Governo
Campo Dall’Orto, da renzianissimo a indesiderato, mentre la Rai sprofonda
Cosa sta succedendo a Viale Mazzini? A un anno e mezzo dalla nomina del nuovo Consiglio di amministrazione, del direttore generale, Antonio Campo Dall’Orto, e della presidente, Monica Maggioni, la governance della Rai sembra completamente in crisi, incapace di assolvere alla sua mission che, all’inizio del mandato, non sarebbe dovuta essere la gestione dell’ordinaria amministrazione, ma segnare una svolta, un cambio di passo della tv di Stato, per renderla un’azienda moderna, efficiente, al passo con i tempi e con le nuove tecnologie. Motivo per il quale è stata messa in campo una riforma importante e complessa, che però aumenta i poteri del governo nell’azienda. Matteo Renzi, nell’agosto del 2015, aveva scelto un uomo di televisione, Campo Dall’Orto (con un passato a Mtv e a La7), che ha avuto e ha due enormi vantaggi rispetto ai suoi predecessori. Il primo è che la riforma della Rai, approvata poco prima la sua nomina, gli conferisce poteri da amministratore delegato, molto più ampi rispetto al passato, sia sulle scelte di prodotti che sui budget. La nuova figura del dg, infatti, ha potere quasi illimitato su tutto. Una prova? In Rai il regolamento interno vieta di assumere, anche a tempo determinato o come semplici collaboratori, persone che non abbiano avuto in precedenza contratti con la Rai. Ebbene, nonostante il divieto, nel 2016 sono state effettuate ben 244 “nuove utilizzazioni”, approvate direttamente da Campo Dall’Orto.
L’altro enorme vantaggio di cui gode è il canone Rai in bolletta elettrica, che ha quasi azzerato l’evasione. La novità ha portato nelle casse di Viale Mazzini circa 272 milioni di euro in più (il 16,6%), un tesoretto non da poco che però, almeno a leggere i dati, sembra essere stato speso più nell’ordinaria amministrazione che in investimenti per migliorare l’offerta televisiva e web.
Quello che s’imputa al dg, inoltre, dopo un anno e mezzo, è di non aver ancora messo mano alla patata bollente di Viale Mazzini, ovvero un piano per la riforma dell’informazione, a partire dai Tg, canale all news e web. Silurato il piano di Gubitosi, che prevedeva accorpamenti di testate e newsrooms, il dg aveva affidato la pratica a Carlo Verdelli, che aveva prodotto un piano complesso e dettagliato (tra le altre cose prevedeva lo spostamento del Tg2 a Milano) poi boicottato, a suo dire, da Cda e presidente. Tutto ciò ha portato, nel dicembre scorso, alle dimissioni di Verdelli, senza alcuna difesa da parte di Campo Dall’Orto, sulle cui spalle è poi arrivata la responsabilità di redigere un nuovo piano sull’informazione, che a tutt’oggi non ha ancora visto la luce.
Detto questo, i numeri che Campo Dall’Orto ha presentato nell’ultimo bilancio sono piuttosto positivi: la Rai cresce in ricavi, in fatturato e in ascolti. Rispetto alle perdite di 25,6 milioni del 2015, il 2016 si è chiuso con un utile di 18,1 milioni. I ricavi complessivi di Rai Spa registrano un più 292 milioni e 400 mila euro. Positivo anche il ricavato dalla pubblicità, che registra un avanzo di 39,4 milioni (più 6% rispetto al 2015). Anche gli ascolti vanno bene: la Rai conferma la leadership sull’intera giornata (36,7% di share) e sul prime time (38,6%). Non mancano, però, le ombre, come l’esplosione dei costi, specialmente quello del lavoro, e le troppe esternalizzazioni, con la scarsa valorizzazione delle risorse interne. Nel 2016 si registra un aumento dei costi per 271 milioni e 300 mila euro, di cui più quasi 40 milioni per il personale e 18 milioni e 900 mila per beni e servizi esterni.
