Ambiente

Basta opportunismi su Taranto e il sud

8 Novembre 2019

La strada statale 7 io me la ricordo sempre di color ruggine nei pressi del quartiere Tamburi. A destra le montagne artificiali di carbone (che qualcuno si è divertito con un eufemismo a chiamare “parco minerario”) a sinistra il quartiere, hanno segnato la mia giovinezza.

Il tracciato della statale ripercorre l’antica via Appia. Era la strada che mi portava da Brindisi ai nonni paterni di Mottola o a quelli materni di Matera. Era la strada per andare alla casa al mare a Castellaneta. Anche da lì si vedeva la mostruosità dell’Ilva. Insomma è gran parte del mio paesaggio interiore e se ho intrapreso la cattiva strada ambientalista è forse anche per quello che porto dentro.

Tutti siamo segnati bene o male dal paesaggio interiore che introiettiamo nei primi anni di vita.

Sulla questione Ilva molti dovrebbero stare zitti. Perché se una sanatoria sui reati ambientali del passato è comprensibile, una sanatoria morale a imprenditori, sindacalisti e politici, io non la concedo. E non concedo la possibilità di aprire bocca a chi da migliaia di chilometri parla di interesse nazionale e di sistema paese o di vocazione territoriale.

La vocazione, soprattutto, è tale, se c’è una scelta. Taranto e il sud è stata tradita dalle politiche dei “poli di sviluppo” degli anni sessanta ma è una storia lunga da raccontare e spiegare.

Quindi meglio star zitti perché chi parla oggi di Taranto molto probabilmente appartiene ad una banda di ladri di futuro.

Dove il privato fallisce e lascia macerie, il privato deve pagare finanziariamente (tanto, e chi se ne frega se chiude bottega: la logica di mercato vale sempre, anche per gli imprenditori disonesti e incapaci), giudiziariamente e moralmente.

Marescotti (Peacelink) ha detto che il risarcimento Riva è nelle mani dello stato per il risanamento ambientale. Personalmente vedo solo una possibilità: si fermi l’impianto, si ambientalizzi, Cassa Depositi e Prestiti entri nel capitale della società e si venda la quota di maggioranza di un insediamento diventato un gioiello produttivo. Nella sfida e nel capitale potrebbero entrarci anche le società che bonificano a garanzia del lavoro svolto: una sorta di stock option ambientale.

Non ci vuole un genio economico ci va serietà e il tanto richiamato buonsenso civico. Come si farebbe comprando qualsiasi rudere di campagna da trasformare in resort a 5 stelle.

Questo è un primo passo per dare a Taranto – e all’intero Sud – quello che si merita, sanando altre ferite territoriali (Gela, Bagnoli, per citarne alcune) che gridano vendetta. Poi – anzi perché poi, subito – si diano ai tarantini tutte le possibilità che può volere un essere umano per realizzarsi nella sua terra o altrove. Ma iniziamo da chi rimane a Taranto dandogli scuole e ospedali, trasporti e bellezza.

Taranto è bellissima. E il cliché che l’Ilva è lì perché tanto i tarantini sono così deve finire. La retorica è che questi insediamenti si siano fatti laddove non c’era iniziativa o vocazione locale imprenditoriale. Forse bisognerebbe intendersi su cosa era l’imprenditoria ieri, e su come vorremmo il nostro futuro imprenditoriale come sistema paese.

Il sud non è solo assistenzialismo. La politica locale fa schifo come a Verona o a Torino e si fa corrompere. Per inciso, proprio oggi, Repubblica, riporta di interessi finanziari della Lega nella vicenda Arcelor Mittal e di un’assunzione da parte della società dell’ex portavoce del governatore Maroni.

Quindi anche loro stiano zitti. Perché è una mistificazione che la classe dirigente sia brava al nord e succube e corrotta al sud.

A Taranto le persone capaci ci sono. Taranto la cultura la respira da millenni. Il candidato alla eredità di Marchionne è cresciuto a Taranto, il numero uno di Conad è di Taranto. E ci sono almeno mezza dozzina di scrittori di spessore nazionale che provengono da quella terra.

Ed in ultimo, l’unico direttore generale di un’Arpa che abbia avuto il coraggio di denunciare un colosso internazionale, che ha trovato il metodo di indagine più intelligente con gli studi epidemiologici, che ha superato tentativi di estromissione e corruzione dei Riva è Il prof. Giorgio Assennato, ex direttore Arpa Puglia.

Se le altre Arpa avessero alla guida uomini di tale rigore intellettuale e morale oggi questo paese da nord a sud sarebbe migliore. Invece i più sono svenduti agli interessi di piccola bottega politica locale.

Quello che però oggi fallisce con Taranto è una visione riformista del Paese. Che l’ex ministra Lezzi abbia agitato gli ultras 5 stelle per proprio tornaconto e sfugga dalle sue responsabilità non mi meraviglia. Neanche gli intrallazzi dei leghisti possono meravigliare. Ma chi si è sempre candidato ad essere forza riformista e moderna di questo Paese non può rimanerne succube in un patto scellerato di governo. Sulla soluzione che si troverà peserà l’immagine che come paese daremo al mondo.

Taranto è una terra ancora feconda e la può inquinare solo la stupidità umana.

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