Costume

Altrimenti ci arrabbiamo. Dacci oggi la nostra rabbia quotidiana 1

29 Agosto 2019

Tra i tanti punti programmatici dei governi che nascono, che tramontano, che si auspica possano manifestarsi, illuminati o no, manca sempre un punto fondamentale. A dire il vero ne mancano sempre tanti, altrettanto fondamentali; nessun governo riuscirà mai a soddisfare tutti, ma un punto è sempre lasciato fuori da qualsiasi schieramento. Ignorato. Quasi che il soggetto in questione avesse un ruolo assolutamente secondario, anzi non fosse nemmeno degno di essere vagliato, farebbe solo perdere tempo e non sarebbe utile.

È il controllo – l’autocontrollo sarebbe meglio dire, poi vedremo perché – della rabbia.

Questo turbamento ancestrale, sempre presente nella vita dell’uomo, qualunque sia la posizione sociale che occupa, in qualsiasi epoca abbia vissuto, è una delle emozioni che più rallentano lo sviluppo dell’umanità nella direzione della felicità che, ricordiamolo, è uno degli scopi da raggiungere nelle costituzioni moderne. Eppure non ci vorrebbe molto per mitigarlo.

Nella Dichiarazione d’indipendenza americana, scritta da Thomas Jefferson e datata il 4 luglio 1776, si legge che tutti gli uomini sono “…dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità”. La Dichiarazione e la successiva Costituzione della patria della felicità a tutti i costi e del suo perseguimento (non si capisce bene con che mezzi, visti i guai che continua a sparpagliare pel mondo la “maschia decisione” degli statunitensi) non indica precisamente come raggiungerla né stabilisce quali siano i canoni di codesta astratta felicità, né chi debba provarla, fabbricarla, diffonderla, misurarla. Nella Costituzione della Repubblica Italiana, un po’ più recente, il diritto alla felicità è contenuto in un non meno enigmatico concetto: il “pieno sviluppo della persona umana” che vuol dir tutto e niente, ma si sa, più si sta sulle generali meno si sbaglia, tutto si risolve nelle polimorfe interpretazioni di chi legge. L’edonismo – o ciò che viene spacciato per tale, fondendosi quest’ultimo così inteso in un abbraccio mortale col consumismo – diffuso e senza limiti fino all’autodistruzione delle società che si registra in questi ultimi decenni può essere davvero considerato il raggiungimento della felicità e il pieno sviluppo della persona umana?

La definizione di felicità impegnò già le antiche speculazioni tra filosofi greci e nel corso dei millenni si è andata arricchendo di nuovi concetti di beatitudini, atarassíe e felicità, scoperte o inventate dall’uomo durante la sua sempre più sofisticata, e a volte cervellotica, evoluzione.

Ma torniamo alla rabbia, che è strettamente connessa alla felicità e al pieno sviluppo eccetera.

La rabbia è un’emozione in contrasto pieno colla felicità e rallenta il lavoro, il quieto vivere, la tolleranza, la produttività. Quest’ultima cosa dovrebbe far riflettere parecchio chi regge le redini del governo: Costituzione a parte, se si è arrabbiati, proprio a causa dell’attenzione e concentrazione assolute che la rabbia reclama per sé, si produce di meno e male, non si prova soddisfazione in ciò che si fa, né si riesce a metterci dentro passione sufficiente per lasciar esprimere al meglio il proprio talento, le proprie tendenze, la propria indole, che è già una cosa rarissima. Quante persone oggi, infatti, conducono una vita felice o fanno realmente un lavoro che hanno scelto, assecondando il proprio talento e le proprie capacità? Gli effetti del buon governo si dovrebbero misurare anche attraverso la soluzione o, quanto meno, la presa in considerazione di questo problema. Aiuterebbe non poco.

Il fatto che oggi la rabbia sia più diffusa che in altre epoche – o almeno a noi così pare perché, rispetto a un passato neanche troppo lontano, la comunicazione si è evoluta a livelli impensabili solo cinquanta anni fa, mostrandoci in tempo reale le rabbie di tutti e dovunque, ritrovandocele a tutte le ore sugli schermi dei nostri televisori, telefoni, computer – dovrebbe essere un punto cruciale nell’elaborazione di una lista dei problemi primari da risolvere, per qualsivoglia governo.

Invece no, non viene mai considerata come problema da abbattere, anzi, al contrario, la rabbia viene usata dal potere, viene dirottata, governata, coccolata per istigare masse di arrabbiati contro degli avversari, e quasi sempre inventandosi dei nemici immaginari senza mai focalizzare qual è il vero nemico della gente ma anche il miglior alleato del dominatore: la paura. Anzi, la rabbia viene spesso esibita come valore aggiunto, soprattutto da certi politici che della rabbia hanno fatto la loro cifra distintiva, c’è solo l’imbarazzo della scelta, quasi fossero tutti contagiati dal furore dell’impazzito Orlando paladino, e forse bisognerebbe chiedere ai cinesi, novelli Astolfi, di rovistare sulla faccia nascosta della Luna tra le ampolle del loro senno. I cinesi, che invece sembrano non arrabbiarsi mai, sempre serafici ed enigmatici, aspettando seduti in riva al fiume il cadavere del nemico che passa sulle acque, come Confucio insegnava qualche anno fa. Dovremmo forse imparare da loro? Talvolta, però, i fiumi si essiccano o vengono deviati e l’attesa del cadavere del nemico potrebbe rivelarsi vana. C’è anche da mettere in conto che il soggetto in attesa potrebbe egli stesso divenire cadavere ancor prima che quello del suo nemico passi. Forse Confucio, tutto preso nella sua beatitudine e nelle sue certezze, di tanto in tanto andava in confucione e non pensava ad altre eventualità.

