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Altrimenti ci arrabbiamo. Dacci oggi la nostra rabbia quotidiana 2
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Altrimenti ci arrabbiamo. Dacci oggi la nostra rabbia quotidiana 1
La narrazione di molteplici vite a cui assistiamo attraverso i media, sia essa letteratura, cinema, musica, televisione, social, ci mostra ogni giorno una quantità di rabbia che, se fosse indirizzata a un’ideale e ciclopica dinamo per produrre energia, sposterebbe l’intero sistema solare un po’ più in là, come farebbe Raffaella Carrà se per caso cadesse il mondo.
La politica, come dicevamo, fomenta spesso codesta rabbia, la nutre facendo intravedere pericoli, fantasmi, mostri, demonizzando ora questo ora quello per portare acqua al proprio mulino e macinarvi le fobie degli elettori. Abbiamo visto la rabbia danzare il suo sabba malefico più volte nella Storia, con arringhe di persone capaci di catalizzare l’attenzione su di sé e di convincere l’uditorio che genocidi programmati di persone innocenti, ma colpevoli di qualcosa nell’immaginario del dominatore di turno traslato in quello collettivo (e viceversa), erano necessari per eliminare il diavolo. Dalle streghe dei cristiani ai demoni da esorcizzare, dagli ebrei agli indios, agli armeni, ai tutsi, agli “infedeli” di una religione o di un’altra, da sterminare senza se e senza ma, agli omosessuali – visti da tutti come anormali e basta – ed eretici da bruciare in piazza (o nei forni crematori), alla demonizzazione di questo o di quello da entrambe le parti, creando ad hoc la formula di successo “scontro di civiltà”, e servendosi, spesso, dell’opera di intellettuali compiaciuti, coscienti o no della portata di una simile ideologia, la Storia è una costellazione di galassie di rabbie.
Perfino Oriana Fallaci, una delle più affette da questa emozione, ha intitolato una sua opera “La rabbia e l’orgoglio”, non rendendosi conto – o forse sì, visto l’opportunismo culturale e pecuniario che l’ha spesso contraddistinta e per cui, va ad ogni modo riconosciuto, ha rischiato anche la buccia – che la contaminata principale dalla rabbia era proprio lei e che, forse, la sua propagazione di rabbia era direttamente proporzionale al numero di edizioni della sua opera.
La rabbia è una sorta di virus che si evolve, come la vita, da piccole cellule che funzionano diversamente dalle altre e che si aggregano e formano organismi indipendenti e si moltiplicano. Spesso quelle cellule e quegli organismi, trovando un brodo di coltura fertile, fagocitano altre cellule e altri organismi che non conoscono la rabbia e, quindi, figurano, nella legge dell’evoluzione darwiniana, come deboli.
Ci si arrabbierebbe, quindi, per sopravvivere, direbbe Darwin.
Dev’essere ciò di cui sono convinti, per esempio, tutti quei seguaci di Casapound, Forza Nuova, Lega Nord, Fratelli d’Italia (chissà come s’inalbererebbe Orianuccia vedendo accostato a quella gente l’inno nazionale che, alla fine, pur detestandolo, le smuoveva qualche orgoglio patriottico nel profondo delle sue viscere) e sottospecie varie, che sono fermamente convinti che i rom accolti in un edificio di periferia, e pure con carte in regola per abitarvi, non abbiano diritto a starvi, solo perché i primi si sentono in diritto di arrabbiarsi percependo il proprio spazio vitale invaso dagli “stranieri”. Senza anche per un sol momento immaginare che quei rom possano essere cittadini italiani tanto quanto loro. Coloro sono convinti di essere nel giusto, anche se cerchi di spiegare, con argomenti razionali, che non è così e che la loro è una visione falsa, distorta da chi quella rabbia, tipica di chi si sente emarginato dal proprio paese, per i motivi più vari, la cavalca, la domina con redini e morso come fosse un cavallo selvatico che non riesce a domare se non mostrando a quella gente dei “colpevoli”. Colpevoli che hanno l’unica colpa di essere considerati “stranieri”, “vagabondi”, “zingari” o altro, solo perché a volte hanno la pelle di colore diverso, usi diversi, credenze diverse. Il mussulmano, l’ebreo o il cristiano, aderendo a una visione magica del mondo, sono superstiziosi ugualmente, va detto, non saprei chi più o chi meno. Ma per i cristiani nostrani che si vedono “invasi” da qualsiasi persona diversa, per pelle, per usi, per una supposta religione identificata colla provenienza geografica di quelle persone, la superstizione è quella altrui (e viceversa). Senza neanche lontanamente fantasticare che i rom possano essere cristiani come loro, ortodossi o cattolici. Per la quale ragione, alla fine, non esisterebbe neppure un pretesto religioso per odiarli e discriminarli.
