Governo
Che vista lunga, Val (ditara)!
Come negare l’acutezza della vista (è una battuta…) del nostro ministro dell’istruzione, Giuseppe Valditara, incapace di vedere al di là del proprio naso? Le due grandi riforme della scuola varate dal suo ministero stanno facendo arrabbiare tutti: presidi, insegnanti, rappresentanti sindacali.
Non passa giorno infatti in cui i giornali specializzati sulla scuola, come “Orizzonte scuola”, non riportino la notizia che qualche consiglio d’istituto si è rifiutato di istituire i nuovi corsi sperimentali della filiera tecnico-professionale, la cosiddetta riforma Valditara, dove ormai tutti hanno capito che non ci guadagna nessuno.
Il nuovo indirizzo sperimentale, i cui decreti attuativi sono stati emanati prima dell’approvazione della legge, prevede infatti degli anni curricolari da cinque a quattro, a cui bisogna anche decurtare 400 ore di PCTO, la vecchia Alternanza Scuola Lavoro, da svolgersi gratuitamente negli ultimi tre anni di scuola. A questo va aggiunta la ciliegina sulla torta: qualcuno dei nuovi insegnanti non sarà un insegnante, ma un rappresentante del cosiddetto mondo industriale che insegnerà il ragazzo a usare il tornio o il saldatore.
Non ho fatto il conto di quante ore curricolari verrebbero perse se tutte le scuole tecniche e professionali italiane aderissero alla sperimentazione Valditara , ma il conto devono averlo fatto i rappresentanti sindacali dei docenti, che hanno capito come la riforma potrebbe diminuire nettamente il numero di personale docente impiegato nella scuola.
Qualcuno potrebbe obiettare: non si fanno le leggi per creare posti di lavoro nella scuola, ma per migliorare l’efficienza del sistema scolastico.
Il problema della riforma Valditara è che non è neanche così efficiente. Sfornerebbe solo studenti un po’ più ignoranti, perché hanno studiato meno anni e per meno ore, formati da docenti esterni, probabilmente operai specializzati che lavorano nelle fabbriche della zona, dove i ragazzi finirebbero dopo aver finito la scuola, se proprio non vogliono frequentare una ITS Academy, che li doterebbe di un diplomino neanche riconosciuto a livello europeo.
Ma anche ammettendo che la levata di scudi dei docenti contro la riforma Valditara dipenda dal fatto che diminuiscono le ore di insegnamento, e quindi le ore di fatturato dell’intera categoria, lo stesso motivo non spiega invece la seconda levata di scudi contro il cosiddetto liceo del made in Italy, che altro non è che un’operazione di rebranding del liceo economico sociale (LES).
Da un’analisi delle materie curricolari dei due indirizzi, quello economico sociale e il liceo del Made in Italy, non si rilevano infatti differenze apprezzabili. I presidi sarebbero quindi costretti ad aggiungere un nuovo indirizzo, uguale a quello vecchio che i ragazzi devono portare a termine, ma con un nuovo nome. I due corsi coabiterebbero nelle stesse scuole, anche se non sembra che il rebranding abbia avuto tutto questo appealing. Non ci sono file di genitori che chiedono notizie in segreteria sul nuovo fantastico liceo del Made in Italy al quale iscrivere i figli. In questo caso, non si può quindi parlare di rivendicazioni corporative da parte degli insegnanti, ma bisogna accettare la sincerità delle loro critiche: come facciamo a spiegare i ragazzi che l’indirizzo economico sociale adesso ha cambiato nome?
Sembra quindi che manchino anche degli esperti di comunicazione ad assistere il Ministro dell’Istruzione, perché nonostante l’acclamato desiderio di Valditara a cercare voti e consensi tra i docenti italiani (degli studenti e delle loro famiglie a Valditara gliene frega ben poco), l’operazione non ha funzionato lo stesso.
Concludiamo con un incoraggiante: “Provaci ancora Val (ditara)!”, ma l’ottimismo per le riforme della scuola promesse dalla destra, semmai vi fosse stato, ci ha ormai lasciati tutti
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