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Altrimenti ci arrabbiamo. Dacci oggi la nostra rabbia quotidiana 3

29 Agosto 2019

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Altrimenti ci arrabbiamo. Dacci oggi la nostra rabbia quotidiana 2

 

Torniamo a come i governi potrebbero governare la rabbia diffusa. Beh, innanzitutto, se si volesse fare veramente qualcosa bisognerebbe scoprirne le ragioni. E auspicare un’indagine su tutto ciò che provoca queste rabbie distruttive e dannose, cercando di modificare le cause che poi inevitabilmente portano a un percorso rabbioso. Mica facile.

Sarebbe come chiedere a un idraulico di fare un piano di lavoro per l’orchestra sinfonica cittadina. Cioè, magari l’idraulico potrebbe stupire il mondo e fare un piano di lavoro perfetto perché in passato era un grande suonatore di corno e poi è rimasto disoccupato – cosa facilissima per un musicista, oggi – ripiegando su altre e più redditizie tubature, ma nessun idraulico che io conosca era professore d’orchestra. Individuare, studiare e preparare una reale ed efficace strategia presuppone, ad ogni modo, molta intelligenza, spirito d’osservazione, una capacità sintetica, una visione complessa della società, dell’economia, dell’umanità. Significherebbe cercare di capire innanzitutto come la rabbia si forma e il perché. Le ragioni che precedentemente abbiamo preso in fugace esame, ben lungi dall’aver approfondito, sono solo alcune tra le più evidenti ma ce ne sarebbero, eccome, di più subdole e profonde.

La madre di tutte le rabbie: L’Ira funesta del Pelide Achille, secondo il pittore Franz von Matsch

Le menti più candide dichiarerebbero che tra i vaccini, l’antirabbica sarebbe da potenziare, sono certo che elementi come l’ex-ministro dell’interno o l’ex del lavoro potrebbero dirlo. Ne hanno dette… come il mandato zero, per esempio, che è un mandato che non vale (ipse dixit). Figuriamoci cosa direbbero per i vaccini contro la rabbia.

Partiamo dalla ricerca della felicità. Cosa occorre oggi per essere felici? Se potessi avere mille lire al mese, era il ritornello di una nota canzoncina degli anni 30 del Novecento, canzone guida del film “Mille lire al mese” di Max Neufeld, che continuava: senza esagerare sarei certo di trovare tutta la felicità. Il sogno piccolo borghese consisteva in un modesto impiego, una casettina in periferia, una mogliettina semplice e carina, tale e quale come te. Facendo le dovute rivalutazioni con oggi le mille lire equivarrebbero a duemila euro, forse di più, in modo da potersi permettere dei piccoli agi e sentirsi così felici con quelle poche cose. I sogni della gente media non sembrano essere poi cambiati di tanto, a distanza di ottant’anni. Ciò che è cambiato, forse, è lo spirito di adattamento che un tempo era molto più coltivato da tutti mentre oggi si pretende solamente e anche in malo modo di poter fruire della felicità senza sapersela guadagnare, è dovuta e basta, e se non me la danno me la prendo colla forza e colla rabbia. Un po’ come se ci dovesse essere un giardino dell’Eden sempre a disposizione e spadroneggiarci dentro perché si ha quel diritto per volere divino, una bella amaca tra l’albero della sapienza e l’albero della vita, bastando allungare una mano per raccogliere frutti (quelli consentiti e forse anche quelli non) per spassarsela: se vuoi goder la vita vieni quaggiù in campagna, cantava Beniamino Gigli negli stessi anni dell’altra canzoncina. Un’altra maniera di vedere l’approccio alla felicità in alternativa alle Mille lire al mese e quasi una visione ecologista ante litteram.

Canzonette a parte, che comunque esprimono pur sempre visioni presenti nell’immaginario collettivo popolare, spontanee o imposte, usando la funesta funzione della rabbia in maniera piratesca, si riesce a galvanizzare le masse per ottenere consensi. Ugualmente si potrebbe indirizzare tutta questa energia rabbiosa per rendersi conto dei disastri già combinati dalle amministrazioni governative precedenti ed evitare l’errore perseverante. Ci hanno provato, forse non proprio nella giusta maniera, certi nuovi elementi figli delle stelle, quasi che fosse un movimento trip advisor, dove le stelle sono sinonimo di qualità del servizio, con supplementi de luxe, lasciati dagli utenti sulla rete per indirizzare i futuri clienti di quelle strutture. Siccome le stelle se le sono date da soli, la recensione ha tutta l’aria di essere un po’ farlocca, quasi per attirare coll’inganno nuovi utenti, i quali, però, una volta appurato che il servizio è tale e quale ad altri che hanno già dimostrato di essere al di sotto di standard accettabili, stanno cercando sulla rete altri punti di riferimento. Tanti auguri.

