Governo
I centri per l’impiego al centro del dibattito: finalmente un dibattito serio
Alcuni giorni fa il Tg1 delle 13, nella prima notizia, mandava un passaggio del discorso del premier Conte alla Camera relativo ai “Centri per l’impiego” (Cpi). Andrebbe verificato sui verbali, ma non è certo che alcun premier repubblicano abbia mai pronunciato questa locuzione a Parlamento riunito in plenaria. Per chi tratta tali materie, abituato a vedersi sbadigliare in faccia al solo pronunciare l’acronimo, e’ già un passo avanti. Il tema e’ stato posto con decisione dal nuovo Governo, in particolare dal Ministro del lavoro e sviluppo economico, come perno di interventi quali il reddito di cittadinanza.
Oggi Dario Di Vico trattando l’argomento, sul Corsera, per contrastare i “pregiudizi” diffusi sulle Agenzie private per il lavoro (Apl), esprime pregiudizi verso i Cpi.
A parte che, innanzitutto, asserisce che le prime sono un “soggetto che “trasforma” la materia prima rappresentata dal giovane in cerca di occupazione”. Ora, nè i pedagogisti nè i più pragmatici economisti, da decenni avversari sul piano dell’approccio al tema (social-demand Vs manpower requirements) pare si siano mai spinti a utilizzare un simile frasario che, dato l’argomento, andrebbe per lo meno ripulito delle asprezze più palesi.
Detto questo, si costituisce una difesa e promozione degli interessi delle Apl contro quelli dei Cpi. Le prime, secondo un senso molto comune, paladine della efficienza nell’inserimento delle persone nel mercato del lavoro; i secondi, “sostanzialmente degli sportelli”, leggi: in natura inefficienti. Per giungere, come d’abitudine, alla Germania “dove il pubblico funziona a meraviglia e le Apl sono diffusissime”.
Il che è vero, quindi ispiriamoci al modello tedesco; Anpal, Ministero e operatori del settore, infatti, da anni si sgolano a segnalare come quel paese – insieme a tutti gli altri europei – destini al settore pubblico una quantità di risorse mostruosamente superiore all’Italia, che conta un diciassettesimo degli addetti ai servizi.
È evidente, quindi, che i corrispondenti tedeschi dei Cpi italiani funzionano perché là il pubblico ha investito nel pubblico e non ha stimolato la propria “surroga” da parte del privato. E ciò dimostra, pure, che Apl e Cpi possono svolgere funzioni differenti e per certi versi complementari, laddove il pubblico possa fare degnamente il suo mestiere.
Sia chiaro; nessuno potrebbe mai difendere i Cpi così come sono oggi, ridotti a sportelli certificatori per assenza di investimenti e funzioni adeguate. Ma utilizzarne il malfunzionamento, da deliberato sotto-sviluppo, per giustificare il disinvestimento del senso stesso del presidio pubblico, questo no.
Del resto, lo stesso articolo constata la realtà, ossia che le Apl si concentrano legittimamente sui segmenti più lucrativi, ossia su soggetti più facili da reinserire, e lasciano al destino – leggi pubblico, se esiste e funziona – il fondamentale compito di prender in carico i soggetti più deboli, fragili, esposti. Lo si ricordi, quando si discetta di performances degli operatori del settore, performances, tra l’altro, sulla base delle quali vengono poi allocate risorse (queste sì, pubbliche).
In ogni caso, a testimonianza che il problema non è la latitudine, ma il modello delle politiche attive del lavoro (e la quantità e qualità del personale addetto, che andrebbero incrementate attraverso adeguata formazione), senza andare nel nord Europa basterebbe osservare senza pregiudizi la Grande Milano, dove il primo operatore, per molti parametri, e’ pubblico e concorre (quando vi è da competere) e collabora (quando c è da cooperare), con le Apl private.
Non si sa bene per quale ideologia, quindi, mentre vi è chi dichiara di volere investire sul pubblico per rinforzarlo, e magari avvicinarlo alle performances tedesche, si afferma che “se il reddito di cittadinanza diventasse politica attiva del lavoro le Apl potrebbero tornare utili surrogando il ruolo pubblico”.
Sarebbero i privati, quindi, a dover valutare le condizioni di vita dei cittadini italiani, certificarle, predisporre percorsi di politiche attive ed erogare loro soldi pubblici?
In realtà, questa, potrebbe davvero diventare l’occasione in cui si ridefinisce il corretto perimetro tra privato e pubblico, spesso segnato a zig zag negli anni scorsi, restituendo a quest‘ultimo alcune funzioni essenziali per rendere ai cittadini servizi davvero efficienti, e universalistici.
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