Governo

Barbero ha sbagliato a firmare l’appello, ma ha ragione

9 Settembre 2021

Da qualche giorno sta facendo molto discutere l’appello firmato da trecento accademici, tra cui Alessandro Barbero, contro il Green Pass all’università. L’opinione pubblica si è divisa tra chi plaude alla posizione – compagine abbastanza eterogenea perché comprende anche la maggior parte dei novax, che vi hanno letto una conferma dei loro pregiudizi sull’illiberalità delle attuali misure anti-Covid – e chi invece ha fortemente criticato l’appello, tacciandolo come irresponsabile e doppiamente ipocrita, in quanto accuserebbe di ipocrisia la classe politica nella tacita scommessa che l’obbligo vaccinale non vedrà mai la luce.

Chi scrive è convinto che Barbero, il più noto del gruppo, abbia sbagliato a firmare quella lettera, ma abbia assolutamente ragione sul principio.

Ha sbagliato perché quell’appello è sgangherato, scritto male, indegno (non moralmente, ma intellettualmente) di un professionista della parola e del pensiero quale il nostro professore. Basta leggere quelle righe per accorgersi che non fanno mai accenno diretto all’obbligo vaccinale, possibile soluzione per superare le discriminazioni del Green Pass. L’unico riferimento indiretto è il passaggio in cui si parla di mancata assunzione di responsabilità del legislatore, laddove introduce un obbligo surrettizio costringendo di fatto a vaccinarsi, scelta che rimane formalmente facoltativa. Troppo poco perché un appello firmato da trecento professori universitari non sia condiviso dal popolo novax o bohvax, in questo caso pure noGreenPass, che infatti ha subito arruolato Barbero sposando soprattutto quella parte del discorso – infondata e ridicola – che suggerisce paragoni con “altri precedenti storici che mai avremmo voluto ripercorrere”. Una sciocchezza.

E’ troppo poco lasciare ai singoli firmatari la facoltà di articolare meglio il proprio pensiero “off records”, come ha fatto Barbero spiegando inequivocabilmente in molteplici interviste di essere a favore dell’obbligo vaccinale generalizzato. Perché non lo avete scritto a chiare lettere nell’appello? Perché vi siete limitati a sottolineare l’ipocrisia del decisore, ribadendo in un successivo passaggio che “i docenti sottoscrittori di questo pubblico appello ritengono che si debba preservare la libertà di scelta di tutti”?

E’ chiaro a molti che questa posizione debba essere intesa a legislazione vigente, ovvero finché non venga stabilito per legge un obbligo. Ma questo poteva e doveva essere scritto meglio, in modo per nulla strumentalizzabile. Così non è stato fatto, purtroppo: da scrittori e letterati come Barbero ci si sarebbe attesi un uso delle parole inequivoco e inattaccabile. O forse questa era davvero l’unica sintesi possibile del pensiero di trecento persone, alcune delle quali, probabilmente, non sono affatto a favore dell’obbligo vaccinale. Ma allora, a maggior ragione, sarebbe stato meglio non sottoscrivere l’appello, caro professor Barbero.

Spiegato l’errore di fondo, veniamo alla ragione di principio. Il Green Pass a scuola, all’università e (aggiungiamo) sul lavoro rappresenta una limitazione forte di diritti fondamentali e costituzionalmente tutelati come quello all’istruzione. L’Università, anche etimologicamente, contiene in sé la caratteristica di essere universale, aperta a tutti, opposta a qualsiasi forma di esclusione o di discriminazione. Avere spiegato che il Green Pass nei luoghi dell’istruzione introduce cittadini di serie A e serie B è affermazione impossibile da contestare, se non accettando che il Green Pass sia l’unico strumento mai concepibile per tutelare la salute in quei luoghi.

Intendiamoci, il Green Pass non è la dittatura, ma è un compromesso pesante a livello sociale, divisivo, e a forte rischio di discriminazioni. Protegge (ma quanto?) dal contagio, però non è e non dovrebbe essere l’unica strada per conseguire questo obiettivo. Se c’è, finché c’è, deve essere contemperato in ragione dell’esistenza di altri diritti costituzionali che non sono quelli dell’andare al ristorante, ma di istruirsi e lavorare. Una differenza che molti non vedono, quando ironizzano sul perché Barbero & Co. parlino soltanto adesso.

Chi ribalta l’accusa di ipocrisia e di irresponsabilità sui sottoscrittori dell’appello, perché si oppongono all’unico strumento che oggi abbiamo a disposizione per combattere il Covid (scelta politica, non destino ineluttabile), sta negando il contributo del libero pensiero alla formazione delle decisioni pubbliche. E invece sono proprio gli appelli, le lettere aperte, le opinioni pubbliche (al plurale) a concorrere a formare e informare le scelte del decisore, possibilmente migliorandole. E’ la democrazia, semplicemente. Forse, secondo l’esercito dei delusi di Barbero, l’appello avrebbe dovuto essere “siamo a favore del Green Pass, ma preferiamo l’obbligo per tutti”. Ma, siamo seri, che appello sarebbe questo? Forse chi coltiva posizioni non binarie è tenuto a sincerarsi preventivamente dell’esistenza di una maggioranza in Parlamento? Essere a favore, perché non esiste alternativa, oppure tacere?

Il ruolo degli intellettuali, anche su questioni cruciali come questa – anzi, soprattutto in questi casi – comprende il diritto-dovere di esprimersi pubblicamente, con l’unica raccomandazione della chiarezza e non ambiguità delle posizioni tenute. Essere contro il Green Pass all’università, ma a favore dell’obbligo vaccinale, non è una contraddizione né un’ipocrisia, bensì l’umile suggerimento di una strada migliore, più trasparente, più efficace, che il governo, per propria discutibilissima scelta, (ancora) non intende praticare.

Per fortuna qualcuno ha ancora il coraggio di non uniformarsi a un pensiero unico sempre più strisciante, che si vanta della propria presunta responsabilità facendosi piacere strumenti che ci dividono ogni giorno, senza alcuna garanzia di conseguimento degli obiettivi prefissati né in termini di salute pubblica che di incentivo alla vaccinazione. Unico, fondamentale, appunto: scrivere meglio. Se non voi professori, chi?

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