Costume
Asilo Infantile Montecitorio
Si fa sempre più strada, osservando gli sviluppi della vicenda che chiude l’estate 2024, ossia il polverone sollevato dal governo per il caso Boccia Sangiuliano, l’idea che il desiderio di celebrità, degenerato in dipendenza dalla stessa, sia la tossicodipendenza più in voga nella politica del momento.
A dire il vero avevamo già vissuto questo desiderio di sovraesposizione più volte, in questi ultimi anni: gli innumerevoli e scalmanati selfie di Salvini, che sembra essersi un po’ calmato, anche se di certo la calma è apparente; oppure Renzi, pronto a essere prezzemolo in ogni minestra, esponendo sempre il renzipensiero, squisitamente fiorentino; ma, come per i due mattei, di esempi se ne contano a bizzeffe.
Di certo è una caratteristica dei nostri tempi, anche perché è unicamente grazie ai social e all’uso smodato che se ne fa che la fama può arrivare inaspettata da un momento all’altro.
– Che vuoi fare da grande, Pina?
– Voglio fare l’influencer, mamma.
– E perché?
– Perché l’influencer è amata da milioni di persone e si fa un sacco di soldi, vedi Chiara Ferragni?
– Sì, però alla Ferragni le hanno fatto un culo a capanna.
– Sì, è vero, ha sbagliato, ma i soldi le sono rimasti, e poi gli amici fedeli ti restano sempre vicino anche nei momenti difficili; ha sempre tanti follower.
– Ma che ne diresti di studiare all’università? Che facoltà ti piacerebbe?
– Perdere tempo? E perché, quando con un profilo tiktok e quattro video senza capo né coda si diventa famosi in un momento?
– Ma questa smania di fama da dove viene, Pina?
– Ma, scusa, mamma, dove vivi? È il futuro!
– Guarda che se si va troppo in alto poi è più facile cadere…
– Seh, questo lo diceva la bisnonna. Io a ste baggianate non ci credo, e poi ai tempi della bisnonna c’era solo il telefono duplex e il piccione viaggiatore, non lo smartphone.
Ecco, è proprio questo il quadretto in cui si è sviluppata la smaniosa ricerca della celebrità di questa destra ingorda.
Dopo essere stata per molto tempo abbastanza invisibile e, soprattutto, ininfluente a livello culturale, è stata rivitalizzata da Berlusconi, che, da commerciante scaltro qual era, ha capito che attraverso la pubblicità e le tette e i culi al vento, cose che piacciono tanto agli italiani repressi, pieni di desideri ma spesso irrealizzabili se non a pagamento, poteva comprarseli tutti, gli italiani, illudendoli che lo faceva per il bene dell’ “Italia, il paese che amo”, e ha fatto e disfatto alleanze con quello che c’era e soprattutto con chi c’era: Bossi e Fini. Per avere la maggioranza di governo. I loro eredi Salvini e Meloni, che all’epoca erano giovani virgulti, sono cresciuti prima nell’ombra dei grandi e, una volta seppellitili, poi sono esplosi contemporaneamente alla tecnologia, come adolescenti, supportati da “esperti” della comunicazione che hanno intravisto, come per Pina, il futuro del successo nella sovraesposizione via social. Così ha funzionato la Bestia di Salvini.
Giorgia, supportata forse da qualcuno leggermente più letterato, ha scritto (o un ghost writer, più probabilmente), invece, il best seller “Io sono Giorgia”, un po’ come Berlusconi e la sua “Una storia italiana”, ma forse in chiave più neorealista. E poi scrive sul suo quadernetto di appunti, che dev’essere pieno zeppo, alla fine della giornata. Forse scriverà a marrapanza, come si dice a Palermo per intendere fino alla nausea “Io sono Giorgia, io sono Giorgia, io sono Giorgia ecc.”, un po’ come Jack Nicholson in Shining, “All work and no play makes Jack a dull boy” ossia “Tanto lavoro senza divertimento rende Jack un ragazzo scialbo”. Il senso profetico del proverbio (e dei molti significati di “dull”) venne malamente tradotto in italiano: “Il mattino ha l’oro in bocca” che non c’entra una minchia fritta, ma anche “io sono Giorgia, io sono Giorgia, io sono Giorgia, ecc.” fa la sua porca figura, una certa considerazione del proprio ego.