Per cercare di studiare la rabbia fin dalle sue radici profonde, dicevamo, bisogna armarsi di santa pazienza e avere il coraggio di scavare nel passato, insomma di sporcarsi le mani nel fango, perché è dal fango che tutto proviene secondo la nota favola. E poi, canta Antonella Ruggiero, può nascere una rosa anche dal fango, e se lo dice lei. L’insoddisfazione per il presente e una mancanza di visione per l’immediato e prossimo futuro è causa d’angoscia e quindi di rabbia per non poter dominare il tempo e piegarlo alla propria volontà, perché essere onnipotenti è essenzialmente ciò che vorremmo essere. C’è chi mostra di avvicinarsi all’onnipotenza, in effetti, e lo ostenta pure in maniera assai vistosa e anche un po’ cafonal, e spalma su instagram o altri social le immagini della sua felicità – o di ciò che la felicità sarebbe per lui – inviando il messaggio: se ci sono riuscito io potreste arrivarci anche voi. Che in fondo è la traslazione moderna delle canzonette anteguerra, certo, un po’ arricchite, è il caso di dirlo, di optional e accessori: la rabbia oltre che essere collegata alla paura ha notevoli legami anche coll’invidia. D’altro canto ira e invidia sono due delle sette sorelle capitali, che a volte riescono fatalmente a concentrarsi tutte in singoli individui, rendendoli perfidissimi e repellenti ma, altre volte, perfino affascinanti. Inizia così il percorso rabbioso nel miraggio di raggiungere una felicità fittizia, che sarebbe fatta di piscine, ozio, bibite ghiacciate, vacanze perpetue, donne e motori, viaggi verso non si sa dove, gioielli, case di sogno (sempre secondo i gusti dell’influencer di turno), e così via. Un milione (di euro) al mese, non più mille lire. La rabbia, mossa dall’invidia e che si unisce gradualmente anche alla superbia di sentirsi abile per raggiungere quel paradiso, si mette in cammino e non guarda in faccia nessuno. A poco a poco, le sorelle si ritrovano tutte insieme a fare un amabile girotondo. L’avarizia arriva subito dopo: se io ho conquistato attraverso il lavoro della rabbia questi miei spazi non vedo perché debba condividere qualcosa con chi non ce l’ha. E ci si chiude a riccio, concimando gli aculei e innalzandone di nuovi, puntandoli con maggiore rabbia verso i supposti usurpatori. La gola, la lussuria e l’accidia arrivano di conseguenza. Non avendo più occhi che per realizzare la propria “felicità”, si perde il contatto colla realtà e si pensa che il tempo vada utilizzato unicamente in compagnia di belle ragazze o bei ragazzi, rigorosamente più giovani, come se non ci fosse un domani, tra pranzi con piatti elaboratissimi (o anche semplici hamburger con foglia d’oro, a seconda dei gusti) e ozio totale, senza pensare che sarebbe bene programmare un minimo il futuro immediato. Naturalmente tutto da postare sui social per esibire: vedi, io ce l’ho fatta. Il quadro risulta completo. Ecco cos’ha smosso quella rabbia. L’invidia. D’altro canto fu l’invidia del successo di suo fratello presso il Principale a spingere Caino al passo estremo del fratricidio.

Ora, per evitare almeno una serie di fratricidi assolutamente evitabili, bisognerebbe fare il punto della situazione e mostrare una via un po’ più chiara verso gli eccessi del consumismo. Non come fa Greta, che francamente è depressiva, come dev’essere lei nelle sue monomanie dovute alla sua sindrome. Lei è la negazione di ogni cosa. No, semplicemente bisognerebbe mostrare come ci siano altre cose, forse più interessanti delle sette sorelle riunite a festeggiare bordo piscina e renderle accessibili a tutti. Per esempio capire che la ricchezza non è l’accumulazione del denaro o della proprietà, perché alla fine le ricchezze che abbiamo racimolato non ce le portiamo nella tomba. Anzi, spesso sono pure argomento di dissidi tra eredi e relazioni che sembravano pacifiche e amorevoli sono insidiate dalla rabbia in agguato. I parenti di Buoso Donati, presi solennemente in giro da Gianni Schicchi, ne sono la stigmatizzazione; e tutto si svolge a Firenze, città dove tutti sono assolutamente attaccati alla “roba”, altro che Mazzarò di Giovanni Verga. Città di Orianuccia nostra, giusto per ricordare, non solo quella di Michelangelo o Botticelli. Se si riuscisse a comprendere questo, e quindi con dei messaggi specifici ed educativi da parte dei governi, sarebbe un gran punto di partenza. Le cose “necessarie” per il grado di civilizzazione a cui siamo arrivati oggi senz’altro sì, come il diritto a poterci spostare, anche attraverso mezzi propri, a poter usufruire delle bellezze del territorio, dei capolavori dell’arte e della natura, a nutrirci in maniera sana, con ingredienti magari non inquinati, poter conoscere ciò che l’uomo ha costruito nei secoli, sia le cose edificanti che i suoi errori per non doverli ripetere, lasciare annegare nell’indifferenza tutte quelle dottrine generatrici di rabbia (e delle altre amabili sorelle), come le varie religioni che dicono di combattere questa sorellanza sempre in agguato mentre invece, al contrario, la nutrono. Sì, sarebbe un gran punto di partenza.