Ma il momento difficile di Campo Dall’Orto è soprattutto politico. Se prima il dg poteva contare sull’appoggio incondizionato dei consiglieri di maggioranza (Guelfo Guelfi, Rita Borioni, Franco Siddi e Paolo Messa), ora non è più così. Sono proprio loro, con prese di posizione in Cda e interviste sui giornali, ad avergli consegnato un avviso di sfratto. Il dg, infatti, dentro il consiglio non può più contare sulla maggioranza che l’ha sostenuto finora e per i prossimi provvedimenti sarà costretto a procedere al buio, magari sperando in qualche voto dall’opposizione, specie da parte di Carlo Freccero, nominato in quota 5 Stelle, o magari da Giancarlo Mazzucca, nominato in quota Forza Italia. La guerra gliel’ha dichiarata Guelfi, longa manus di Renzi a Viale Mazzini. “Campo Dall’Orto non potrà più fare come gli pare, ma dovrà discutere con noi. Il nostro voto non sarà più scontato”, ha detto il consigliere. Parole che non sarebbero mai state pronunciate senza l’avallo di Renzi. Se poi ci mettiamo che il portavoce dell’ex premier, Michele Anzaldi, spara sul vertice di Viale Mazzini un giorno sì e l’altro pure, si capisce come il mandante di questo accerchiamento al direttore generale sia l’ex rottamatore. Su questa torta non manca poi qualche ciliegina che aggrava la situazione del dg. Ad esempio le osservazioni dell’Anac di Cantone su una cinquantina di assunzioni effettuare senza il metodo del job posting, quindi a chiamata diretta da parte del dg (come la nomina di Milena Gabanelli alla direzione di Rai24). Oppure le polemiche sul tetto degli stipendi a 240 mila euro l’anno, cifra superata diversi numeri uno di Viale Mazzini, tra cui giornalisti e uomini e donne di spettacolo. Tutti elementi che, col tempo, hanno contribuito a indebolire la figura del dg, stretto tra le pressioni del Cda, dei partiti e della commissione di Vigilanza.
Non v’è certezza sul perché Renzi abbia deciso di abbandonare il suo uomo a Viale Mazzini: c’è chi dice che l’ex premier avrebbe voluto una Rai più schierata in suo favore sui referendum; chi sostiene che Campo non avrebbe portato quel cambio di passo che Renzi si aspettava per la tv di Stato; chi dice che il dg si sarebbe ritagliato uno spazio di autonomia eccessivo dalla politica. Forse sono un po’ tutte queste cose insieme. Sta di fatto che Renzi sembra aver ritirato la delega a Campo Dall’Orto: non lo vuole più in Rai e gira voce che abbia già in mente il nome per sostituirlo. I nomi che circolano sono quelli di Nino Rizzo Nervo (ex direttore di Europa, molto vicino a Sergio Mattarella) e di Paolo Del Brocco (direttore di Rai Cinema). Il tutto giocando di sponda con la presidente Maggioni che, dopo aver stabilito un asse di breve durata col dg, sembra ora giocare una partita in proprio, abile a muoversi con diplomazia tra Cda, direttore generale e governo. Mentre Campo non può nemmeno cercare altre sponde negli altri partiti della maggioranza, visto che il primo a sparare pubblicamente su di lui è stato Angelino Alfano, inviperito dopo un servizio denigratorio di Nemo nel giorno della fondazione del suo nuovo partito, Alleanza popolare. Così negli ultimi tempi il dg si è dovuto accontentare della sponda grillina: l’M5S, forse temendo che dalla padella si passi alla brace, ha iniziato a sostenerlo con Roberto Fico, presidente della Vigilanza, e Carlo Freccero, consigliere di minoranza, che hanno costruito una rete di protezione intorno a lui. Ma senza l’appoggio di Renzi, e quindi senza maggioranza in Cda, per lui sarà complicato andare avanti.
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