Governo
Le mani di Renzi sulla Cassa per finanziare la “svolta” coi risparmi postali
Una svolta di politica industriale, probabilmente la più radicale dai tempi delle grandi privatizzazioni, è stata decisa nel chiuso delle stanze di Palazzo Chigi e delle fondazioni bancarie, senza un briciolo di confronto parlamentare. Lo Stato tornerà a intervenire in modo rilevante nell’economia, a cominciare dagli investimenti infrastrutturali. Lo farà mobilitando le risorse della Cassa depositi e prestiti (Cdp), che è l’ente pubblico che emette libretti e buoni fruttiferi venduti dalle Poste ai piccoli risparmiatori, ed è controllato all’80% dal Tesoro e per la parte rimanente dalle fondazioni bancarie.
A sancire ufficialmente la svolta, dopo un lungo mercanteggiamento con le parti coinvolte, è arrivato nel pomeriggio di venerdì un comunicato del presidente del Consiglio Matteo Renzi. Il presidente della Cassa Franco Bassanini, si legge nella nota, «si è dichiarato disponibile a dare le dimissioni dalla presidenza, garantendo la continuità della rappresentanza istituzionale di Cdp fino alla elezione del nuovo presidente». In attesa di altri incarichi (probabilmente l’elezione a giudice costituzionale), Bassanini farà il consigliere speciale a Palazzo Chigi, occupandosi del piano della banca ultralarga. Come era nelle attese, «le fondazioni si sono a loro volta dichiarate disponibili a una designazione concordata del nuovo presidente di Cdp nella persona di Claudio Costamagna, manager di esperienza internazionale». Costamagna, che attualmente è presidente del gruppo di costruzioni Salini Impregilo, è noto soprattutto per essere stato a lungo un banchiere della Goldman Sachs.
Fin qui Renzi non ha ritenuto di fornire alcuna comunicazione alle Camere, e di dibattiti seri sul cambio di paradigma nel modello di sviluppo tarato sul ruolo dello Stato neanche l’ombra. Il teatrino negoziale è andato avanti per giorni, nell’assordante silenzio del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, notoriamente non un cuor di leone quando si tratta di tenere a freno le “pensate” di Renzi, e con l’attiva partecipazione di Giuseppe Guzzetti, 81 anni, presidente della Fondazione Cariplo e dell’Acri (la lobby delle fondazioni), che ha retto il gioco del governo in un’apparente resistenza alle mire di Renzi.
Il gioco delle parti è servito a compattare il consenso del fronte delle fondazioni, cui spetta l’indicazione del presidente. In cambio, è stata “strappata” la promessa ufficiale di una politica di dividendi invariata per il 2015 e, si dice, un consigliere in più nel cda della Cassa e l’alleggerimento della stretta fiscale varata l’anno scorso. In realtà, raccontavano già la scorsa settimana fonti vicine alle trattative, Guzzetti aveva dato il suo ok alla nomina di Costamagna prima ancora che partissero il tam tam sui media. E anzi lo storico presidente della Cariplo si è dato da fare per tagliare la strada alle ambizioni di Gaetano Micciché (ex capo della divisione corporate di Intesa Sanpaolo e attuale vicepresidente di Banca Imi), che aspirava ad assumere il ruolo di amministratore delegato della Cdp. Posizione questa in cui per ora resta Giovanni Gorno Tempini, che ha fin qui rifiutato le proposte di ricollocazione presso altre società pubbliche avanzate da Palazzo Chigi, e chiede una buona uscita come da contratto (circa 700mila euro). Una volta sciolti i nodi legali, nel ruolo di a.d. dovrebbe invece arrivare Fabio Gallia, che al momento guida la Bnl.
Di questi accordi, di quelli veri e di quelli ipotizzati, si vedrà nelle prossime settimane o mesi cosa è vero e cosa sono chiacchiere. Quello che però non si può aspettare di sapere, e i parlamentari dovrebbero occuparsene il più presto possibile, è che il governo faccia chiarezza sui progetti che ha per la Cassa. Il comunicato parla solo di “rafforzamento del ruolo”. «Il Governo non ha alcuna volontà o desiderio di cambiare la missione della Cassa depositi e prestiti – ha detto ieri a Radiocor Andrea Guerra, consigliere economico del premier – È ovvio che, vista la situazione dei tassi complessiva, è importante che la Cassa abbia un nuovo progetto, un nuovo programma […] in un orizzonte di lungo periodo». Rassicurazioni a parte, è evidente che non si sarebbe fatto tutto questo trambusto se all’orizzonte ci fosse stato solo un nuovo piano industriale, come se ne fanno quando cambiano i manager.
Il progetto, dunque, sembra quello di trasformare la Cassa Depositi e Prestiti in un “investitore sovrano” che punti a sviluppare le infrastrutture italiane. Si parla, per esempio, di un piano sulla banda larga, con immediate implicazioni sugli assetti di Telecom Italia, altri sono in preparazione. Perciò, è bene che si chiariscano subito obiettivi e limiti operativi, ricordando che la Cassa Depositi e Prestiti è più simile a una banca che a un fondo sovrano avendo a mala pena un patrimonio netto di 20 miliardi di euro, con un attivo di 350 miliardi finanziato principalmente con la raccolta postale (252 miliardi). Una raccolta protetta da garanzia dello Stato, ma al tempo stesso non è contabilizzata nel debito pubblico. Sulla scia di analoghe acrobazie contabili di Francia e Germania fin qui ammesse dalla Commissione Ue, infatti, la Cdp è stata posta fuori dal perimetro delle amministrazioni pubbliche: fino a quando terrà questa finzione? Ecco perché un compito cruciale di Costamagna sarà anche quello di saper dire dei no alle tentazioni da avventuriero del nostro premier. Se il piano è fare il “new deal” coi soldi dei piccoli risparmiatori, bisognerà tenere gli occhi ben aperti.
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