La rabbia d’Orlando divenuta pazzia. Incisione di Gustave Doré

La Paura. Paura e rabbia vanno di pari passo, s’incontrano più volte al giorno, si nutrono reciprocamente, e, quando vanno a letto, fecondano l’inconscio dormiente. Il mattino dopo il risultato della fecondazione notturna sarà, oltre a quello di aver guastato il sonno, di avere aumentato la tensione, di nutrire propositi ancora più rabbiosi, senza tuttavia conoscerne la ragione né indagarla.

Il dio della paura della Grecia antica, Fobos, figlio di Ares e Afrodite, quasi rinchiudendo in sé le caratteristiche dei genitori, ossia Guerra e Amore, faceva proprio questo, istigava la paura della guerra sui campi di battaglia a fianco del fratello Deimos, il terrore puro. Non a caso la paura di qualcosa viene detta fobia, da Fobos. E si prova quasi un piacere masochistico nelle proprie fobie, soprattutto quelle che unite alla rabbia appaiono ai soggetti patologici come affermazione del proprio sé e quindi giuste e degne di essere amate e condivise anche dagli altri. Tutte queste fobie vengono oggi fertilizzate da un’informazione che non fa nulla per mitigare entrambi i sentimenti, al contrario riaccende i tizzoni di questo incendio che sciupa e corrode anche il più piccolo residuo di razionalità. E non solo l’informazione infiamma le scintille, ma anche tutto il resto dello spettacolo e dei media diventa una cava di rabbia a getto continuo, dai talk show ai reality, dove qualcuno è sempre arrabbiato o arrabbiatissimo con qualcun altro, tanto da farlo cacciare da luoghi tipo case di fratelli maggiori o isole di gente famosa (?), nominandolo, o da svergognarlo pubblicamente, o insultarlo. A volte volano gli schiaffi e tutto degenera in rissa. Naturalmente ciò suscita rabbiose reazioni, che si autoalimentano nel giocondo e ingannevole carosello della rappresentazione. Questa rabbia da copione viene percepita come autentica dalla maggior parte dell’uditorio, che partecipa e fa il tifo per uno degli arrabbiati o per l’altro e, come la Calunnia rossiniana, s’introduce destramente nelle vite quotidiane di moltissima gente.

Lo vediamo ogni giorno, sempre di più, e questo tsunami mediatico sembra non avere un argine. Il fenomeno dell’odio informatico, recentissimo, dove a ogni commento di qualsiasi tipo deve corrispondere un like o un dislike nel migliore dei casi, quando non un attacco senza argomentazioni, con insulti, minacce, offese gratuiti, privi di qualsiasi valore che non sia una manifestazione di dissenso rabbioso e arbitrario, quasi che quello spazio virtuale fosse la valvola di scarico per sentirsi sollevati e poter dire: “ah, adesso che mi sono sfogato e gliele ho cantate sto meglio”, è una delle ultime conseguenze della “libertà” o del suo stravolgimento autoreferenziale che proviene dal web. E ci si sente liberi, quasi autorizzati a oltraggiare e minacciare, perché ciò è, secondo coloro, la libertà d’opinione. Senza curarsi delle conseguenze.

Nessun programma di governo, scioccamente, include una gestione di tutta questa energia devastatrice volgendola in fattiva. D’altro canto anche Antoine-Laurent de Lavoisier, nella seconda metà del Settecento, ci rassicura dall’alto che tutto si può trasformare, quindi anche la rabbia potrebbe diventare, opportunamente metamorfosata, qualcosa di creativo e utile piuttosto che demolitore.

La rabbia ha radici abissali. Nella società moderna i profondi bulbi della rabbia iniziano certamente il loro nefando progresso nella famiglia, il luogo dove tutte le emozioni si manifestano per la prima volta e dove maturano. Sia che la famiglia ci sia, come anche che non ci sia. E già. Se la famiglia è presente i valori che si trasmetteranno saranno quelli acquisiti nella storia di quella specifica famiglia e delle sue interazioni in una società. E potranno manifestarsi come valori positivi o avversi, abbastanza spesso disastrosi, visti i risultati evidenti della famiglia “tradizionale” così difesa da certi politicanti e beghini. Se invece la famiglia non c’è o è decimata, per i motivi più vari, come la morte accidentale dei genitori, oppure un divorzio, un abbandono, una guerra o altro, con difficoltà gestionali del momento di disorientamento che quegli eventi possono produrre nei giovani in crescita o dei sopravvissuti in generale, può svilupparsi una rabbia che ci si porta sempre dentro e che si manifesta come forza frenante nel viaggio personale verso la realizzazione della felicità. Si potrà superare o forse no, dipenderà da come ci si rapporterà coll’esterno e anche da quanto un buon governo si dia da fare per riparare almeno i danni manifesti, nel caso di catastrofi sociali, naturali o belliche. Naturalmente, non vogliatemene, questa casistica qui presentata è sintetizzata e incompleta perché le possibilità e le combinazioni, lavoisierianamente parlando, sono parecchie di più.

(1 – Continua a

Altrimenti ci arrabbiamo. Dacci oggi la nostra rabbia quotidiana 2

)

 

© agosto 2019 Massimo Crispi

0 Commenti

Devi fare login per commentare

Login

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.