Governo
Apri la scuola… chiudi la scuola… Ma autonomia non è anarchia
Uno dei film culto della mia generazione è Karate Kid. In una scena diventata mitica Maestro Miyagi spiega a Daniel che il suo esercizio è “dai la cera, togli la cera”. Non gli spiega il perché (“ricorda patto: nessuna domanda”) e scopriremo solo dopo che è un movimento propedeutico ad alcune mosse del karate. Con la scuola in alcune regioni succede lo stesso: apri la scuola, chiudi la scuola, senza particolari spiegazioni. E temo che, a differenza di quello del Maestro, questo esercizio non migliorerà più di tanto le doti atletiche né degli studenti né del personale della scuola.
A scanso di equivoci, premetto che sono da sempre un convinto autonomista. Lo sono in generale, non solo sulla scuola, che è il mio ambito di competenza. Ero e resto favorevole, incredibile dictu visti i tempi, perfino al cosiddetto progetto di autonomia rafforzata. Sull’autonomia scolastica ho curato un libro assieme a Emanuele Contu per il Mulino in occasione dei suoi vent’anni, sull’autonomia rafforzata ho scritto per diverse testate (la cosa più completa – anche se datata – è questa, per Mondoperaio). Coerentemente con questo approccio, ho anche apprezzato la scelta del governo Conte di prevedere misure restrittive diverse a seconda dei diversi livelli di diffusione del virus; se proprio devo fare una critica è che il livello regionale non mi sembra funzioni: servirebbero misure per aree più omogenee (in un mondo ideale subregionali, ma anche interregionali).
Faccio questa premessa perché non voglio che quanto sto per scrivere possa essere confuso con una richiesta di omogeneizzazione delle misure che riguardano l’apertura e la chiusura delle scuole. Non ha senso secondo me una misura unica per tutto il paese. Ciò su cui è necessario intervenire è invece l’anarchia dei presidenti delle regioni e di alcuni sindaci. Ormai non fa più notizia, ma siamo al caos: regioni gialle come la Puglia che chiudono tutto, anche la scuola primaria (che lo Stato ha deciso di lasciare aperta anche nelle regioni rosse) oppure comuni che arbitrariamente chiudono singole scuole. Attenzione! Voglio essere chiaro: l’avverbio arbitrariamente non è messo a caso. Se un comune riscontra un numero alto di contagi in un quartiere, fa bene, sentita la ASL, a chiudere la scuola. Ma se il problema è l’impossibilità di aprire perché, ad esempio, manca personale statale (è successo anche questo), chi deve intervenire è il Ministero non di certo l’amministrazione comunale.
Non sono bastate le sentenze dei tribunali amministrativi, le mobilitazioni delle famiglie, la moral suasion o le proteste formali dei ministri che si sono succeduti a Viale Trastevere con i singoli presidenti e sindaci… Ormai ognuno fa quello che crede e nell’impazzimento generale pare normale. Questo genera confusione, effetti di emulazione (il tuo collega del comune accanto chiude, tu cosa aspetti a fare lo stesso?) e anche non pochi paradossi. Un esempio? Mi raccontava giorni fa una mamma disperata, che i suoi due figli piccoli vanno a scuola in comuni diversi e che uno è a scuola, ma l’altra no (eh già, signori della stampa e della politica: non tutti vivono in una grande città, come non tutti frequentano il liceo classico del centro).
Insomma: è il caos. Si dirà: hai voluto la bicicletta dell’autonomia, adesso pedala. Ma questa, mi si perdoni la franchezza, è una fesseria. Autonomia non significa anarchia, anzi. Le sentenze che hanno dichiarato illegittime le scelte ad esempio del Presidente facente funzioni della Calabria parlano chiaro: una regione può introdurre misure più restrittive di quelle decise dallo Stato solo se ha elementi ulteriori e successivi alla decisione presa dallo Stato. Varrebbe lo stesso se una regione decidesse di aprire i ristoranti la sera o il Teatro Comunale riprendesse la programmazione. Se domani il presidente della regione Vattelapesca chiudesse tutti gli ospedali, scoppierebbe la rivoluzione. Anzi, molto prima che questo possa accadere lo Stato manderebbe l’esercito a riaprirli. Con le scuole non accade, perché?
Sui vaccini sta succedendo lo stesso: in Campania il personale della scuola viene vaccinato tenendo conto di dove lavora, nel Lazio di dove risiede. Il risultato? Docenti e ATA che risiedono in Campania e lavorano nel Lazio non possono vaccinarsi né da una parte né dall’altra. Eppure basterebbe il buon senso. Se ho un incidente a Salerno e mi portano al pronto soccorso, a fine anno la regione Lazio rimborsa la prestazione alla regione Campania. Non si potrebbe fare la stessa cosa con i vaccini? Ogni mese chi li distribuisce tiene conto delle dosi effettivamente somministrate e i conti tornano a posto. Come si vede, i problemi non sono creati dalla regionalizzazione della sanità, ma dal fatto che lo Stato (o il commissario Arcuri: non ho ancora capito chi li deve distribuire ‘sti vaccini) ha rinunciato a svolgere il proprio ruolo.
Anche per le scuole servirebbe un po’ di buonsenso, chiarendo una volta per tutte che le decisioni sulla loro apertura o chiusura non sono derogabili. Non sto dicendo, anche qui voglio essere chiaro, che si deve tenere aperta la scuola a prescindere. Sto dicendo che si devono dare alle famiglie, agli studenti e al personale della scuola indicazioni chiare e uniformi per ciascuna area omogenea. Indicazioni comunicate con congruo anticipo e che – salvo vere emergenze – restano in vigore per un tempo altrettanto congruo.
All’inizio il caos era anche inevitabile, visto che si è intervenuti in emergenza. Ma adesso tollerare tutto questo nel nome del quieto vivere o di non so cosa non è più giustificabile.
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