Governo
Cari Migliori, abbiamo bisogno di politica (ora, non nel 2023)
Sancita la pax mattarelliana e passata la locura sanremese, si torna a guardare alle cose della politica, che restano invero piuttosto agitate e complesse. Per rimanere in clima olimpico, l’Italia è attesa in uno slalom speciale assai tecnico, dal cui esito si misureranno molti destini del prossimo futuro, individuali dei leader (e ci interessa il giusto) e collettivi del Paese.
La politica è, anche soprattutto, arte oratoria, confronto di idee attraverso le parole. Trovo estremamente significativo dell’incertezza del momento che le parole, i concetti, in definitiva il mood sia cambiato e continua a cambiare così drasticamente repentinamente, in modo tale da lasciare l’idea è che tutto sia profondamente e completamente passeggero, discutibile, in definitiva poco serio.
Mi veniva da riflettere su questo svilimento delle parole guardando al cambiamento di alcuni spin della politica riportato notarilmente dai media (e qui ci sarebbero da fare riflessioni che e meglio tacere).
La prima riflessione riguarda la situazione della pandemia. Siamo passati nel giro di nemmeno due settimane da una montante preoccupazione all’annuncio a tambur battente di riaperture, dismissione di mascherine, perfino la fine dello stato di emergenza. Sicuramente è frutto delle mie sinapsi anchilosate, ma mi è sembrato da modesto lettore di giornali che il tutto sia successo un po’ troppo rapidamente per non corroborare l’idea di una gestione retorica degli avvenimenti un po’ troppo pronunciata.
Se la pandemia corre, fortunatamente meno, sui sentieri imponderabili della replicazione del virus, su quelli ben più umani dell’economia ancora una volta è curioso registrare un altro repentino cambio di registro.
Era il 20 marzo del 2021 quando il Presidente del Consiglio Mario Draghi, avvezzo a utilizzare felici e lapidarie formule retoriche, disse che era l’anno in cui i soldi si davano i cittadini e non si chiedevano. Oggi nel 2022 di fronte all’aumento incontrollabile del prezzo dell’energia, parte più contundente di un generale aumento dei prezzi per il ritorno dell’inflazione, questo afflato a dare ha cominciato a scontrarsi con l’indicazione di non avere più spazio per fare scostamenti di bilancio.
Quello delle tasche di famiglie e imprese è il passaggio più stretto della discesa, sono i paletti sistemati più crudelmente: uscire da due anni nei quali in termini di finanza pubblica tutto è sembrato possibile e far rientrare un corpo sociale ed economico, il cui stato di salute non è ancora pienamente evidente, in una normalità per ora alterata, in cui c’è da avere un po’ paura ad aprire la bolletta del gas, la benzina costa più di due euro e tutto il resto è rincarato di conseguenza.
Nella conferenza stampa di ieri Mario Draghi ha annunciato a questo proposito importanti misure di sostegno alle famiglie e alle imprese in difficoltà per il caro energia, ma è certo che questo nuovo fronte segna un importante cambio di passo per la politica e per il Governo.
Se in qualche modo il contenimento della pandemia e la negoziazione del PNRR con l’Europa rappresentavano la fase della competenza e del prestigio al potere, la fase per cui c’era pochissimo spazio per la retorica, le parole, e tantissimo spazio per la tecnica, oggi serve maledettamente la politica, ossia la capacità di piegare e orientare la tecnica secondo direzioni attente ma non supine alla sensibilità e ai desideri del paese.
Ma il Governo è attrezzato per questo?
È una domanda lecita, soprattutto perché sarà necessario alla fine dello stato di emergenza e con il recupero di una normalità che significherà anche tornare a fare i conti in tutti i sensi che l’esecutivo si ponga seriamente, peraltro in un anno elettorale, l’obiettivo di sintonizzarsi con il paese, dialogare, capire, emendare tutte quelle scelte che stavano benissimo sulla carta, ma forse meno nella pratica.
Certamente la gestione della crisi energetica rappresenterà un banco di prova di questa capacità di compiere delle scelte anche cambiando direzione in risposta agli eventi imponderabili e alle domande del corpo sociale. Oltre al dato contingente, ma già estremamente rilevante, dell’aumento dei costi in bolletta, il tema dell’energia pone le prime questioni sui costi sociali della rivoluzione verde e della transizione ecologica. la cui implementazione ha costi che, sorpresa, non si scaricano solo sui profitti delle orrende multinazionali, ma anche sui singoli cittadini e imprese.
Lo ha detto recentemente Roberto Cingolani, l’unico parlante dei ministri tecnici che avrebbero dovuto sovrintendere all’upgrade tecnologico e ambientale del Paese e che oggi sembrano un po’ spiazzati dal ritorno della politica, più capicantiere usi a lavorar tacendo che, come dovrebbe essere, titolari di una funzione che impone il dialogo e il coinvolgimento come parte integrante del lavoro, non vana perdita di tempo. Secondo il titolare dell’Ambiente, la transizione a un nuovo capitalismo verde (rubo all’ottimo libro di Philippe Pelletier) rischia di creare tensioni sociali che vanno gestite. Dalla politica, il Ministro non lo dice ma lo diciamo noi, e forse anche lui sarebbe d’accordo.
La transizione ecologica rappresenta più del 30% dei 191 miliardi di euro del PNRR, il gigantesco programma di modernizzazione del Paese finanziato dall’Europa su cui il Governo ha scommesso ruolo e prestigio. Come hanno recentemente concordato due acerrimi avversari politici, il PNRR sconta anch’esso alcune rigidità e astrattezze “impolitiche”, che dovranno necessariamente essere corrette in corso d’opera. Il Piano immagina una discesa troppo verticale dai modelli di sviluppo europei all’ultimo comunello siciliano (o piemontese), sottovaluta vent’anni di dimagrimento delle pubbliche amministrazione e dei loro cervelli, confonde l’allocazione di risorse con la soluzione dei problemi. Ancora una volta, quello che stava molto bene sulla carta e faceva un figurone nei dossier alla Commissione, dovrà essere “sporcato” di realismo, in definitiva di politica.
La pax mattarelliana, il gigantesco spostamento della politica sull’altro lato del giaciglio per continuare a dormire ancora un po’, non è stata edificante come prova generale di un ritorno in campo della politica dopo la safety car dei tecnici, ma oggi un nuovo protagonismo è indifferibile. Anche perché, ci sarà certamente da parte di quel pezzo di Paese, qualche milione di cittadini, che ormai ha salpato le vele della diserzione permanente e che passerà con grande nonchalance dal no ai vaccini a qualche altra forma di insubordinazione, trovando orecchie accoglienti nella destra in costante ricerca di risse da rinfocolare.
Tocca muoversi, battere un colpo, ché le cose da fare sono tante e il tempo è poco. È un lavoraccio, e siamo felici di farne un altro, e pure di tirare i pomodori nel tempo libero se non ci piace lo spettacolo.
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