Capita invece che, nonostante si sia fatto un gran parlare di codeste cose, alla fine la politica si sia appiattita verso una continuità in cui tutti quei bei precetti e promesse evocati per avere i voti necessari alla propria installazione negli scranni del potere si siano volatilizzati. Continuano ad essere ventilati per non disilludere ancora i preziosissimi elettori ma nella realtà non c’è stata alcuna maniera, volutamente o no, di attuarli. Anzi, ciò che è stato fatto nel tempo ha acuito la rabbia, l’ha ingrassata per bene, ha creato nuovi focolai, sempre più difficili da spegnere perché gli incendi divorano enormi spazi non abitati dalla razionalità, la sola qualità che potrebbe spegnerli. Questi incendi sono assolutamente dolosi. Ci sarebbero delle pene previste per gli incendi dolosi ma, evidentemente, si impantanano nei labirinti della “giustizia”, mentre Dike, la dea greca della giustizia, resta chiusa a chiave in una cassapanca, rapita da qualche bandito disinformato e dimenticata in uno scantinato, perché il riscatto era inutile, non la vuole nessuno.

Qual è la soluzione, pertanto? Se non ci pensano i governi ad eliminare le cause della rabbia e delle sorelle terribili, chi ci può mai pensare? La nostra vita, poiché viviamo in società, è regolata da forme di governo varie, chi si affida a parlamenti eletti democraticamente, chi a monarchi, più o meno illuminati, che però non sono sempre proprio ciò che si intende per democrazia, anche perché se a Londra esiste tuttora la Camera dei Lords, la camera alta nominata dal re, significa che ’sti parassiti continuano a essere pagati dal popolo inglese, che poi si scalda tanto, e con rabbia, per la Brexit. Sia i pro che i contro, eh, la rabbia è ben distribuita. Se gli inglesi indirizzassero tutta quella rabbia per diventare un autentico stato democratico, senza più questi orpellosi medievalismi ridicoli di regine ed eredi scapestrati, aristocrazie da caccia alla volpe e abbigliamenti tamarri, e si rendessero conto dell’importanza dell’unione e della solidarietà, sarebbe un bel passo avanti e un esempio per entrare in una possibile Brentrance da parte del resto dell’Europa. Ma si sa, sono inglesi, che ti aspetti.

Né d’altro canto i burocrati brussellesi fanno qualcosa per cercare di ovattare la rabbia, tutti presi come sono da regole spesso inutili e contraddittorie, anzi accrescendola in molti casi, perché il contrasto degli interessi di molti paesi è vincolante. È chiaro che se ci sono paesi arcaici come la Polonia o la Romania o la Gran Bretagna o, ultimamente, l’Italia, e paesi disperatamente consumisti come la Germania, l’Olanda e la Francia, le regole siano di difficile gestione. E questo apre le condotte di fiumi di rabbia.

Come sia facile far nascere, crescere e incanalare la rabbia, soprattutto nelle generazioni che si affacciano al futuro lo illustra il romanzo fantapolitico The Wave (L’onda, 1981) di Todd Strasser (Morton Rhue), basato su un reale esperimento compiuto in una scuola statunitense nel 1969 e realizzato alla perfezione, con qualche libertà, nel film tedesco Die Welle di Dennis Gansel, nel 2008. Attualizzato nella Germania di oggi, vista come un’autentica polveriera, quasi prevedendo una nuova catastrofe sociale in agguato, nonostante gli anticorpi antinazisti insufflati in abbondanza nella rieducazione dopo la fine del secondo conflitto mondiale, il film mostra di come siano labili le menti degli adolescenti, vogliosi di creare la propria identità e di sentirsi onnipotenti, anche e soprattutto a scapito dei più deboli. L’esperimento ha un tale successo che sfugge di mano all’insegnante che voleva dimostrare agli allievi come fosse facile credere a falsi profeti. E finisce tragicamente, non c’è un lieto fine. Ovviamente è un film, per cui la narrazione si fa andare dove si vuole, si fa uso di stereotipi perché si è ritenuto necessario categorizzare persone e cose, ma si spera che possa comunque fare riflettere su come sia facile farsi sedurre dalla rabbia. Di certo, vedendo quanti giovani sono attratti dal neofascismo e dal neonazismo, con una rabbia devastante dentro e un’aggressività ancora più devastante, ci s’interroga se il romanzo e il film non stiano precorrendo i tempi vedendo un nuovo oscurantismo che avanza. Generalmente gli artisti e gli scrittori notano le cose prima che arrivino o mentre stanno avvenendo e senza filtri, pensiamo a Walter Benjamin o a Karl Kraus e alle loro visioni del doppio disastro europeo e mondiale che mostravano la loro vera essenza poco più di un secolo fa, ossia i trionfi assoluti di Lissa, entrambi ugualmente drammatici. Un avvertimento.

3 – Fine

© agosto 2019 Massimo Crispi

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