E qui, però, oltre alla smania dei politici per essere uno più popolare dell’altro, in modo da raschiare più voti possibili, ognuno ha giocato le carte che aveva. Quello aveva le ruspe, gli immigrati ladri, terroristi e assassini, abbandonando i meridionali che puzzavano perché non gli conveniva, l’altra aveva voglia di venire fuori come la donna che aveva lottato da sola, giovane, in una famiglia di tutte donne, rilanciando la triade Diopatriaeffamiglia, che, se proprio avessimo dovuto farle le pulci, col modello della sua famiglia, anche questa non c’entra una minchia fritta.
Un po’ pochino, diremmo noi snob che siamo molto esigenti. Ma il mondo degli snob è circoscritto. È perennemente assediato dal mondo dei tasci (altrimenti detti tamarri).
Torniamo quindi a questo fervido desiderio di fama, dove queste persone si sono sentite i messia di un mondo nuovo (un po’ come Cetto Laqualunque), dove finalmente la “cultura” di destra può spazzare via la cultura della sinistra, senza rendersi conto che la cultura che ci portiamo dietro da secoli è cultura e basta. Ma siccome le persone che votano a destra sono convinte da ciò che dicono quei millantatori, perché magari colla cultura non hanno contatti ravvicinati da molto tempo e quindi non la sanno riconoscere, basta dire e far loro credere, come ha fatto l’ormai ex ministro Sangiuliano, che il padre Dante Alighieri ha inventato la Destra, ignorando quale fosse la forma mentis di un uomo del Medioevo e, soprattutto, il contesto sociopolitico ed economico, nonché artistico, in cui Dante viveva. Dante è il prodotto più importante perché è fortemente identitario, per un italiano, che è convinto che noi tutti parleremmo la lingua del divino poeta per eredità genetica (un po’ alla Vannacci, poraccio). Seh, magari!
Ma gli slogan fanno rumore e la gente ha voglia di crederci.
Questa patologia della dipendenza da celebrità, come si è visto in questi ultimi mesi, ha investito tutti e sembra proprio il sintomo di una serie di patologie più profonde, legate allo scatenamento di visibilità dopo le elezioni che hanno portato questi smandrappati al governo.
Così, messisi in ghingheri per la kermesse montecitoriale, hanno espresso il meglio di sé stessi giorno dopo giorno, vaneggiando spesso a sproposito su argomenti a loro stessi ignoti. O, forse, più esattamente avevano un’idea vaga di quegli argomenti e pensavano che fosse tutto lì, per cui si sono sentiti autorizzati dal ruolo ricoperto a tracimare dal vaso, inondando del loro piscio tutt’intorno.
La dipendenza da celebrità, che, oltre i politici, investe anche la Boccia, i Ferragnez, e tutti gli individui in cerca di una visibilità facile, ossia una mediocrità diffusa e veramente “comunista”, nel senso che investe e unifica tutti gli strati sociali verso il basso, è una seria patologia. E noi siamo in mano a persone che soffrono di questa patologia.
Sembra di vedere le giovani attrici arriviste, Anne Baxter, che vuol prendere il posto della matura e non più freschissima Bette Davis in Eva contro Eva. Ma quello è un film, appunto.
Beh, potreste obiettarmi che anche questo che viviamo quotidianamente in Italia sembra un film, probabilmente Checco Zalone ne farà un film prossimamente, magari con Valeria Marini. A me pare più di assistere a uno di quei fintissimi e spietati cinegiornali degli anni Cinquanta, un tuffo nel passato.
Forse, se la maggior parte delle persone rispondessero a tutti i messaggi e i video di questi influencer da corte dei miracoli con una pernacchia, o una serie di pernacchie, senz’altro aggiungere, forse, qualcosa potrebbe rientrare. Fatto in massa, farebbe senso.
Su, fatelo voi che avete facebook, instagram, X, eccetera, inviate pernacchie ai profili di tutta questa manica di scansafatiche esibizionisti. Io non posso farlo perché, essendo troppo snob per avere dei profili social, non posso spernacchiarli. È una soddisfazione che non avrò mai, a meno di non incontrarli di persona. Ma me ne guardo bene, ho cose più importanti da fare che perdere tempo a parlare con persone così mediocri.
D’altro canto, devo tenere alta la mia reputazione.
E, come ha detto Guadagnino a Venezia, “Cerchiamo di essere adulti”.
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