Governo
Renzi e i compromessi senza riforme con il ventre molle dell’Italia
Non amo Fabrizio Barca: il suo catoblepismo gettato lì con sprezzo del pericolo semantico durante un recente agone politico mi ha disilluso sulla sua capacità di poter governare sapendo parlare alle grandi platee. Ma la sua formula di «compromesso senza riforme» che campeggia in un suo testo del 1999 affiancato al termine capitalismo e che tuttavia si può e si deve applicare agli scenari della politica tout court ci spiega invece molte cose. Devo a Emanuele Felice e al suo bello e intenso libro (“Ascesa e declino”, Il Mulino, 2015) l’aver richiamato l’attenzione su questo elemento perché spiegherebbe a mio avviso anche la recente svolta politica di Renzi in questo momento.
Se guardiamo alla nostra recente storia, anche con la traccia del libro di Felice, si vedrà che almeno dalla fine degli anni ’70 si esaurisce la spinta riformista impressa al Paese a partire dalla fine degli anni ’50 (piano casa di Fanfani, riforma agraria, tentativo di riforma del regime dei suoli con Fiorentino Sullo, nazionalizzazione dell’ENEL, riforma della scuola media inferiore, ecc.) e si comincia a ”galleggiare”, ovvero a intraprendere una serie di compromessi senza riforme con le parti molli e morte della società italiana nel suo complesso, con la burocrazia, con la corruzione, con la spesa clientelare,con l’evasione fiscale, con le mafie, ecc.
Intendo dire che una volta preso il potere con la sua “formula politica” (vedi Gaetano Mosca) della rottamazione, ossia con la promessa di una radicale trasformazione della società e della politica italiane innescando anche i detonatori necessari per una vera discontinuità, l’elemento “doroteo” (l’epitome del «compromesso senza riforme») sta subentrato prepotentemente. Da qui gli accordi con componenti opache della politica italiana (Verdini) o le esche lanciate all’elettorato di destra con l’ultima legge di stabilità.
Non faccio mistero di aver appoggiato Renzi speranzoso della “promessa” iniziale, ma non faccio fatica a nascondere che sono molto perplesso su quest’ultimo scorcio della sua politica tesa più che altro a consolidare il proprio potere in vista di scenari futuri. Insomma, sempre per restare nello schema di Felice (nella parte finale del suo libro), mi sembra che Renzi si stia configurando più come Leviatano (l’imposizione dell’autorità dell’uomo solo al comando) piuttosto che come Principe, ovvero il politico accorto e lungimirante che governa con una classe dirigente leale e preparata.
Con un’avvertenza: so come nascono i bambini, so che la politica richiede questo esprit florentin come lo chiamano i francesi che nel nostro caso cade a pennello, e dichiaro fin da adesso che permanendo questo scenario di invotabilità dei suoi oppositori (i grillini, i salvini, i berlusconi) non avremo altra scelta che anche noi turarci il naso e rivotarlo, ahimè. Almeno finché il quadro politico non si chiarisca e appaia all’orizzonte un’alternativa credibile a cui contribuirei volentieri se solo riuscisse ad andare al di là del pensiero desiderabile e affondasse invece i piedi nel pragma.
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