Governo
Abbiamo bisogno di un Lockdown Light subito
Non siamo sulla riva osservando l’onda perfetta che infrangendosi sulla costa porterà via con sè tutto ciò che trova sulla sua strada: siamo in mezzo alla tempesta. L’emergenza Covid 19 in Italia è tornata più forte di prima, poichè, se a marzo e aprile potevamo sperare nell’arrivo della bella stagione, quello che ci aspetta è un lungo e gelido inverno, che di certo non aiuterà a fermare il virus.
La situazione in Europa è altrettanto catastrofica. In Francia Macron ha imposto nelle aree più colpite un coprifuoco dalle 21 alle 6 del mattino. In Gran Bretagna il governo conservatore tentenna. Nel mentre, il leader dell’opposizione Keir Starmer ha proposto un circuit breaker lockdown. Un lockdown breve, che permetta da una parte di ripristinare il sistema di tracciamento e cura, non sovraccaricando l’NHS, dall’altra che plachi, brutalmente, il numero di nuovi contagi.
Questa dovrebbe essere la strada da seguire in Italia. Il ritmo dei nuovi contagi è, in certi casi, esponenziale. Oggi per la prima volta abbiamo sforato abbondantemente gli 8 mila contagi. Per questo l’unica possibilità per riportare la situazione sotto controllo è un lockdown light di 2/3 settimane, nazionale. Salvo poi prevedere un lockdown più stringente e lungo per le regioni che peggio stanno reggendo questa seconda ondata. Ovviamente, dobbiamo imparare da ciò a cui abbiamo assistito in primavera: non possiamo permetterci di nuovo la questione runner. Anzi, dovrebbe assomigliare di più alle due settimane successive al rilassamento del lockdown con la possibilità di vedere i congiunti e, forse, una cerchia limitata di persone.
Ma soprattutto senza l’interruzione dell’attività economica più pesante, come le fabbriche. I controlli, anzi, dovrebbero essere concentrati proprio su queste, al fine di verificare il distanziamento e l’uso di mascherina.
Questa, sia chiaro, non è una soluzione auspicabile, in un mondo ideale. Il lockdown è una misura che nessuno auspica. Accentua le disuguaglianze tra chi è più povero e chi è più ricco, non tiene conto di una dimensione sociale che, nonostante sia terreno fertile per il virus, costituisce il nucleo fondante di una persona: gli affetti non sono un corollario della società del benessere, sono ciò che definisce una persona nel suo privato.
Ma in questi mesi di cauto ottimismo, nulla è stato fatto per gestire la situazione: tracing, testing, setting. E se il ruolo della popolazione, con le sue irresponsabilità, non può essere minimizzato, allo stesso tempo non si può più tacere sulle responsabilità del governo e delle regioni, così come dell’opinione pubblica: tutti noi ricordiamo le incaute dichiarazioni di Zangrillo sulla “morte clinica” del virus.
Certo, non era un lavoro semplice. Il contenimento del virus passava dalla risoluzione di problemi strutturali di cui il nostro paese soffre da decenni: le classi pollaio, il sovraffollamento dei mezzi pubblici, la gestione disastrosa della sanità in certe regioni.
Se il primo lockdown fu imposto per l’incertezza della situazione, questo sarà da attribuire a una gestione dilettantesca e avventata dei mesi estivi.
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