Governo
C’è Calenda all’orizzonte
Sono giornate particolari nel centrosinistra. Chi orfano di Matteo Renzi, chi in attesa del prossimo segretario del Pd, ieri molti tra coloro che vogliono capire che aria tira da quelle parti in buon numero si sono ritrovati in zona Piazza Fiume a Roma a un evento organizzato da alcune associazioni europeiste – L’Italia Che Verrà, Koiné, Riformismo e Solidarietà ed Europei in Italia. Sono quelli che ancora credono nel Partito Democratico a trazione liberal-democratica. Il protagonista era Carlo Calenda.
Calenda nel suo intervento tante volte cita la mamma presente in prima fila e per più della metà del tempo parla del dibattito interno al centrosinistra. E poco altro. Ancora stizzito dal generale disinteresse da parte dei maggiorenti del Pd verso il suo “Fronte repubblicano”, la risolve dicendo che effettivamente quel nome non è piaciuto a nessuno, programma compreso. Neanche a sua madre, che gli aveva rimproverato di non aver parlato abbastanza del ruolo della donna nella sua visione di futuro. La mamma di Calenda domina la scena. Citata almeno 10 volte nei due interventi del figlio Carlo. Roba da cultori della psicoanalisi.
In 30 minuti circa di discorso, Calenda sta bene attento a non fare una proposta che sia una. Parla di quanto sono puzzoni quelli di Visegràd, di quanto é sgradevole il ministro truce con le sue felpe e divise delle forze dell’ordine e di quanto inetti siano quegli altri del Movimento 5 Stelle. Sopratutto il Ministro del lavoro e delle attività produttive. E di rimando, strepita su quanto lui come ministro abbia fatto faville e di come, visto che abbiamo di fronte un elettorato di analfabeti funzionali, dobbiamo regolarci di conseguenza. A questo elettorato la sinistra, quella cialtrona, ha promesso mari e monti per poi lasciarlo solo in pasto alla globalizzazione. Calenda poi si mette a dare lezione di comunicazione. Pizzica la Boschi, senza nominarla, citando coloro che insultano i “poveri”, ai quali non puoi imputargli di voler vivere “una vita in vacanza” in virtù del reddito di cittadinanza. Così come invita tutti i suoi sodali a parlare di temi complessi con parole semplici. A pensarci bene, ma per carità non ditelo a Calenda, è ciò che fa Salvini e i 5 stelle. Perché la semplificazione è, il più delle volte, mistificazione. E insomma, non se ne esce.
Calenda non esisterebbe se non esistessero Salvini e Di Maio. E questo è un limite grande. Il suo discorso é tutto un contrappunto al governo giallo-verde. Un continuo rimando all’agenda di governo sovranista-populista. Si chiama gioco di rimessa. Che poi nel gergo romano tennistico si definirebbe un “pallettaro”. Quel giocatore che trova sempre la maniera di ributtarla in campo, senza scendere mai a rete. Con l’aggiunta dello specchio riflesso, compreso il ritornello “faccia di serpente non mi hai fatto niente”. Calenda fa parte di quella schiera di neo-politici che ha trovato nei social la propria cifra stilistica. Si esalta nello scontro su twitter, senza tralasciare le dirette streaming Facebook. Illudendosi che la platea sia tutta lì.
Quelli bravi in sala dicono che va bene così. Perché non è adesso il momento di fare proposte. Adesso ci si accomoda e si crea il proprio spazio. Allargato per carità. Ai più pare una riedizione dell’Ulivo. Ad altri, una discesa in campo finalizzata a preparare l’elettorato a qualcos’altro. In un prossimo futuro. Magari tra un paio di anni, dopo l’ennesimo governo tecnico che ci salverà dalla Troika. Anche perché, tra una manciata di mesi e al netto del proclama di Calenda “puntiamo al 30%”, alle Europee saranno mazzate.
Calenda è convinto che si faccia opposizione con i tweet. Racconta che il tweet del quale va più fiero è quello contro la Play Station e quindi, non si sa come e perché, parte una filippica nei confronti dei 30-40enni che giocano alla Play Station. E viene facile pensare ai due Matteo – Renzi e Orfini consegnati alla piccola storia della cronaca politica da un’oramai celebre scatto (tweet pure quello) di Filippo Sensi – giocare alla Play Station in una sala del Nazareno, in attesa dei risultati elettorali delle regionali del 2015. E qui che le signore, le zie, le mamme – comprese le amiche di queste – applaudono. Calenda piace alle mamme dei Parioli, alle nonne di zona Prati, alle zie della Balduina. È pur sempre un inizio.
Qualcuno degli astanti, lasciando la sala, dice, “Certo Calenda, se viene un po’ aiutato, potrebbe funzionare. Certo, c’è da vedere se si lascia aiutare”. O anche, “Lui è molto bravo. Bravo è bravo. Risulta solo un po’ antipatico”. E questo al momento rischia di essere il suo cruccio. La sua condanna. O meglio, sarebbe tragico se Calenda dovesse profondere ogni suo sforzo per apparire simpatico. Rischiando di diventare una caricatura di leader. O, ben che vada, la brutta copia di Renzi. Perché poi Calenda – e in questo è ammirevole – non risparmia nessuno. Neanche quelli che sono venuti ad ascoltarlo. Tanto da rimbrottare il povero Marco Causi, docente universitario, ex assessore capitolino ed ex senatore Pd, reo di aver pronunciato nella stessa frase, durante il suo breve intervento lì all’auditorium di via Rieti, le parole “Élite” e “classe dirigente”. Questo per Calenda è imperdonabile.
Insomma, all’Auditorium di via Rieti a Roma non si è ancora scorto un orizzonte. Forse è impallato dall’ego di Calenda.
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