Governo
Achtung! Non siamo beoti siamo italiani (1). Una riforma voluta dagli italiani?
Stamattina, 21 novembre 2016, a Radio 24 (ore 8.30) è intervenuto il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha confermato che, se vincerà il SI’ al referendum costituzionale, ci terremo questa riforma per 10-20 anni. Una riforma necessaria, ha detto, perché “il Paese deve cambiare e deve essere più agile”. Una riforma, ha continuato, che “eliminerà alcuni poteri concorrenti Stato/Regioni che sono scandalosi” specificando subito dopo, con la leggerezza di eloquio che lo contraddistingue quando vuol farci digerire pesanti verità, “questa riforma non toccherà le Regioni a statuto speciale perché il Parlamento ha scelto di mantenerle”. Traduzione ad uso degli italiani. Chi voterà SI’, voterà per fare applicare per una ventina d’anni una riforma che sarà applicata a 15 Regioni italiane su 20. Perché la Sicilia, la Sardegna, la Val d’Aosta, il Trentino Alto Adige ed il Friuli Venezia Giulia continueranno ad esercitare quei poteri di legislazione concorrente che sono garantiti dall’attuale Costituzione all’art. 117 e che, pure, Renzi ha definito “scandalosi”. Se gli italiani vogliono una riforma che vada a doppio binario e non sia uguale per tutti e dappertutto, votino pure SI’. Se non lo vogliono, votino NO. Votando NO resteranno, come oggi, le Regioni ordinarie (15) e le 5 Regioni a statuto speciale, ma tutte potranno esercitare il potere di legislazione concorrente previsto dalla vigente Costituzione. Votando NO, avremo ancora la possibilità di aprire una nuova fase costituente, condivisa però da tutti, maggioranza ed opposizioni, per poter cambiare insieme la Costituzione. Ma in meglio, non in peggio come questa che da molti viene chiamata deforma o addirittura schiforma costituzionale.
Qualche esempio di miglioramento? Ad esempio, come in Slovenia, che ha appena approvato un emendamento alla Costituzione con cui riconosce l’acqua pubblica come diritto fondamentale per tutti i cittadini. In questo modo l’accesso all’acqua potabile sarà garantito al di fuori delle logiche di mercato e della privatizzazione, e non potrà essere considerata una merce perché l’unico gestore sarà lo Stato. Oppure inserendo in Costituzione l’obbligatorietà del voto, come in Belgio, Grecia e Lussemburgo, per evitare che, a causa del fenomeno crescente dell’astensionismo, vada al governo una minoranza ridicola (anche del 15%) che si trasforma in maggioranza “che decide” grazie all’abnorme premio di maggioranza previsto dall’Italicum: 340 seggi su 630. Più della “maggioranza assoluta” (il 50%+1, ovvero 316 deputati su 630 alla Camera) necessaria in molti casi previsti dalla Costituzione sia vigente (viene calcolata sulla somma dei parlamentari di Camera e Senato: ovvero 474) che riformata (viene calcolata sui soli deputati alla Camera: ovvero 316).
Il quesito referendario. Come suo solito, anche stamani, Renzi ha strabordato. Perché in trasmissione ha detto che il 4 dicembre gli italiani voteranno al referendum sulla domanda specifica “volete che tornino allo Stato i poteri concorrenti delle Regioni o volete continuare così?”. Achtung! Questa domanda NON c’è. Il quesito referendario recita, infatti: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione” approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?”.
Un quesito ingannevole. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana è stato scritto un testo letterario, accattivante e menzognero, per conquistarsi i SI’, e non si sono elencati, come di prassi, e per imparzialità e rispetto delle autonome scelte dei cittadini, gli articoli che saranno modificati: 47 su 139. Praticamente un terzo della nostra Costituzione. Solo per il metodo usato la gente dovrebbe sostenere il NO. Ma noi vogliamo dare alle persone gli strumenti per capire che votare NO sarà l’unico modo per difendere i nostri diritti: i diritti di tutte e tutti. Non è vero come sostiene Renzi che questa riforma renderà l’Italia “più forte, più efficiente, più stabile, più semplice”. Se passerà, questa riforma trasformerà tout court l’Italia in un paese meno democratico, darà più potere di decisione e di controllo al governo ovvero al presidente del consiglio, limiterà fortemente le autonomie locali e, soprattutto, limiterà pesantemente il diritto dei cittadini alla partecipazione alla vita politica ovvero a “contare” per fare sentire la propria voce e difendere in primis il proprio diritto al lavoro, alla sanità ed alla scuola pubblica.