Il pianto sconsolato e straziante di un giovane padre rom a Torre Maura, che al giornalista chiedeva perché i residenti ce l’avessero tanto con loro, da insultarli, strattonarli, sputar loro addosso, minacciarli di morte, coi bambini terrorizzati da questa violenza, senza che quel poveretto avesse loro fatto nulla, che risposte potrebbe avere? Unicamente l’ignoranza da parte degli altri.
Sebbene già presente nella mitologia greca nella figura di Lissa, il terribile demone della rabbia e del cieco furore istigato da Era che fece impazzire Eracle, il quale massacrò moglie e figli, la rabbia è una delle qualità delle divinità adorate nei nostri libri sacri. Sacri, ovviamente, solo per i seguaci delle varie religioni, soprattutto le tre monoteiste, il cui punto di riferimento originale è la Bibbia. Il Corano è un tardo derivato, anche se lì la rabbia sarebbe deprecabile, ma pochi lo mettono in pratica. Dio, Allah, Jaweh, sono magnanimi ma anche iracondi. Il Dies Irae, il giorno dell’ira di Dio sarà tremendo per tutti perché tutti saranno giudicati, non prima di veder distrutto il pianeta da ogni sorta di calamità, inventate dalla rabbia di un creatore – creatore creativo potrebbe essere anche chi ha creato i libri dell’Apocalisse, dopo aver fumato chissà che cosa – che si è sentito preso in giro dalle sue creature. Già la rabbia vendicativa di quel dio si vede nella cacciata dall’Eden, nel diluvio universale, nelle dieci piaghe d’Egitto, o nelle inutili torture psicologiche ad Abramo, da lassù giocando coi sentimenti più profondi che un padre può nutrire per l’amatissimo figlio. Suvvia, non si fa, è sleale. Però forse potrebbe essere interpretato come un esempio da seguire: se Dio si arrabbia perché io non posso, se sono fatto a sua immagine e somiglianza? La Bibbia è costellata di rabbie, furori, vendette, occhi per occhi e denti per denti, una fiction così violenta forse manco quelle televisive o certi videogiochi. Perfino Giuditta, che taglia nel sonno la testa a Oloferne, è vista come un’eroina. Très noir e ottimo soggetto per quadri femministi e oratori sacri barocchi. E la rabbia prende corpo nelle culture dove la Bibbia (come il Corano, d’altronde) viene diffusa, letta in pubblico, studiata e propagata come unico libro degno di “fede”. Di fede, precisamente. Gli altri libri si possono pure bruciare, ed ecco che la rabbia cancella le coscienze distruggendo ciò che quelle coscienze potrebbe formare, la lettura di libri in contrasto colla visione esclusiva delle sacre scritture. Ed ecco l’indice dei libri proibiti, secondo il cristianesimo, l’islam o il nazismo, è la solita storia, storia da bruciare. È, appunto, una questione di fede. La fede comprende pertanto anche la rabbia, la propria e quella del dio in questione, mica sono tutti fiorellini e cori angelici. Sarà per questo che i presidenti degli U.S.A. (e getta) usano bibbie proprie o altrui per giurare? Così sono pure autorizzati ad arrabbiarsi in varie forme e magari ricevere anche il Nobel per la pace. D’altro canto, ormai il Nobel lo si dà a cani e porci. Addirittura si vocifera che ci siano anche studentessine pseudombientaliste in fila per riceverlo. Una fascia che ricorderà l’ambito premio sarà apposta ai libri della suddetta studentessina, potete scommetterci, libri che andranno ancora più a ruba e chi non riuscirà ad accaparrarseli uscirà rabbiosamente dalla libreria.
