliente che sta mangiando la pizza fosse disteso su un tavolo operatorio – a cuore aperto, mentre gli stanno cambiando la valvola aortica – e nessuno dovesse infettarlo durante la delicata operazione (quando in realtà sta solo mangiando la pizza).
L’iperproduziona normativa su come garantire il distanziamento sociale sta di fatto rendendo dubbia la possibilità per tutte le imprese – a cominciare da quelle della ristorazione – di raggiungere dei margini di guadagno ragionevoli che possano permettere loro di restare profittevoli, e quindi di continuare ad operare.
TRUMP CONTRO L’AMERICA
Il problema non è solo italiano, tant’è vero che negli Stati Uniti lo stesso Presidente Donald è sceso in campo per battersi contro le misure di distanziamento sociale prese dagli stati federali. Trump sa perfettamente che la sua rielezione sarebbe impossibile se l’economia degli Stati Uniti peggiorasse ulteriormente, fatto inevitabile se le misure di distanziamento sociale venissero applicate ovunque, a cominciare dalle compagnie aeree fino alle fabbriche, gli hotel, i ristoranti, eccetera.
Persino Elon Musk ha minacciato lo scorso 11 maggio di farsi arrestare, pur di riaprire lo stabilimento della Tesla di Alameda, in California. E dopo un sopralluogo delle autorità, sembra che gli sia stata l’autorizzazione a riaprire la fabbrica, purché vengano adottate delle non precisate misure di sicurezza, che sono certamente meno severe di quelle previste inizialmente. Tesla non ha dichiarato quali sono le misure in questione sulle quali è stato raggiunto un accordo, ma la fabbrica riaprirà la prossima settimana.
Ha vinto Elon Musk, insomma, contro le misure decise dalla contea di Alameda.
Ma cosa succederà in tutti gli altri paesi dove si porrà prestissimo il problema della compatibilità tra le misure prese in difesa della salute pubblica e il bisogno invece delle imprese di raggiungere dei margini di profitto compatibili con la loro sopravvivenza?
Il “GARANTISMO” SANITARIO SARÀ COMPATIBILE CON I COSTI ECONOMICI DEL DISTANZIAMENTO SOCIALE?
Quello di garantire la salute pubblica è senz’altro un compito attribuito a chi ha il ruolo di governare i paesi, e mai come durante questa epidemia i cittadini hanno chiesto che venissero applicate tutte le misure necessarie per proteggere la loro salute.
Ma la missione dei governi – proteggere i loro cittadini – entrerà presto in conflitto con la necessità di proteggere le economie nazionali, perché senza un robusto gettito fiscale che deriva solo da un’economia in salute, sarà impossibile sostenere la stessa sopravvivenza dei paesi sottoposti a misure rigorose di distanziamento sociale.
Sarà quindi compito dei governi stabilire delle misure di distanziamento che non siano solo basate su quiz e cruciverba, ma che prendano invece in considerazione la possibilità di screening più generali della popolazione, così da poter disporre di informazioni quantitative verificate, in base alle quali poi definire con precisioni quali misure adottare, declinandole a livello locale, in base ai dati epidemiologici raccolti.
Misure precauzionali molto severe come per esempio quelle relative a spiagge e ristoranti italiani potrebbero rivelarsi assolutamente sproporzionate dove il contagio si rilevasse più contenuto, mentre invece potrebbero essere non sufficienti se dovessero scoppiare altri focolai, come recentemente successo a Seoul, dove sono stati chiusi duemila fra bar e ristoranti nella zona della movida dov’è avvenuto un nuovo caso di contagio.
In Corea, i cittadini hanno il diritto di essere informati sull’andamento dei nuovi focolai, circoscritti addirittura al livello di zone precise delle città, così da consentire a chi si è trovato in quella zona al momento del contagio di potersi rivolgere alle autorità sanitarie per essere sottoposto al test sul virus.
Nel nostro paese, invece, i dati sui nuovi contagi non sono mai corredati da indicazioni geografiche precise, così che i cittadini sappiano se la specifica area geografica in cui vivono è effettivamente sottoposta a una nuova ondata di contagi.
In Italia, le misure sul distanziamento sociale sono definite a livello nazionale e poi declinate a livello locale dai governatori italiani, senza che al cittadino vengano date le sufficienti evidenze epidemiologiche per giustificare il loro operato.
Con il rischio che la nostra economia entri in uno stato di sofferenza dovuto anche a misure eccessivamente prudenziali e ingarbugliate nell’esposizione normativa.
E con l’unico risultato di far passare l’estate agli italiani chiusi dentro un box di plexiglas, in spiaggia, mentre risolvono un Sudoku sui metri di distanza che dovranno essere tenuti tra ombrelloni, bagnanti, bagnasciuga, paperelle e salvagenti.
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