Governo

Caro Di Maio, quando si occupa seriamente di politiche attive del lavoro?

11 Luglio 2018

Nelle rare interviste concesse dal Ministro Luigi di Maio,  il tema politiche attive del lavoro non è mai adeguatamente affrontato. Sicuramente il Ministro è oggi a capo di un Dicastero molto impegnativo, poiché ha accorpato quello dello Sviluppo economico, ma il “ramo” delle politiche attive è stato delegato dal Jobs Act ad Anpal, una sezione “distaccata” del Ministero che quindi risulta, pur mantenendone un controllo, alleggerito da questa importante attività.

Di Anpal, il Ministro però non fa mai alcuna menzione.

Dichiara di aver interloquito con il personale del Ministero ma non con i vertici dell’agenzia nazionale delle politiche attive. Ad oggi la situazione appare surreale: il Ministro non può perseverare nel suo “non dialogo” con Anpal, quasi che ne ignorasse l’esistenza.

Pecca di ingenuità Luigi di Maio quando dichiara di aver incontrato gli assessori regionali del lavoro per affrontare il pesante problema della modernizzazione dei centri per l’impiego. Dimentica che dopo il famigerato referendum del 5 dicembre, e risolte finalmente le problematiche connesse alle competenze delle province,  i servizi per l’impiego sono sotto la giurisdizione delle regioni. Il Ministro può parlare quanto vuole con gli assessori regionali ma l’unico dialogo possibile e fattibile non è a parole ma attraverso le convenzioni faticosamente raggiunte da Anpal e che vanno tutt’al più implementate.

La legge di stabilità 2018 ha finalmente assegnato risorse ai centri per l’impiego ma il buon uso delle stesse è affidato alle Regioni. Anpal interviene però in caso di inefficienze regionali e mantiene un ruolo di regia nazionale di un assetto che rimane a guida periferica. Nonostante l’esito referendario, Anpal è andata avanti senza che nessuna regione abbia posto un argine, pur potendolo farlo, alla nuova struttura ministeriale. E ciò grazie al suo Presidente che ha superato muri e ostilità molto spesso determinate da pregiudizi ideologici che spero il giovane Di Maio non porti con sé.

Se Di Maio bypassa o ignora questa regia va soltanto a mettere a repentaglio quello che è stato con grande fatica realizzato finora.

Se licenziare il Jobs act per lui è demolire il disegno predisposto dal d.lgs. 150, che ci consente di essere al pari delle altre nazioni virtuose nelle politiche attive del lavoro, lo dica apertamente. Altrimenti, segua il solco già segnato perché tornare indietro, immutato l’art.117 Cost., sarebbe davvero un errore.

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