La JP Morgan ringrazia! D’altra parte, è noto che questa riforma costituzionale non l’hanno certo voluta gli italiani, come racconta Renzi, ma la potente lobby finanziaria internazionale ed in particolare la JP Morgan, la banca statunitense pluricondannata per truffe, che nel 2013, in un suo documento di analisi economica (http://www.europe-solidarity.eu/documents/ES1_euro-area-adjustment.pdf), a pag. 12-13, caldeggiava i paesi europei periferici, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia, a modificare la propria Costituzione. In particolare l’Italia: Il banco di prova sarà l’Italia dove i prossimi governi dovranno dimostrare di sapere avviare riforme politiche significative. Vale la pena rinfrescare la memoria su cosa ha scritto la J.P. Morgan. “All’inizio della crisi, era opinione diffusa che i problemi fossero solo di natura economica. Ma con l’evolvere della situazione è divenuto chiaro che ci sono anche profondi problemi politici, soprattutto nei paesi europei di periferia. Problemi che a nostro avviso debbono essere risolti se l’unione monetaria vuole funzionare correttamente nel lungo periodo. I sistemi politici in vigore nei paesi europei periferici (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia) sono stati strutturati all’insegna delle esperienze vissute sotto le dittature. Perciò le loro costituzioni hanno una forte impronta socialista derivante dalla forza che i partiti di sinistra avevano subito dopo la caduta dei regimi fascisti. Ne deriva che i sistemi politici in vigore in questi paesi sono caratterizzati da governi nazionali deboli, governi centrali incapaci di farsi valere nei confronti di quelli locali, diritti dei lavoratori garantiti per via costituzionale, sistemi di consenso che alimentano il clientelismo politico e per finire il diritto di protestare se sono apportati cambiamenti non graditi all’assetto esistente. La crisi ha messo in evidenza tutti i limiti di questo quadro politico. Lo dimostra il fatto che i governi nazionali dei paesi europei della periferia sono stati solo parzialmente capaci di introdurre le riforme fiscali ed economiche necessarie al consolidamento economico, perché contrastati dalle amministrazioni regionali e locali. Ma il cambiamento sta cominciando ad avere il sopravvento. La Spagna ha preso provvedimenti per affrontare alcune contraddizioni del periodo post-franchista, cominciando ad introdurre una legislazione che permette al governo centrale di avere maggiore controllo sulla gestione fiscale e di bilancio delle strutture regionali. Ma fuori dalla Spagna, fino ad ora è successo ben poco. Il banco di prova sarà l’Italia dove i prossimi governi dovranno dimostrare di sapere avviare riforme politiche significative.”
C’è voluto Renzi per attuare i desiderata della JP Morgan. Renzi, segretario del PD, nominato presidente del Consiglio da Napolitano quando ancora era sindaco di Firenze e mai era stato eletto dagli italiani al Parlamento nazionale. Infatti, a parte due presidenti del Consiglio di governi tecnici, non iscritti a partiti (Carlo Azeglio Ciampi, già governatore della Banca d’Italia, e Lamberto Dini, già direttore generale della Banca d’Italia e poi ministro del Tesoro nel primo governo Berlusconi), la maggioranza dei Presidenti del Consiglio della Repubblica Italiana lo sono diventati da deputati, mentre pochi da senatori (Amintore Fanfani, Giovanni Spadolini e Mario Monti).
Più efficienza, più semplicità e più velocità? Per questi motivi, ci dicono, è stato cancellato il Senato e quindi la navetta tra Camera e Senato che allungava, secondo Renzi, i tempi di approvazione delle leggi. Invece, il Senato rimane, anche se non sarà più eletto dai cittadini. Sarà composto non più da 315 ma da 100 senatori così suddivisi: 95 consiglieri locali (21 sindaci e 74 consiglieri regionali: non si sa ancora come saranno scelti) e 5 personaggi illustri della Patria nominati dal presidente della Repubblica con mandato di 7 anni. Per quanto riguarda la cosiddetta navetta, invece, questa ha riguardato solo il 20% dei casi secondo il Rapporto Openpolis sull’attività legislativa datato 6 gennaio 2016. Al contrario, con questa riforma costituzionale alcune leggi, di ben 22 materie, dovranno sempre passare da Camera e Senato e tutte le altre, anche se dovranno essere approvate dalla sola Camera, dovranno essere vagliate anche dal Senato, se questo ne farà richiesta. In pratica, un iter semplice e consolidato dal 1948 che prevedeva 2 soli sistemi per approvare le leggi (2 passaggi tra Camera e Senato per le leggi ordinarie e 4 passaggi identici per quelle costituzionali) verrà reso più complicato da 15 procedure diverse. Per cui non è vero che le leggi saranno approvate più velocemente.
Nota: Su questo argomento leggi l’intervista all’avv. Felice Besostri. Vedi: ACHTUNG! Non siamo beoti siamo italiani (2). Un Paese più agile?
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