Ovviamente la paura di cui parlavamo prima è il motore più promettente per una rabbia di prima scelta.
La paura è facile da stuzzicare da parte di chi ha il potere o da chi vuole accaparrarselo. Basta urlare malamente che tutto ciò che abbiamo, unicamente ciò che di bello possediamo, è in pericolo perché c’è chi ce lo vuole portare via che immediatamente si spalanca la porta del buio da cui esce la rabbia inferocita.
Tornando alla studentessina di cui sopra, è esattamente questo il metodo da lei, o chi per lei, utilizzato per far arrabbiare schiere di coetanei trovando uno scopo al di là degli schieramenti politici. Pia illusione demagogica: quale scopo più nobile e utile della salvaguardia del pianeta in cui viviamo?
La rabbia della piccola, cieca e sorda (la rabbia, non lei che ci vede e sente benissimo), scatena la paura dell’ignoto e dei cataclismi climatici e, rivangando le zolle che rimuove, dissotterra il senso di colpa per tutte le apocalissi che ci attendono, maledicendo le generazioni precedenti per aver causato il disastro da cui lei ci promette di uscire solo se si fa ciò che lei impone. Magari con una gita in gondola attraverso gli oceani per non inquinare, mangiando alcune cialtronate vegane e solo quelle, addio melanzane alla parmigiana e ossobuco alla milanese, addio cannoli siciliani e caciucco livornese. Perfino la dieta mediterranea è out, c’è il pecorino e la frittata. E lo rivendica con rabbia ed orgoglio, quasi fosse l’alter ego della Santanchè, perché se la gente non smetterà di mangiare carne – e ultimamente, secondo certi scienziati, pure il pesce – il pianeta si esaurirà. Senza manco avere coscienza di come cresca esponenzialmente la popolazione mondiale, soprattutto in certe parti del mondo. L’unica cosa che si esaurirà sarà la nostra pazienza, con un pericolosissimo incremento di rabbia verso la signorinella e i suoi discepoli: non si può continuare a sentire le turbominchiate che la poveretta proclama e che sono pure usate seriamente, o almeno così appare, da politici di tutto il mondo. Ecco, questo è proprio uno dei tanti modi per far nascere la rabbia in parecchie persone dotate cerebralmente, fino a ieri pacifiche. Lissa sta lì, sempre in agguato, ’sta manigolda.
Ma non divaghiamo con ’ste sciacquette che viaggiano in barche a vela principesche, pur senza comodità e con austero secchio per i bisogni corporali, disagi che apparentemente non turbano la ragazzina, che ogni venerdì espone i suoi cartelli scioperanti, diffusi in mondovisione dai social. Lo spettacolo mediatico è veramente superbo nel suo orrore, Kon Tiki – che batteva bandiera norvegese, pur sempre scandinava – diventa una barca superlusso chic, che naturalmente non può che partire dal Principato di Monaco via Plymouth per giungere a New York, New York, these vagabond shoes. Non è favolosamente orrendo, tutto ciò? D’altro canto lo raccomandava anche Mina Loy, poetessa futurista ultimamente riscoperta, della necessità di amare l’ “orrendo”.
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© agosto 2019 Massimo Crispi
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